Roberto Koch*

Scatti di storia

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70° Roberto Koch 01

Delitti, alluvioni, terremoti, frane, soccorso alpino, salvataggi con elicotteri, cerimonie di Stato, aeroporti, manifestazioni sportive, arresti, perlustrazioni, pattugliamenti.... infinito è il numero di situazioni in cui la Polizia di Stato ha agito e agisce da sempre per la protezione dei cittadini italiani e di tutti coloro che vivono nel nostro territorio.

Il 70° anniversario di Poliziamoderna, rivista che racconta dal 1949 tutto ciò, è particolarmente significativo per il momento che sta attraversando il nostro Paese. Noi cittadini sappiamo che nei momenti di maggiore difficoltà ci soccorre l’idea di rivolgerci alla polizia e in quei casi vorremmo che arrivasse presto, che risolvesse con la propria azione – cui nulla è sostituibile – l’emergenza che incombe. Le immagini che hanno accompagnato la narrazione di molti di questi interventi, pubblicate da Poliziamoderna, sono frutto del lavoro dello staff di fotografi della rivista e di molti collaboratori incaricati della documentazione.

Dalle prime foto del ’49 dove si vede un motociclista passare in mezzo al cerchio di fuoco durante la Festa della polizia di Napoli, a quelle del gabinetto fotosegnaletico per passare poi a una pattuglia appiedata, alla colonia estiva della polizia, a un pedinamento in macchina di un ricercato in autobus e al circolo ricreativo, si può ammirare come nella documentazione delle attività sia sempre presente l’atmosfera quotidiana, i momenti di celebrazione o di festa (ad esempio il lancio della Lambretta nel 1949, il Reparto a cavallo impegnato in un salto a ostacoli, ma anche l’addestramento, l’istruzione del personale, il Reparto cinofili e tanto altro), a rappresentare come la presenza della polizia accompagni sempre la vita dei cittadini. E sono dolcissime alcune immagini: ad esempio bambini festosi per la festa della Befana o soccorsi portandoli in braccio durante un alluvione. C’è uno sguardo professionale ma pieno di quella “innocenza” di ripresa che vuole caratterizzare anche un periodo come quello degli Anni ’50 e del dopoguerra pieno di speranza per un Paese migliore e più vivibile dopo gli orrori del conflitto.

Judo, nuoto, ginnastica, equitazione, atletica leggera sono alcune delle discipline della Fiamme oro impegnate anche durante le Olimpiadi, che testimoniano di un corpo di polizia che raggiunge anche livelli agonistici di grande rilievo.

Si potrebbe leggere questa grande galleria di immagini come una storia illustrata del nostro Paese. Non mancano i momenti di svago (come le ferie estive o le escursioni in montagna), i momenti della vita dei Papi, come i funerali di Pio XII, la scorta di Giovanni XXIII durante una udienza e Paolo VI accompagnato in una visita alla città; le grandi tragedie della seconda metà del ’900, come il Polesine, Firenze nel ’66, i terremoti in Sicilia e in Irpinia, e sempre, anche se a volte solo sullo sfondo, si nota come la presenza della polizia sia un elemento che ha accompagnato la nostra vita. 

«Le immagini, al loro massimo di passione e verità, possiedono lo stesso potere delle parole. Se non possono apportare cambiamenti possono, almeno, fornire uno specchio non distorto delle azioni umane e quindi dare forma alla consapevolezza umana e risvegliare le coscienze». Con questo atto di fiducia nella forza di una fotografia consapevolmente onesta Cornell Capa lanciava nel 1967 il suo progetto sulla fotografia impegnata. 

Il reportage d’impegno sociale, come può chiamarsi oggi questa collezione d’immagini, che s’iscrive in quella tradizione, ha una storia lunga e padri nobili, da Lewis Hine che negli USA dei primi del Novecento denunciava con le sue immagini il lavoro minorile impiegato nelle campagne, nelle città e nelle fabbriche, o prima ancora – intorno al 1890 – il danese Jacob Riis che, sempre a New York, decise di raccontare come viveva l’altra metà della città, quella che negli slums si muoveva invisibile agli occhi dei benpensanti. O il grande W. Eugene Smith, che dell’impegno fotografico fece una missione al punto di impegnarsi in prima persona e con tutte le conseguenze del caso, per denunciare ad esempio uno dei primi misfatti ecologici dei primi anni Settanta: l’avvelenamento, da parte dell’industria chimica Chisso, del lago fonte di vita per la comunità di Minamata, in Giappone. «Se un giovane fotografo, oggi – ha detto in un’intervista Sebastião Salgado – mi domandasse cosa si deve fare per diventare fotogiornalista, io risponderei – come di fatto rispondo – di fermarsi, di non fotografare per un po’ e invece studiare sociologia, antropologia, economia. Quando si riesce a comprendere il momento storico in cui viviamo, si riesce a saldare le proprie fotografie alla realtà, alla storia. Solo a questo punto le foto non hanno limite. Ogni lavoro fotografico deve potere essere visto all’interno di un processo. Se si riesce a comprendere tutto ciò, allora si può viaggiare dentro questo sistema».

Portare alla luce una storia, strappare dall’oblio un’immagine, significa raccontare non solo un fatto, un personaggio, una violazione, ma anche una visione. Nel fotogiornalismo contemporaneo, prendere parte significa sempre più interpretare, realizzare una fotografia che esca dal coro e interroghi, prima di tutto l’autore stesso e subito dopo l’osservatore, su quale sia il modo di vedere e di partecipare a questo mondo visivo in cui, malgrado tutto, ci muoviamo.

*direttore Agenzia Contrasto 

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33 anni d’amore 
di Carmelo Marabita

 «Carmelo, hai paura del buio?». Queste furono le parole del signor Lo Presti, titolare di un negozio di fotografia a Ragusa, la mia città, dal quale io, a 8 anni, andavo a fare i miei primi lavori: riordinare la bottega, pulire le vetrine, etc… Ma queste parole furono quelle che mi aprirono il mondo della fotografia: entrai in camera oscura e con la celluloide fu amore a prima vista! Da qui si può dire sia iniziata la mia storia, per arrivare al 1973 quando, giovane guardia del Reparto celere di Roma, partecipai al pellegrinaggio della polizia a Lourdes, dove incontrai il centralinista dell’Accademia (allora sede della redazione), che mi disse che stavano cercando un fotografo. Allora il mio desiderio era quello di fare il corso della Scientifica e tornare a casa, ma mi convinse e così iniziò un altro grande amore della mia vita, quello per Polizia Moderna (allora si scriveva ancora così), durato ben 33 anni, fino al 2006, ma che continua ancora oggi che curo la rubrica dedicata alle fotografie storiche. Poliziamoderna (oggi lo scriviamo così) è stata per me come una seconda moglie, per la quale l’amore non è mai tramontato. Non conto quante fotografie abbia scattato in 33 anni (milioni?) e di tutti i tipi: da quelle prettamente istituzionali ad altre caratterizzate dall’attimo. Tra i tanti servizi che ricordo ce ne sono alcuni che mi hanno particolarmente toccato, come quello sui soccorsi ai terremotati in Irpinia nel 1980, e altri che ricordo sorridendo, come il servizio con la Stradale sul lago di Garda quando dovemmo “coprire” la ruota bucata del motociclista (nessuno se n’è mai accorto!) oppure quello scatto “impubblicabile“ dove l’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro, a causa dell’angolazione sbagliata, sembrava baciasse una collega… Oggi ancora ne ridiamo insieme. Ho lavorato con tanti colleghi in oltre 30 anni di carriera da “paparazzo” della polizia, ma su tutti voglio ricordare colui che alla fine della mia storia da poliziotto mi ha fatto il regalo più bello, raccogliendo tutte le foto che mi aveva fatto mentre io inquadravo altre persone: Vincenzo Coraggio. Oggi, Poliziamoderna è cresciuta e le nuove leve che immortalano i momenti salienti della nostra Istituzione sono, di certo, di livello assoluto. Ho lasciato una buona eredità, quindi: auguri, Poliziamoderna mia! 

24/10/2019