Vincenzo R. Spagnolo*

Una lunga scia di terrore

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Roma, via Fani, 16 marzo 1978. L’agguato del commando delle Brigate rosse si è appena compiuto. Il presidente della Dc Aldo Moro è stato sequestrato dai terroristi. Stanno per avere inizio i 55 giorni più tenebrosi della storia repubblicana.

Da allora, sono trascorsi quarantuno anni. Ciononostante, il dolore e l’angoscia di quei momenti rivivono, muti e inquietanti, nella foto in bianco e nero del numero di “Polizia Moderna” di quel tragico marzo. La scena dello scontro a fuoco è affollata, con gli inquirenti che raccolgono reperti e, sullo sfondo, una folla dolente tenuta a distanza dagli agenti. La didascalia è quasi un’epigrafe: “La tragedia si è appena compiuta: nell’Alfa 1800 bianca della polizia e nella macchina scura dell’on. Moro sono ancora i corpi esanimi di Rivera, Leonardi e Ricci. A terra, pietosamente ricoperto dal lenzuolo, Raffaele Jozzino. Francesco Zizzi è stato trasportato al Policlinico Gemelli, dove morirà qualche ora dopo”.

Quell’immagine, scelta dall’allora direttore della rivista Enzo Felsani, e quelle parole restano incise, più che sulla carta delle cronache, nel marmo solenne della memoria del Paese, insanguinato in quegli “anni di piombo” dal furore assassino, insieme lucido e folle, dei terroristi di destra e di sinistra. Una stagione cupa e pericolosa, affrontata con coraggio dalle Istituzioni e dalle forze dell’ordine (che contarono alla fine centinaia di “vittime del dovere”) e raccontata lucidamente e con partecipazione emotiva sul mensile della polizia. 

Era accaduto così anche nei  decenni precedenti, in occasione di altri attentati che ferirono il Paese. A scorrere le vecchie raccolte di Poliziamoderna, dalle pagine riaffiorano vivide e prepotenti vicende quasi sepolte dall’oblio. Come quando, il 30 settembre 1967, nella stazione di Trento il brigadiere Filippo Foti e la guardia scelta Edoardo Martini persero la vita, mentre correvano per portare lontano dai passeggeri una valigetta-bomba scoperta sull’Alpen express proveniente da Innsbruck. Il loro estremo tentativo e la deflagrazione dell’ordigno che li uccise sono descritti dalla matita di un disegnatore, come si usava all’epoca, in un servizio sull’attentato che occupa diverse pagine di un numero di quell’anno. 

Ma, nei suoi ormai settant’anni di vita, Poliziamoderna non ha solo dato conto delle storie di eroismo e straordinario senso del dovere di quanti hanno combattuto e infine sconfitto, con testa e cuore, nell’osservanza delle leggi,  il terrorismo interno e i gruppi di natura eversiva. Ha infatti offerto, a chi ha saputo leggerla con attenzione, analisi e spunti di riflessione preziosi, messi nero su bianco da sagaci funzionari di ps ma anche da valenti cronisti (come non commuoversi nel vedere, fra  le tante, la firma di un collega di vaglia come il compianto Sandro Provvisionato).  Un patrimonio di sapere, di esperienza, di intelligenze che la polizia ha custodito, come una dote preziosa, e messo a frutto ancora quando, a cavallo fra la fine degli anni Novanta e gli albori del nuovo Millennio, la mano assassina delle Br, stavolta denominate “nuove», è tornata a colpire. Ci sono volute altre vittime, altri eroismi, come quello che ha portato al sacrificio del sovrintendente Emanuele Petri,  e la straordinaria capacità di un gruppo di investigatori guidati da chi oggi dirige la Polizia di Stato, per chiudere quella pagina. Nella mia memoria di cronista, è impressa in modo indelebile una conferenza stampa, improvvisata proprio accanto agli uffici di Polizia moderna, in cui i volti di Franco Gabrielli e Lamberto Giannini, all’epoca capo e vice della Digos romana, trasmettevano insieme il dolore per l’uccisione di un collega e il sollievo per gli arresti che smantellarono il gruppo.

In quegli stessi anni, però, lo spettro del terrorismo ha mutato pelle, allungando la sua funesta ombra su tutto il pianeta. Con l’immagine-shock degli aerei che penetrano nelle Twin Towers, tramutandole in un inferno di fuoco e acciaio fuso, su Poliziamoderna viene raccontata la nuova era del Terrore jihadista, proclamata dallo sceicco Osama bin Laden. Il terrorismo diventa globale, le stragi si susseguono e l’Europa diventa teatro dei folli gesti dei kamikaze: Madrid, Londra, Parigi piangono le proprie vittime, in una danza macabra sempre diversa, ma le cui note di fondo riecheggiano in ogni attacco. 

La polizia deve fronteggiare la nuova minaccia, deve tarare su obiettivi nuovi l’arte della prevenzione. E lo fa, pedinando e osservando, analizzando e deducendo, individuando progetti e scongiurando attacchi e minacce anche quando il terrorismo, dopo la morte di bin Laden e l’indebolimento del qaedismo, si parcellizza in una galassia di individui, di potenziali “jihadisti fai-da-te». È necessario comprendere, prima di agire, studiare un nemico a noi vicino, ma che attinge da lontano la linfa sanguinaria che lo fomenta e arma la sua mano. 

L’avvento del Califfato nero dell’Isis e dei suoi incitamenti via Web è solo l’ultima metamorfosi. Ancora una volta, con analisi di eccellenti investigatori, ora dirigenti come Claudio Galzerano, la rivista aiuta a mettere a fuoco il cambiamento, ad esempio interrogandosi sui risvolti del jihadismo in carcere. E siamo ai giorni nostri. L’ombra del Terrore aleggia ancora, ma guardare il mostro negli occhi, analizzarne la follia è servito, nei decenni, a contrastarlo. E servirà ancora. Perché, come ha detto un premio Nobel per la pace, l’unica speranza per sconfiggere il terrorismo sta nel rispetto delle regole delle nostre democrazie. ϖ

*giornalista dell’Avvenire

24/10/2019