Valentina Pistillo

Quando il blu si tinge di rosa

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Sono preparate, sempre in prima linea e occupano ruoli ritenuti in passato tradizionalmente maschili. Ecco le storie di alcune poliziotte dal 1961 a oggi

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Le donne sono la spina dorsale della società, diceva Rita Levi Montalcini. Come colonne portanti, non solo la sorreggono ma lavorano con impegno e curano famiglia e affetti. E in sessant’ anni si sono fatte largo per professionalità e determinazione anche nei ruoli della Polizia di Stato. Un esercito silenzioso, quello delle signore con il distintivo, che conta più di 18mila unità. Una presenza discreta che si è arricchita nel tempo, da una delle prime rappresentanti del Corpo di polizia femminile, Dora Petrolino, divenuta icona dell’Istituzione, alle allieve degli ultimi corsi, il 208° per agenti, il 10° per ispettori e il 109° per commisssari.Tenaci e flessibili, le poliziotte hanno raggiunto qualifiche e mansioni per antonomasia riservate una volta agli uomini. L’evoluzione della figura femminile all’interno dell’Amministrazione ha permesso anche di scalare i vertici. Ben diciassette comandano difficili e vastissimi territori come le questure di Agrigento, Asti, Belluno, Catanzaro, Cosenza, Cremona, La Spezia, Latina., Novara, Oristano, Potenza, Ragusa, Ravenna, Savona, Siracusa, Udine, e Verona. Presenze rosa anche nell’universo della formazione: a dirigere gli Istituti di istruzione, c’è Maria Luisa Pellizzari e a guidare la Scuola superiore dei commissari è Anna Maria Di Paolo. Anche alle Digos e alle Squadre mobili i dirigenti portano la gonna. E nella Banda della polizia le musiciste sono ben 14 e suonano pianoforte, oboi, fagotti, e percussioni, mentre una sola è il clarinetto della Fanfara. Ne troviamo numerose operative, con compiti tradizionalmente affidati agli uomini: sono piloti, specialisti e meccanici di elicotteri e aerei, artificieri, tecnici iperbarici e sommozzatori, si occupano di scorte e tutela alle personalità, sono istruttori di tiro e di tecniche operative; guidano Lamborghini, Volanti, moto e blindati e sono impegnate in ogni genere di attività. Eppure hanno una vita “normale”, scandita spesso da estenuanti turni di lavoro e si dividono tra casa, figli, mariti e sport. Dal Corpo di polizia femminile ai giorni nostri, alcune di loro hanno scelto di raccontare a Poliziamoderna il lungo percorso e le esperienze vissute. Ci hanno parlato della tipicità di questa professione e del rapporto con i colleghi uomini. (La versione integrale delle testimonianze delle poliziotte si può leggere sul sito www.poliziamoderna.it).

Patrizia Cavallini, disciplina e spirito di corpo
Da ragazza portava la salopette, guidava la moto, fumava e si sedeva al bar come gli uomini. Patrizia Cavallini, ex assistente della Polizia femminile, oggi dirigente in pensione, tempra forte e spirito indipendente si arruolò in polizia nel 1961. «Mi assegnarono alla questura di Vercelli. Primo incarico: davanti ai cinema. Tutti i giorni dalle 16 alla mezzanotte ero all’ingresso, anche durante l’intervallo del film, per impedire ai ragazzini di entrare e assistere alla proiezione del film “I Diavoli” di Ken Russell, spettacolo per maggiorenni. Altro compito per noi poliziotte era il controllo e il sequestro della stampa pornografica presso le edicole. Dal Piemonte alla Sardegna. «Da sposata fui trasferita alla questura di Nuoro. Qui noi assistenti vigilavamo sull’obbligo scolastico perché esisteva una triste realtà di abbandono degli studi da parte dei minori e dal tribunale di Cagliari ci chiamavano per i detenuti minorenni ma anche per i reati di maltrattamento a danno di donne e bambini». Continua il racconto Patrizia Cavallini ripercorrendo gli anni di servizio successivi a Pisa: «Venivamo affiancate alla Mobile e alla Digos per le retate di giovani prostitute, che si vendevano per un abito o una borsa firmata. Ci hanno sempre insultate – sorride – schernendoci anche per il loro compenso quotidiano che superava di gran lunga lo stipendio di noi poliziotte». Fondamentale il delicato compito che le veniva affidato spesso alle assistenti di polizia, quello dei maltrattamenti in famiglia: «intervenivamo spesso perché parenti e vicini ci avvisavano. Era più difficile convincere le donne e spesso se denunciavano i mariti subito dopo ritrattavano». A Pisa si occupava di ordine pubblico allo stadio Patrizia anche se odiava il gioco del calcio. Ancora oggi la ex dirigente sottolinea il ruolo insostituibile delle donne nei casi di violenza di genere, dato che anche lei da giovanissima ha subito uno stupro: «Perché se una persona che è stata maltrattata o stuprata va in un ufficio di polizia e si trova di fronte una donna sa che è più facile il dialogo, perché c’è più empatia. Lei ha sempre ribadito l’importanza di denunciare comunque, soprattutto oggi che esistono i centri antiviolenza. Una macchina da guerra Patrizia, al servizio delle donne e non solo. «Ho fatto più di 100 missioni. Sono andata anche al Columbus Day a New York. Sempre in America facevo parte di alcune associazioni di poliziotti che durante le festività natalizie mi ospitavano insieme ai colleghi e si organizzavano cerimonie e parate per rappresentare la Polizia di Stato italiana. Ero sempre con la valigia in mano: dal 1981, divenuta ispettrice, ho diretto il posto di Polizia agli ospedali riuniti di Pisa; in seguito sono stata l’unica donna a dirigere il Reparto mobile per la sicurezza del carcere di Pianosa. Qui sull’isola dormivo nei contaneir e cucinavo per i collaboratori: era un modo per affiancarli e rendermi conto della situazione più da vicino.  Durante il terremoto dell’Irpinia ero la sola ispettrice che rimasi sul posto due mesi. Ricordo che per i disagi non mangiai per una settimana e dormivo solamente 3 ore a notte, con altre 5 poliziotte dentro una Fiat 127, gentilmente messa a disposizione da un collega della “Celere” di Napoli. Dopo qualche tempo mi tra

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03/12/2019