Antonio Romano*

Settant'anni di progetto

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70° Romano

Immaginate di avere sotto gli occhi l’intera rassegna di Poliziamoderna, dal primo all’ultimo numero, e di guardare qua e là non solo il contenuto testuale ma l’insieme di copertine, titoli, immagini, didascalie: in una sola parola, il progetto della rivista.

Rileggere in questo modo settant’anni significa guardare il futuro del passato per capire il senso dei cambiamenti che hanno dato forma al nostro presente.

In questo senso, la prima notazione da fare è sulla testata: doveva chiamarsi L’Eco della Polizia, secondo una tendenza dell’epoca, ma avrebbe premiato solo il ruolo di testimone dei fatti e dei programmi destinati a migliorare informazione e consapevolezza del personale.

Venne adottata invece Polizia Moderna che, con lungimiranza, non si limitava a esplicitare una funzione, ma a indicare un fine: essere la forza di polizia che si proietta in avanti, dotandosi di tutti gli strumenti e delle relative competenze, perché pone al centro del proprio agire il cittadino.

La testata, d’altro canto, non è solo il marchio di un giornale ma l’elemento che simbolicamente unisce la visione di chi lo scrive con le idee e le attese di chi lo legge.

Così, scorrendo – purtroppo sommariamente – in sequenza cronologica l’archivio, saltano agli occhi i primi numeri, completamente in bianco e nero e “carichi di piombo”, come si dice nel nostro gergo, per indicare una sovrabbondanza di testo rispetto alle immagini.

Le copertine riportano una grande testata “giustificata”: Polizia Moderna è cioè composta su due righe e, per pareggiare la lunghezza, “Polizia” è realizzata in un corpo tipografico più grande. Lo stemma araldico, costituito dall’aquila coronata con il motto “Sub lege libertas”, campeggia in alto a sinistra. Una foto a tutta pagina, con corredo di didascalia, completa la copertina.

Il primo numero del ’52 introduce il “cremisi”, colore di riferimento del Corpo, per incorniciare la foto di copertina, dedicata come molte altre dei mesi di gennaio, all’appuntamento con la Befana della polizia.

Nel ’53 arrivano le prime copertine a colori. In quella di giugno, si vede Coppi in una tappa del Giro d’Italia, affiancato da una “guardia” della Stradale in motocicletta: la foto originale è chiaramente in bianco e nero e poi dipinta a mano… Nel frattempo, la testata è stata ridimensionata e ospitata in un box color cremisi. Nel ’54, il box diventerà più piccolo e bianco, mentre la testata sarà colorata di rosso: la rivista assume le caratteristiche proprie del magazine, valorizzando la foto di copertina.

La qualità di stampa aiuta a migliorare l’impianto generale e comincia una nuova stagione in cui la funzione descrittiva delle immagini viene integrata da una vocazione simbolica. Il numero di settembre ’54, ad esempio, ritrae un bambino sorridente ospite della “Casa del Fanciullo” della questura di Roma, dedicata ai “figli della strada”: l’immagine ha un impatto emotivo ben diverso rispetto alle normali foto di cronaca.

I Giochi di Cortina del ’56 trovano risalto nel numero di febbraio: in copertina, quattro degli atleti del Corpo delle guardie di ps (su ben sei partecipanti) sono ritratti sorridenti con l’uniforme della nazionale.

All’interno, un lungo servizio a colori racconta l’Olimpiade bianca e, al tempo stesso, esalta, con lo sport, il senso delle singole specializzazioni che danno valore al Corpo.

Nel ’58, la rivista si presenta con una veste rinnovata: la testata Polizia Moderna è organizzata su un’unica riga, preceduta sempre dallo stemma araldico, e occupa tutta la parte in alto della copertina su un campo bianco, una fascia che la separa dalla grande foto a tutta pagina.

Il numero di maggio ’60 introduce il tema della polizia femminile, ricordando che già dal ’46 è stato istituito un primo Corpo (al femminile) a Trieste. Quello di agosto parla invece delle duemila guardie di ps abilitate al “nuoto per salvamento” che nel periodo estivo hanno effettuato 384 salvataggi e 265 interventi lungo tutte le spiagge d’Italia: un modo per sottolineare da un lato il senso di solidarietà insito nel Corpo e, dall’altro, la capacità di specializzazione espressa dal personale.

Il numero dell’agosto ’61 è dedicato invece al ruolo esercitato dalla polizia stradale per garantire la sicurezza della circolazione durante il Ferragosto: l’Italia del boom economico ha scoperto la vacanza e la rivista ne restituisce un ritratto di forte impatto.

A volte, per dare enfasi a un’azione che non può essere rappresentata da foto di reportage, viene impiegata l’illustrazione (che sembra realizzata da Walter Molino): è il caso del numero di aprile ’64 che descrive il salvataggio eroico, da parte di una guardia, di un ragazzo che era caduto tra i binari proprio mentre stava per sopraggiungere un treno in velocità. Un’analoga illustrazione descriverà sul numero di ottobre ’67 il sacrificio di un brigadiere e di una guardia scelta della polizia ferroviaria di Trento che portano lontano dal treno in sosta in stazione, proveniente da Monaco e diretto a Roma, una valigia contenente una bomba a orologeria. I due sacrificheranno le loro vite per evitare la strage.

Il numero di settembre ’69 ha una copertina completamente diversa dalle altre: un grande 113 campeggia, con una composizione a colori, sul fondo bianco. L’Italia è il primo paese al mondo a dotarsi di un numero telefonico breve e facile da ricordare con cui chiedere soccorso immediato.

Il numero di settembre ’71 parla del potenziamento del Servizio aereo e la copertina è dedicata a un elicottero in volo, con la livrea grigio verde.

Rappresentare una polizia “moderna”, raccontando le innovazioni introdotte, è ormai una costante: dalle colonnine telefoniche del 113 alla preparazione degli allievi delle varie scuole; dall’introduzione dei cani Labrador per contrastare il traffico di droga negli aeroporti alla valorizzazione del ruolo dell’Interpol come barriera contro il crimine.

Nel ’75 la rivista cambia radicalmente il progetto grafico: una sottile cornice azzurra inquadra la foto di copertina mentre la parola polizia (composta appunto in minuscolo, in color cremisi) prende tutta la parte alta della pagina; l’attributo “moderna”, sempre in minuscolo, è riportato in nero con un carattere molto più piccolo.

Il numero di marzo ritrae tre ragazze sorridenti e un grande titolo annuncia: “Donne nella Polizia”. Un obiettivo lungamente perseguito è stato raggiunto.

A marzo ’77, la rivista ha rinnovato ulteriormente la veste grafica e la testata, in omaggio forse ai principi che la ispirano, è composta tutta in lettere maiuscole, nel carattere Avantgarde.

Erano i cosiddetti “Anni di piombo” e quella copertina, senza alcun titolo, riusciva a trasmettere un drammatico impatto: degli agenti fanno dei rilievi e, in primo piano, una pistola con accanto dei bossoli lascia intendere quello che è successo poiché si intravede un corpo coperto dal lenzuolo bianco. Sullo sfondo, l’Alfetta con la nuova livrea bianco-azzurra.

Il numero di novembre ’78 ha in copertina il saluto del nuovo Papa, Giovanni Paolo II, a bordo di un’auto scoperta, scortata dagli agenti in motocicletta.

Una copertina davvero bella sul piano dell’efficacia dell’immagine è quella di maggio ’81: protagonista è la mostrina della divisa, accompagnata da un titolo tanto discreto quanto forte: “25 aprile 1981/nasce la Polizia di Stato.”

Nel marzo ’83 è la volta dei nuovi “gradi” che evidenziano, attraverso l’abbandono delle stellette, l’avvenuta smilitarizzazione.

Altri quattro cambi di veste grafica hanno scandito il tempo della rivista dagli Anni ’80 ai giorni nostri.

Per essere “moderna”, infatti, deve onorare l’obbligo alla contemporaneità e questo non può avvenire solo attraverso il contenuto testuale ma anche rappresentando tale contenuto e quindi rappresentandosi in maniera moderna.

Ma l’aspetto più affascinante, in tutta questa ricostruzione, è proprio nella coerenza che vive nelle pagine della pubblicazione.

L’obiettivo mai smarrito è di non limitarsi ai fatti e al relativo racconto ma nel cercare il senso di un impegno che costituisce per tutti l’idea di futuro, il progetto, appunto.

L’identità delle cose e delle persone è spesso considerata come qualcosa di statico, mentre è proprio il naturale divenire, il senso del percorso e della relazione con il contesto ad assegnare valore al patrimonio che chiamiamo identità.

L’attuale Poliziamoderna è un prodotto editoriale molto più ricco, strutturato e articolato, rispetto al suo stesso passato.

Ha il compito non facile di raccontare cosa significhi essere una polizia moderna in un mondo complesso e in continuo cambiamento, come quello in cui viviamo.

Ma è proprio la dimensione del progetto, del gettare avanti (per riprendere il significato latino del termine), che dà a questi settant’anni il significato più pieno: ciò che viene espresso, ogni volta che Poliziamoderna arriva al suo lettore, diventa futuro se è in grado di restituire memoria e di generare appartenenza.

Settant’anni. Auguri. E il progetto continua…

*architetto e designer

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Fernando Muscinelli e il nuovo Poliziamoderna 
di Viola Muscinelli

Il settantennio della rivista Poliziamoderna coincide con l’ottantesimo compleanno di Fernando Muscinelli. La rivista c’è ancora, Fernando purtroppo no.

A maggior ragione non potevo certo tirarmi indietro quando mi è stato affettuosamente chiesto di “celebrare” la sua attività inerente alla rivista. Una rivista che ha accompagnato i primi sette anni della mia vita e alla quale ho anche partecipato “attivamente” servendo da modella per alcune copertine. Quella di cui mi ricordo meglio mi ritrae di spalle davanti al nostro passo carrabile spalancato sulla strada in sella alla mia bicicletta con le rotelline dietro mentre mi sporgo in avanti con prudenza circospetta.

Mio padre ha sempre costruito le immagini con una singolare saggezza grafica. Non c’era grafica senza fotografia né fotografia senza grafica. Dove finiva una cominciava l’altra e viceversa.

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta non si può dire che l’estetica fosse una priorità assoluta. 

Sono convinta abbiano fatto “storia” le copertine di papà o le pubblicazioni pubblicitarie per gli abbonamenti alla rivista perché si serviva di codici grafici esistenti e di riferimento riattualizzandoli continuamente.

Una ventata di novità in un magazine rigidamente ancorato all’origine di appartenenza.

Ricordo collage poi fotomeccanizzati e presentati in costruzioni sovrapposte. Colori e costruzione grafica seguivano al passo la famosa frase dell’illustratore statunitense Milton Glaser: «Less is more». Una foto sfuocata poteva innescare molta più curiosità di una immagine a fuoco. Soprattutto quando si illustra un crimine. È un po’ il principio di quando il regista Michelangelo Antonioni presentava i protagonisti per lunghi minuti di spalle a inizio pellicola… non faceva altro che istigare la curiosità dello spettatore all’eccesso.

La collaborazione con Poliziamoderna si concluse nel 1985 durante una straordinaria nevicata a Roma… Ma le tante innovazioni e collaborazioni portate avanti durante gli anni per fortuna non sparirono come orme sulla neve e c’è chi in luoghi istituzionali tiene ancora appeso il calendario della polizia realizzato da papà. Perché? Perché è bello e su questo sono d’accordo tutti i sopravvissuti. Riporto una delle sue definizioni che ritengo più significative: «Capire un’epoca significa disegnarne i contorni per poterla confrontare con un’altra».

24/10/2019