Lirio Abbate*
Memoria attiva
Aver raccontato il contrasto alla mafia per un giornale che è la voce ufficiale della polizia, non è stato semplice negli anni duri e sofferti che abbiamo dovuto attraversare, quando i boss attaccavano direttamente lo Stato mietendo tante vittime, fra cui i poliziotti, e non si poteva certo parlare di successi. Sfogli le pagine, ormai ingiallite delle raccolta di questa rivista, e sono inevitabili i brividi che percorrono la schiena quando si osservano le foto degli “eroi” assassinati, leggi le testimonianze dei loro colleghi in divisa o dei familiari. C’è una forma istituzionale che pervade queste pagine ma viene spesso tradita dal forte sentimento di perdita, di lutto, che emerge dall’inchiostro nero che forma le parole di morte, ma non di rassegnazione. La cronologia di ogni numero ci porta per mano, anno dopo anno, a modificare ogni cosa, passando dal periodo buio e triste in cui purtroppo si soffriva l’aggressione mafiosa, con la pressione dei boss, la loro violenza, a quella positiva, inversa, in cui la musica è cambiata, ribaltando i fatti che documentano i successi delle indagini e degli investigatori, non solo in Sicilia, ma anche in Campania e in Calabria. Sfogli le pagine, che rappresentano mesi o anni, e vai avanti con il tempo e si vedono i frutti raccolti da chi in polizia ha ben seminato. Si susseguono gli arresti dei capi della mafia, dei latitanti che si credevano imprendibili, dei sicari che avevano ucciso uomini delle forze dell’ordine, vittime innocenti come politici, magistrati, sindacalisti, medici e giornalisti. Afferri con mano il senso dello Stato e dei suoi uomini. Vedi come le indagini sviluppate in maniera diversa e al passo con i tempi hanno portato ad avere la meglio nel contrasto alla criminalità organizzata. E così non ci sono più solo proclami politici degli anni Sessanta in cui la mafia spesso veniva indicata come “la mala”, ma con il suo nome, Cosa nostra, come pure verrà fuori dopo alcuni anni la parola ‘Ndrangheta, definita fino alla metà degli anni Ottanta come la mala calabrese. Non aveva neanche un nome sui giornali quella che adesso è diventata una delle più potenti organizzazioni mafiose in Europa.
Vengono in mente le parole di Ernest Hemingway: «Accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da esser contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava, era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute. Oltre a questo, nulla importava». Il cambio di passo in questa importante collezione d’archivio di Poliziamoderna, piena di documenti, si evidenzia a cavallo con le stragi del 1992, quelle in cui morirono accanto ai magistrati, i poliziotti dell’ufficio scorte di Palermo. Da quel sangue, da quelle bombe tutto è cambiato anche nella realizzazione e nell’impostazione di questo giornale. Lo dicono le pubblicazioni degli ultimi ventisette anni. È lo specchio dei tempi. E come tale oggi punta a far conoscere ogni particolare che può essere utile a contrastare le mafie, a sottolineare come gli strumenti giuridici e investigativi si sono adeguati ai tempi e alla trasformazione di queste organizzazioni, anche autoctone e non solo più tradizionali che vengono scoperte in importanti città, a cominciare dalla Capitale. Leonardo Sciascia diceva che «Il più grande difetto della società italiana è quello di essere senza memoria», penso che la lettura delle pagine, presenti e passate di un giornale possa aiutare gli italiani. Aiuto di cui hanno tanto bisogno. E per questo ho ritrovato nell’archivio di Poliziamoderna servizi pubblicati prima degli anni Novanta che parlavano dell’arresto di Luciano Liggio, del presidente Sandro Pertini che attaccava la mafia in discorsi ufficiali, del giudice Terranova ucciso, del “pericolo Aspromonte”, della legge sui pentiti. Tutto si rafforza dopo le stragi, con servizi sulla ‘Ndrangheta, sul carcere duro di mafiosi, il riciclaggio, la Camorra, e gli arresti dei grandi latitanti, le analisi di Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli, del procuratore Pier Luigi Vigna, ma anche la mafia che distrugge l’ambiente, quella che si espande in Emilia Romagna e Lombardia e Piemonte, i narcos, la mafia pugliese e i sequestri e la confisca dei beni ai boss e i padrini americani ancora collegati a quelli italiani.
Primum informare, diceva Luigi Einaudi, ma deinde anzi subito, comunicare, cioè parlarsi, in una realtà nella quale resta il bisogno di capire. Perché, non occorre solo parlare delle buche nelle strade, ma anche delle altre voragini. Primum informare è dunque esercitare l’attenzione a tutto ciò che accade senza indugiare alle rappresentazioni suggestive, ma per un bisogno di conoscere e approfondire. ϖ
*vice direttore de L’Espresso