Antonio Bacci*
La trasformazione che vince
Attraversata da molti cambiamenti Pordenone ribadisce la sua vocazione culturale e l’aspirazione alla legalità
Esiste una terra di mezzo, su a Nordest dello Stivale, che cela i suoi segreti in uno scrigno a molti sconosciuto.
Poco più di 50mila anime, qualità della vita al top nelle classifiche italiane, a meno di un’ora di macchina dal mare e dalla montagna, Pordenone non è ancora riuscita appieno a valorizzare il proprio brand. Date a un imprenditore americano la terra di Pasolini e di Carnera, la gente “risorta” dal Vajont e i mosaicisti di Spilimbergo, gli incanti di Valcellina e Val Tramontina, i coltellinai di Maniago e i mobilieri della Bassa e attorno a ognuno di questi asset costruirà un piccolo impero. A Pordenone, invece, le singole gemme brillano ma la collana non si vede. All’estero è rimasta la città “between Udine and Venezia”. Un incastro di popoli, filosofie e parlate. Asburgica prima, napoleonica poi, infine parte del Lombardo-Veneto. Per metà friulana, sotto l’ombrello di Udine, e per metà con influenze trevigiane e veneziane, “Portus Naonis”, la città dalle porte aperte, come da stemma comunale, non è ancora riuscita a fare sistema.
La piccola Manchester dei capitani d’industria, da Lino Zanussi a Luciano Savio e Giulio Locatelli; la fucina di marchi storici come Séleco, Scala, Galvani, Ideal Standard e Jacuzzi, con la crisi del manifatturiero, ha lasciato spazio a una forte vocazione culturale.
Festival come Pordenonelegge e le Giornate del cinema muto attirano appassionati da tutto il mondo. Grandi mostre come quella sul pittore rinascimentale Giovanni Antonio de’ Sacchis, “Il Pordenone”, e realtà emergenti come il Palazzo delle arti e del fumetto, incastonato nel verde di parco Galvani, rilanciano l’immagine di un capoluogo vivo e dinamico. Non fa eccezione lo sport, con la recente promozione del Pordenone calcio del presidente Mauro Lovisa in serie B, pur nel disagio di dover disputare le partite casalinghe a Udine per la mancanza di uno stadio a norma sul proprio territorio. In questo contesto, in rapida e profonda trasformazione (con il camaleonte, simbolo della ventesima edizione del festival del libro, che ben rappresenta l’attuale fotografia della città), s’inserisce il lavoro quotidiano della Polizia di Stato. «Operiamo in una comunità di persone laboriose che rappresentano l’elemento portante della legalità e della prosperità di questa terra – racconta Marco Odorisio, questore di Pordenone dal 30 aprile 2018 – Ma proprio perché abituati a un livello di qualità della vita alto, gli abitanti si attendono standard di sicurezza altrettanto elevati. Posso contare su uno staff di persone molto capaci, un gruppo di donne e uomini che consentono alla polizia di garantire una risposta strutturata e strutturale alle esigenze della popolazione. In fin dei conti sono pur sempre i cittadini i nostri azionisti di maggioranza».
L’arrivo di Odorisio ha impresso una forte accelerazione e un evidente cambio