Giandomenico Protospataro*
Giungla d’asfalto
Il reato di omicidio stradale è stato introdotto 4 anni fa. È tempo di bilanci e di riflessioni tra inasprimento delle pene e progetti di prevenzione
I dolorosi eventi che hanno insanguinato le nostre strade nei primi giorni dell’anno, a cui, purtroppo, si vanno ad aggiungere i morti che, in modo troppo spesso silenzioso, funestano quotidianamente il nostro Paese (circa 9 ogni giorno), portano di nuovo in primo piano il tema dell’efficacia delle misure di intervento penale, messa a dura prova dalla frequenza e tragicità degli eventi.
La riforma dei reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali del 2016 partiva dall’esigenza di dare una risposta adeguata al fenomeno infortunistico che potesse essere, cioè, molto più incisiva a fronte di una normativa che configurava l’omicidio stradale solo come aggravante dell’ omicidio colposo e che, in concreto, forniva una risposta sanzionatoria dell’ordinamento assolutamente inadeguata anche per le lesioni personali colpose gravi e gravissime. Prima della riforma, in presenza di circostanze favorevoli, si poteva chiudere il processo per omicidio stradale con pena non superiore a 4 mesi di reclusione. Con la riforma del 2016, l’omicidio stradale è divenuto, invece, reato autonomo punito con pene molto severe che possono arrivare, in casi particolari, anche a 18 anni di reclusione e oltre. Un analogo regime di maggior rigore è stato previsto anche per le lesioni personali gravi o gravissime, per la punibilità delle quali non è più necessaria la querela della persona offesa.
Il nuovo reato, perciò, aveva lo scopo principale di restituire proporzionalità concreta tra pene irrogate e beni messi a repentaglio dando l’importante segnale che un incidente stradale non è mai un evento accidentale, conseguenza di fatti tragici, fatali ed inevitabili.
Accanto a un’ipotesi di reato (che potrebbe essere definita “base”) che si caratterizza per la violazione non particolarmente grave di norme della circolazione stradale e la cui pena è più ridotta, la nuova norma ha previsto ipotesi aggravate con pene gradualmente crescenti in caso di condotte molto pericolose (velocità, sorpasso, passaggio con semaforo rosso, ecc.), in caso di guida in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione da stupefacenti oppure in caso di fuga del conducente responsabile.
Quanto funziona la nuova normativa?
In primo luogo, per capire meglio se la nuova e più severa normativa funziona o meno in termini di contrasto del fenomeno infortunistico, si può fare riferimento al concreto effetto sulle pene applicate dai giudici e, cioè, sulla risposta sanzionatoria offerta dal nuovo regime giuridico. Sebbene non siano ancora disponibili dati complessivi delle sentenze definitive, perché in molti casi, i procedimenti sono ancora in corso, a 4 anni dall’entrata in vigore delle nuove norme i dati statistici relativi ai reati accertati dalla polizia stradale mostrano, in assoluto, che un aggravamento di pena rispetto al passato non può essere così netto e non ci si può attendere che lo sarà. La gradualità nella risposta sanzionatoria di cui si è parlato, porta a riconoscere che, in concreto, nella gran parte dei reati accertati la pena applicata a seguito del giudizio per il nuovo reato non sarà concretamente molto più elevata rispetto a ciò che accadeva, per casi analoghi, prima della riforma. Infatti, prima dell’introduzione, il reato di omicidio colposo commesso sulla strada e non aggravato da fatti particolari (ebbrezza alcolica, ecc.) prevedeva la stessa pena applicata dal nuovo reato per il caso che abbiamo definito come “ipotesi base”. Tale casistica in termini statistici, rappresenta quella di gran lunga più ricorrente. Infatti, le ipotesi aggravate rappresentano, tutte insieme, secondo i dati forniti dagli incidenti rilevati dalla polizia stradale, non più del 15% degli omicidi stradali punibili. Solo rispetto a questi reati aggravati, perciò, la nuova norma potrà manifestare una pena applicata molto più severa rispetto al passato.
Per capire se la nuova norma ha funzionato, perciò, non si può fare riferimento soltanto alle pene irrogate in concreto. Per comprendere se la riforma funziona non ci si può limitare nemmeno a valutarne gli effetti facendo semplicemente riferimento al numero degli eventi infortunistici che si sono verificati dopo la sua introduzione. L’andamento altalenante dei dati dell’incidentalità stradale di questi ultimi 4 anni porterebbe, infatti, a ritenere che la nuova normativa non abbia prodotto alcun effetto concreto sul fenomeno infortunistico, soprattutto se l’analisi viene condotta in modo superficiale e disgiunto da un contesto più generale. L’analisi da compiere per dare una risposta che sia correlata ad un giudizio obiettivo non può essere, perciò, limitata al mero conteggio delle vittime e dei feriti. Del resto, il problema dell’efficacia deterrente correlata a un intervento di aggravamento di pena – quale è certamente quello introdotto con la riforma del 2016 – e non può essere liquidato in modo così affrettato e semplicistico. Per evitare generalizzazioni e concludere in modo erroneo sulla parziale inutilità della riforma occorre muovere su basi realistiche e tenere presente che l’efficacia preventiva della legge penale necessita di tempi più lunghi e si muove su fronti diversi.
L’importanza di una guida consapevole
Si deve considerare che la funzione intimidatrice della pena presenta un limite intrinseco, costituito dal fatto che la pena minacciata è incerta e futura nella sua applicazione, sottoposta all’esito di un procedimento penale, mentre l’azione criminosa da cui il reato deriva si presenta immediata ed è conseguenza diretta di un’errata azione che, per i reati stradali, si inserisce nella normale quotidianità. Nei reati colposi, come sono quelli di omicidio stradale o di lesioni personali stradali, la morte o le lesioni, che costituiscono l’effetto della condotta del conducente, non sono da questi volute, né tantomeno accettate come probabili, anche se possono essere prevedibili da parte del conducente stesso.
La comune esperienza permette di comprendere bene che la gran parte delle persone non commetterebbe mai un omicidio volontario o una rapina o uno stupro, mentre, invece, spesso, potrebbe non avere scrupoli a violare sistematicamente le norme stradali, che sono necessarie per evitare la morte o lesioni alle persone. L’efficacia preventiva della norma penale, attuata attraverso il significativo aumento di pena introdotto nel 2016, allora, non può essere uguale, per i reati colposi di cui si parla, a quella esercitata da norme penali che puniscono fatti dolosi per fatti criminosi commessi da persone aventi specifica propensione a delinquere.
Appare, pertanto, evidente come non si possa chiedere alla riforma un effetto che non poteva avere. Infatti, l’idea che sta alla base della logica retributiva, per cui al comportamento antisociale si deve opporre sempre una reazione negativa costituita da una pena detentiva molto severa, che connota certamente l’intervento di modifica del 2016 può avere effetti deterrenti e dissuasivi solo sul lungo periodo e nella misura in cui contribuisce a creare una consapevolezza collettiva del fenomeno criminale.
Un concreto aggravamento della pena per un reato la cui esistenza è correlata solo alle conseguenze della condotta illecita del conducente che contravviene a norme di natura cautelare, come accade per i reati colposi di cui si parla, può avere un effetto deterrente di prevenzione generale solo nel lungo periodo quando l’utente della strada acquisirà adeguata coscienza che la violazione della norma di condotta stradale che fa parte della sua quotidianità potrà produrre eventi di una certa gravità e, di conseguenza comportare l’applicazione di pene molto severe. In tale ottica, la prevenzione generale deve essere legata alla condotta stradale più che alle sue conseguenze (morte o lesioni gravi o gravissime) che il conducente non voleva determinare (altrimenti non sarebbe un delitto colposo). Per questo, per ottenere effetti diretti e immediati sulle condotte stradali pericolose è necessario incidere su azioni di prevenzione che tendono a contrastare questa tipologia di comportamenti che, di per sé, nella gran parte dei casi, ha natura di illecito amministrativo.
Nonostante queste considerazioni, si deve affermare che la riforma del codice penale del 2016 che ha introdotto il reato di omicidio stradale ha comunque funzionato. Infatti, ha certamente avuto il merito di aver dato un importante segnale sulla necessità di valutare con maggiore rigore la delinquenza colposa stradale che sta oggi ponendosi al centro di ogni logica di politica criminale in questo settore, richiamando sempre più l’attenzione sulla gravità di tale criminalità e sull’esigenza di un efficace opera di prevenzione. E questo è certamente un segnale importante ed efficace, in grado di svegliare la coscienza collettiva, troppo spesso sopita di fronte al grande dolore provocato da questi tragici eventi.
Le leve di governo del complesso sistema della circolazione stradale non possono prescindere, se si vuole ottenere un effetto nel breve termine, su meccanismi cautelari che incidano sulla consapevolezza individuale o che permettano di limitare la possibilità di guida dei veicoli alle persone che possono essere pericolose.
In questa direzione si è mossa, in modo molto efficace, anche la riforma del 2016 che sta dimostrando di funzionare molto bene sul fronte della prevenzione speciale, con un insieme di misure non detentive e più azioni specifiche che vengono esercitate sul singolo conducente che ha commesso un omicidio stradale o provocato lesioni gravi o gravissime, per impedirgli di commettere altri reati simili. Su questo tema, l’aggravamento delle conseguenze dei reati e l’aumento del periodo di impossibilità di guidare i veicoli conseguente alla riforma (revoca della patente con divieto di conseguirne un’altra per un certo periodo di tempo che può arrivare, nei casi più gravi, anche a 30 anni) risulta molto efficace ed è destinato a mostrare importanti effetti sul medio e soprattutto sul lungo periodo.
Nei reati stradali, questi effetti di prevenzione speciale correlati alla pena applicata sono certamente più importanti della pena stessa. Infatti, anche se in questi fatti è minore la colpevolezza rispetto ai reati dolosi, non necessariamente è minore anche la pericolosità sociale dell’autore. Chi corre troppo, chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe, chi si distrae per rispondere al cellulare, chi sorpassa in modo azzardato e, magari, dopo aver investito qualcuno, in molti casi si dà alla fuga, deve essere penalizzato non solo con un pena adeguata ma anche con una seria limitazione della libertà di circolazione.
Si può certamente concludere che la riforma sta producendo i suoi frutti. Ha dato dignità alle vittime e offerto l’occasione per determinare l’assunzione della consapevolezza collettiva che l’incidente stradale mortale non sia un tragico evento al quale rassegnarsi nell’inevitabile stato dell’evoluzione del progresso. Le vittime della strada sono diventate vittime di condotte imprudenti e gravemente irresponsabili di chi, anche se non si sente un delinquente della strada, in concreto, lo è diventato e deve essere fermato e privato della possibilità di guidare, anche per lungo tempo.
Prevenire, prima ancora di punire
Tutte le considerazioni indicate, inducono a ritenere, tuttavia, che le vie privilegiate della lotta contro i crimini stradali siano e restino fondamentalmente connesse alla prevenzione delle violazioni stradali da cui conseguono gli eventi infortunistici. Prevenzione da attuarsi, non solo, attraverso un’azione di controllo capillare che, per alcune tipologie di violazioni (come ad esempio la velocità, la precedenza, l’attraversamento dei pedoni o come, sempre più spesso avviene, la cosiddetta distrazione tecnologica dovuta all’uso di smartphone o tablet durante la guida) deve essere sistematica e supportata dal massiccio impiego di tecnologie di controllo remoto, ma anche attraverso la modifica dei comportamenti dei conducenti, grazie alla instancabile opera di educazione stradale messa in atto dalle forze di polizia con le campagne di informazione.
Per non rischiare di far diventare il nostro Paese uno Stato di polizia, non può immaginarsi che l’azione di controllo, per quanto estesa e capillare, possa essere l’unico strumento di contrasto. Con una rete stradale così estesa e con un numero di utenti così elevato, nemmeno militarizzando ogni strada sarebbe possibile contrastare completamente il fenomeno infortunistico. E non è certo un’azione repressiva generalizzata che può essere auspicabile in un Paese democratico moderno. Per ottenere una concreta diminuzione della mortalità sulle strade non è sufficiente l’azione di controllo, ma è necessario che questa venga affiancata da progetti formativi e di comunicazione istituzionale che accompagnino l’azione delle forze di polizia e che riesca ad incidere in maniera significativa sulla tendenza di giovani e adulti ad assumere comportamenti rischiosi alla guida. Il Progetto Icaro, la più importante campagna di sicurezza stradale della Polizia di Stato dedicata al mondo della scuola ed alla quale è associata una ricerca scientifica del Dipartimento di psicologia dell’Università Sapienza di Roma, è un esempio concreto di tali strategie che possano integrare efficacemente le azioni di prevenzione e di contrasto offerte dal controllo sulla strada.
Nuove strategie di contrasto
Per contrastare tutti i comportamenti pericolosi appare necessario individuare delle strategie che incidano sulle sanzioni amministrative applicate per le violazioni stradali: sanzioni che, per essere veramente dissuasive, devono diventare correlate al rischio di incidente.
Le condotte degli utenti più indisciplinati possono essere più efficacemente corrette attraverso il ricorso generalizzato a sanzioni accessorie che incidano sulla possibilità di guida e sulla disponibilità dei veicoli. Si potrebbero adeguare le sanzioni amministrative pecuniarie alla gravità e alla frequenza del comportamento pericoloso, distinguendo le condotte di guida pericolose da quelle che abbiano già determinato un evento infortunistico e punendo più gravemente queste ultime rispetto alle prime. Si potrebbe, inoltre, prevedere che per tutte le norme di comportamento, insieme alla sanzione pecuniaria, ci sia sempre la sospensione di patente di breve durata (da 5 a 10 gg), applicata dall’organo di polizia, senza procedure burocratiche. La personalizzazione della sanzione amministrativa e la graduazione della durata della sanzione accessoria della sospensione della patente in base alla gravità del comportamento e all’eventuale recidiva, potrebbero essere collegate anche ai punti decurtati per precedenti violazioni. In questo modo, l’istituto della patente a punti dovrebbe essere utilizzato non solo quale strumento cautelare (che porta alla revisione di patente) ma anche quale parametro di valutazione della condotta di ciascun conducente ,ad esempio per il calcolo del premio assicurativo, per la personalizzazione dell’entità delle sanzioni amministrative o, infine, per il tempo necessario per la visita di conferma di validità della patente, che potrebbe essere ridotta per i conducenti che hanno già perso molti punti.
* vice questore della Polizia di Stato
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Chirone e Icaro: progetti e campagne di prevenzione
Il progetto Chirone è stato avviato con lo scopo di delineare un nuovo ruolo dell’operatore di polizia nella gestione dei rapporti con le vittime di incidenti stradali e ferroviari, attraverso la predisposizione di apposite linee guida. La formazione a livello nazionale ha consentito di attribuire la qualifica di formatore Chirone a 115 operatori, mentre 2.555 sono stati i poliziotti e le poliziotte che hanno partecipato ai corsi di comunicazione, deontologia e vittimologia presso il Caps di Cesena. La Polizia di Stato ha inoltre dato il proprio contributo all’iniziativa Ania – Cares, avviata dalla Fondazione Ania e dal Dipartimento di psicologia della “Sapienza Università di Roma” con l’obiettivo di fornire un servizio di Pronto soccorso psicologico alle vittime della strada con oltre 100 psicologi attivi h24 in quattro città pilota (Roma, Firenze, Milano e Campobasso), per favorire i processi di elaborazione emotiva e le strategie di adattamento individuali e familiari.
Icaro, giunto alla 20^ edizione, è invece la campagna di prevenzione promossa dalla Polizia di Stato, in collaborazione con diversi partner con l’obiettivo di far comprendere ai giovani, anche attraverso un concorso bandito dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e riservato agli studenti delle scuole primarie e secondarie, l’importanza del rispetto delle regole, promuovere una cultura della legalità ed evitare che i ragazzi assumano comportamenti pericolosi, causa principale degli incidenti stradali. La campagna è poi divenuta un vero e proprio progetto europeo denominato Icarus cofinanziato dalla Commissione europea, con l’obiettivo di esportare il modello formativo sperimentato in Italia ed avviare una ricerca scientifica volta ad individuare le variabili individuali di natura psicologica e psicologico-sociale maggiormente connesse ai comportamenti di guida rischiosa nei giovani guidatori europei.
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Guida-TE Bene: un percorso di consapevolezza
di Michela Salvetti*
Ore 1,30 del 2 giugno 2010, Lorenzo Guarnieri, un ragazzo fiorentino di 17 anni, sta tornando a casa in motorino dopo una serata con amici, quando un altro scooter, guidato da un uomo ubriaco e sotto l’effetto di droghe, sbanda e invade l’altra corsia: per Lorenzo colpito in pieno non c’è scampo. Dopo quella tragedia, e le inevitabili e dolorose battaglie processuali, i genitori di Lorenzo Guarnieri hanno fondato un’associazione onlus che porta il suo nome e che in tutti questi anni si è fatta promotrice di un disegno di legge sull’omicidio stradale, approvato poi nel marzo del 2016, ma anche di varie iniziative mirate alla prevenzione degli incidenti stradali. In particolare Stefania Lorenzini, la mamma di Lorenzo, da un anno collabora con l’Ufficio di esecuzione penale esterna di Lucca del ministero di Grazia e Giustizia al percorso di gruppo Guida-Te bene: si tratta di un progetto rivolto agli autori di reati stradali che ha come obiettivo quello di favorire una consapevolezza critica del reato e di promuovere una guida più responsabile e attenta, nella convinzione che la norma si rispetta soprattutto per consenso e in un ’ottica di giustizia riparativa. Nel corso degli incontri organizzati dal gruppo, i partecipanti interagiscono con i medici del Serd (Servizi pubblici per le dipendenze patologiche) che spiegano gli effetti di alcol e droga, con gli esperti dell’educazione alla salute Asl e con gli operatori della polizia stradale che, oltre a illustrare i rischi che si corrono non rispettando le norme del codice della strada, raccontano il carico di coinvolgimento psico-emotivo che affrontano ogni qualvolta si tratti di dover comunicare alle famiglie la notizia di un incidente mortale. Durante uno degli ultimi incontri, un ragazzo, dopo avere ascoltato il racconto della mamma di Lorenzo, ha detto: «Anch’io la sera dell’incidente avevo bevuto, per fortuna non ho investito nessuno, però potevo essere io quello che ha ucciso tuo figlio…». Altri partecipanti hanno invece riconsiderato in modo diverso il ruolo della polizia: «Ho sempre visto la polizia come quella che fa le multe – ha sottolineato in modo significativo uno di loro – ma deve essere terribile raccogliere i corpi delle vittime, soprattutto quando si tratta di bambini: in parte siete vittime anche voi...». Non c’è dubbio che l’inarrestabile sequela di morti sulle strade del nostro Paese e l’alto numero di persone che commettono ogni giorno reati stradali, nonostante l’entrata in vigore della nuova legge, testimoniano, una volta di più, la necessità di un profondo cambiamento culturale perché, come ripetono i poliziotti della Stradale: «Un’auto può diventare un’arma e se lo capissimo la useremmo di sicuro con maggiore cautela».
*psicologa consulente del ministero di Grazia e Giustizia
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Omicidio stradale: i dati della polizia
Dal 25 marzo 2016, data di entrata in vigore della Legge sull’omicidio stradale, al 12 gennaio 2020 la polizia stradale ha rilevato:
201.050 incidenti di cui 2.599 mortali e 80.816 con lesioni;
1.414 incidenti per i quali si è proceduto per il reato di omicidio stradale e fra questi in 617 casi si è trattato di incidente plurimortale o con lesioni di una o più persone;
2.522 incidenti per i quali si è proceduto per il reato di lesioni gravi o gravissime e fra questi in 560 casi si è trattato di incidente con lesioni gravi o gravissime di più persone.
Per il reato di omicidio stradale la polizia stradale ha :
arrestato 67 persone in flagranza di reato;
sottoposto a fermo di p.g. 11 persone;
denunciato a piede libero 1.382 persone.
Per il reato di lesioni stradali gravi o gravissime
la polizia stradale ha;
arrestato in flagranza di reato 13 persone;
sottoposto a fermo di pg. 1 persona;
denunciato a piede libero 2.434 persone.