Massimo Marra*
L’accesso ai documenti amministrativi
1. L’accesso ai documenti amministrativi
L’accesso ai documenti amministrativi rappresenta un principio generale dell’attività amministrativa, teso a favorire la partecipazione dei cittadini all’azione pubblica e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza della stessa.
La disciplina del diritto di accesso (oggi potremmo dire “classico”) è contenuta principalmente nel capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241 (artt. 22 e ss.), le cui disposizioni “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione” (art. 29, comma 2 bis, l. n. 241/1990).
È bene precisare che la trasparenza non si assicura unicamente mediante lo strumento dell’accesso, ma al suo raggiungimento concorrono numerosi altri principi ed istituti, quali – ad esempio – l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art. 3 l. 241/90), e la partecipazione dei privati al procedimento che li coinvolge (artt. 7-13 l. cit.).
L’istituto dell’accesso assolve ad una triplice funzione:
permette una più diffusa conoscenza dei processi decisionali, nell’ottica della partecipazione;
favorisce il coinvolgimento diretto degli amministrati e il loro controllo sul comportamento dei soggetti pubblici, che sono stimolati ad agire responsabilmente e correttamente osservando i canoni di legalità e compiendo attività qualitativamente migliori;
riduce il peso dei giudizi, perché la conoscenza dei documenti può persuadere della legittimità delle determinazioni assunte dalla PA o comunque dell’inopportunità dell’impugnazione, tenuto conto che l’interessato potrà far valere in sede amministrativa eventuali rimostranze.
L’evoluzione dell’istituto può essere così succintamente delineata.
Prima dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990, vigeva la regola della segretezza dell’attività amministrativa, consacrata peraltro nell’art. 15 del dpr 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato): tale regola si concretizzava nel silenzio dei funzionari, nel rifiuto di fornire informazioni e nel diniego di visionare i documenti amministrativi.
L’introduzione della l. n. 241/1990 ha invece segnato il passaggio da un sistema incentrato sulla segretezza ad un sistema basato sui principi di pubblicità e di trasparenza dell’attività amministrativa, a loro volta espressione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione codificati nella Carta costituzionale.
Il successivo dpr 27 giugno 1992, n. 352, ha individuato in sede regolamentare sia le modalità di esercizio del diritto di accesso, sia i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Il percorso evolutivo dell’istituto è proseguito con l’introduzione, in sede regolamentare, della disciplina relativa alle modalità di esercizio del diritto di accesso: sicché con dpr 12 aprile 2006, n. 184, è stato emanato il “Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”, chiamato sostanzialmente a sostituire il precedente dpr n. 352/1992.
Nel 2010 il legislatore ha iscritto il rito dell’accesso ai documenti amministrativi nel novero dei riti speciali del giudizio amministrativo, collocando la relativa disciplina nell’opportuno contesto processuale inaugurato con il codice del processo amministrativo (dlgs n. 104/2010, art. 116).
Ulteriore tappa dell’evoluzione normativa della trasparenza si compie con l’attuazione, ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 che reca “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
Detta legge ha previsto all’art. 1, commi 35 e 36, una delega legislativa per il riordino degli obblighi di pubblicità, di trasparenza, di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. In attuazione della delega è stato emanato dal Governo il dlgs 14 marzo 2013, n. 33, che, attraverso una serie ampia di obblighi di pubblicità, mira a realizzare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1). L’art. 3, comma 1,del decreto stabilisce in particolare che “tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici” e l’art. 7, comma 1, precisa che “chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli” ai sensi della disciplina vigente. Accanto ad una forma di pubblicità obbligatoria (art. 3 dlgs n.33), il codice della trasparenza ha previsto una forma di pubblicità facoltativa. In tal senso, l’art. 4 del citato codice prevede che le amministrazioni possano disporre la pubblicazione di documenti, atti o informazioni che non hanno l’obbligo di pubblicare. Non può, quindi, realizzarsi una trasparenza come accessibilità totale oltre l’ambito dell’obbligo di pubblicazione: oltre tale ambito, infatti, (e fatti salvi i casi di pubblicazione facoltativamente disposta) vige soltanto la possibilità di accesso consentita dalla legge 241 del 1990. È stato osservato che il sistema del dlgs 33 del 2013 ha previsto la coesistenza di due diverse nozioni di trasparenza presidiate da due differenti regimi giuridici: una trasparenza come pubblicità relativa alle informazioni, per le quali è previsto un obbligo di pubblicazione ed una trasparenza come accessibilità ex lege 241 del 1990 per gli atti amministrativi (e non le informazioni) non soggetti ad obblighi di pubblicità, per i quali continua ad operare la Commissione per l’accesso (art. 4, comma 7, del dlgs 33 del 2013). Il dlgs 25 maggio 2016, n. 97, attuativo della legge delega n. 124/15 è stato il primo tra gli undici provvedimenti della prima tranche di attuazione della cosiddetta riforma Madia a tagliare il traguardo con la introduzione di una nuova forma di accesso civico equivalente al freedom of information act (Foia) per riconoscere ai cittadini la possibilità di accedere anche ai dati e documenti per i quali non sussista l’obbligo espresso di pubblicazione. Oggi, la parabola durata oltre 26 anni sembra giunta a compimento con il riconoscimento della più amplia accessibilità ai dati e documenti pubblici come regola e la mancata loro ostensione come eccezione, necessariamente motivata dalla tutela di precisi interessi del segreto di stato alla privacy passando per le tutele commerciali.
Un cammino dunque non breve contrassegnato da diffuse resistenze a che le amministrazioni si trasformino, secondo quanto detto da un illustre autore, in case di vetro. Del resto, l’implementazione della trasparenza costituisce un argine principale alla corruzione in quanto, come è stato efficacemente rilevato dal presidente dell’Anac “gli affari illeciti preferiscono l’oscurità e non amano la luce e la trasparenza”.
A seguito dei recenti interventi normativi è possibile distinguere:
un accesso documentale con cui si intende l’accesso disciplinato dal capo V della legge 241/1990;
un accesso civico riferito all’accesso di cui all’art. 5, comma 1, del decreto trasparenza, ai documenti oggetto degli obblighi di pubblicazione;
un accesso generalizzato ossia quello individuato nell’art. 5, comma 2, del decreto trasparenza.
In sintesi, le disposizioni dettate dal dlgs 14 marzo 2013 n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (cosiddetto accesso civico), disciplinano situazioni non ampliative, né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli art. 22 ss. l. 7 agosto 1990, n. 241.
2. I soggetti legittimati all’accesso
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a tutti i soggetti “interessati”, intendendosi come tali “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990). È opportuno precisare che:
la disposizione chiarisce quali siano i requisiti soggettivi che abilitano all’esercizio del diritto di accesso: possono accedere ai documenti amministrativi (solo) i soggetti privati, sia (come è normale) in quanto portatori di interessi egoistici e personali, sia in quanto portatori di interessi pubblici o diffusi;
per accedere ai documenti amministrativi è necessario avere un interesse diretto, concreto e attuale. In via approssimativa, si può rilevare che l’interesse all’accesso è diretto quando è personale, cioè appartenente alla sfera dell’interessato; è concreto quando è collegato con il bene della vita coinvolto dal documento; è attuale se non è meramente potenziale, vista comunque l’attinenza ad eventuali profili risarcitori;
l’interesse del soggetto istante deve corrispondere a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
3. La legittimazione passiva all’accesso
L’ individuazione dei soggetti passivamente legittimati all’accesso passa attraverso una lettura combinata degli artt. 23 e 22. Ai sensi dell’art. 23 della l. n. 241/1990 (Ambito di applicazione del diritto di accesso), “Il diritto di accesso di cui all’art. 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di