Stefano Brusadelli*
Competenza e passione
Nell’attuale stagione della comunicazione “immediata“ (ossia “non mediata“ da accertamenti sulla verità dei fatti e da valutazioni sulla loro effettiva rilevanza), vi sono soggetti dai quali più che dagli altri si deve esigere un’informazione scrupolosa e immune da ogni tipo di forzatura. Tra tali soggetti deve annoverarsi – e aggiungerei soprattutto – la Polizia di Stato. Anche per un motivo che riguarda la qualità della vita democratica. I cittadini-elettori debbono poter votare sulla base di una corretta rappresentazione delle condizioni del loro Paese. È molto pericoloso farlo sulla base di ventate d’opinione, non basate su dati veritieri ma su allarmismi che finiscono con l’allargare, in modo sempre più preoccupante, la forbice tra la realtà effettiva e quella percepita.
Tale pericolo va considerato, oramai, una seria questione che esula dalla sfera della comunicazione, per entrare a pieno titolo in quella politica. Ne sia un esempio il fatto che gi elettori britannici hanno votato per la Brexit mentre l’appartenenza all’Unione europea stava massimamente dispiegando i suoi benefici sul Regno, o che il dibattito politico italiano venga dominato dalla questione della sicurezza mentre sia gli arrivi di migranti che i numeri dei reati sono in netta diminuzione.
In questa situazione la Polizia di Stato – oggi più che nel passato – si vede assegnata una responsabilità rilevante. Si tratta infatti del numero uno tra i player dell’informazione, in quanto principale accumulatore e distributore di notizie dell’intero Paese. E non solo di notizie riguardanti i reati, che pure sono preziosi indicatori delle mutazioni socio-economiche in atto. Essa presidia frontiere, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, autostrade, ospedali. Vigila sul Web, sull’immigrazione, sulle manifestazioni pubbliche, sul possesso di armi. Rilascia i passaporti. Estende dunque i propri terminali in tutti gli snodi più significativi della vita nazionale, ed è in grado di fornirne una rappresentazione completa e puntuale. Esercita infine una grande autorevolezza presso tutti i media, e dispone anche di propri media, sia cartacei che elettronici.
Come affronta la Polizia di Stato la sfida lanciata dalla sempre più intensa (e pericolosa) commistione tra politica e comunicazione? Ricordando gli anni nei quali ho collaborato con il Dipartimento di pubblica sicurezza, e in particolare con Poliziamoderna, direi in modo più che soddisfacente. Di quegli anni ricordo la lodevole distinzione tra i toni e i contenuti della comunicazione del Dipartimento e di quella del Ministero, ovviamente più sensibile alle esigenze della politica. Ricordo, tra i colleghi di Poliziamoderna, la consapevolezza di dover esercitare una particolare attenzione nel controllo delle informazioni, che in verità dovrebbe avvertire ogni giornalista. Ricordo l’inebriante sensazione di poter disporre di ogni tipo di dati, e con la garanzia che sarebbero stati forniti dalle varie Direzioni solo al termine di un vaglio (talvolta fin troppo) accurato. Ricordo di avere scoperto tra i poliziotti giacimenti di passioni e di competenze le più svariate, che non solo conferiscono un ulteriore tocco di umanità a chi lavora in divisa, ma possono rivelarsi utili strumenti per la comprensione della società. E ricordo inchieste assai pregevoli, ampiamente riprese dagli altri media. Per esempio quelle sugli affari internazionali della mafia, sulle nuove droghe sintetiche, sui pericoli dei cellulari alla guida (fummo i primi a parlarne, dati alla mano), o sulla pratica del doping anche negli sport cosiddetti “minori”.
Quella stagione fu premiata con il conferimento del premio Biagio Agnes, uno dei più prestigiosi riconoscimenti giornalistici italiani. Fu un ulteriore incentivo a impegnarsi per garantire quell’elevato standard professionale che rientra in una più ampia missione civile affidata a questa importante rivista e più in generale a tutta la comunicazione della Polizia di Stato.
Auguri, Poliziamoderna!
*giornalista e scrittore