Carlo Verna*

Uno storico traguardo

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70° Verna 02

Nel 1948, nello stesso anno della riapertura della “Fiera di Milano”, all’ombra della “Madonnina” si vivono tempi e modi culturalmente felici, dopo gli anni bui della guerra, e fu così lanciata “Pirelli. Rivista di informazione e di tecnica” che guadagnò un posto di prima fila nella storia del giornalismo della house communication. Dopo pochi mesi, il 30 gennaio 1949, esordì un altro house organ, Polizia Moderna, per essere “punto d’incontro di quanti dedicano alla polizia italiana la loro fatica diuturna”, come è precisato nella presentazione della pubblicazione. Un periodico che nel tempo si è consolidato come strumento di comunicazione (e di giornalismo) all’interno dei reparti della polizia, sviluppando quella cultura strettamente professionale, auspicata nel primo editoriale.

Cultura basata su autentiche competenze nel campo criminologico e sociologico che non prescinde dalla cronaca quotidiana che – più della teoria – orienta e affina le capacità di tutti coloro che sono impiegati per la sicurezza dei cittadini con “Disciplina, Fedeltà e Sacrificio”, come è titolato l’articolo del 30 gennaio 1949, dedicato all’annuale della fondazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza.

In settant’anni di Poliziamoderna, il comunicare all’interno si è imposto come scansione della vita organizzativa, attraverso gli accadimenti, i momenti di incontro e i comportamenti comuni, spesso pieni di significato simbolico e di rilievo sociale. Un medium che ha dato una visibilità determinante, all’interno della polizia nel suo complesso. Numero dopo numero, ha ricordato tante storie delle donne, degli uomini, dei compiti e delle funzioni che quotidianamente sono assegnati, a tutela della pubblica sicurezza, in nome della legge. Storie di abnegazione.

Nel partecipare a questo traguardo storico della Rivista voglio ricordare il mutamento in atto nella professione giornalistica che richiede appropriate tecniche, teorie, linguaggi e strumenti, che stanno creando nuove figure, specializzazioni, competenze e abilità. È un giornalismo che si rinnova e che impone nuovi modelli di scrittura. L’accesso agli archivi, alle agenzie, ai dati e la conoscenza degli eventi in corso è istantaneo; la visualizzazione, i video, le immagini sono la nuova narrazione. La professione si muove negli ambiti soprattutto dei social network, del data journalism, del cityzen journalism, del mobile journalism, del brand reporter, del reputation manager. La mediazione dell’informazione, inoltre, incontra la funzione sociale ed etica, in un processo di produzione che non è solo controllo del flusso delle notizie, ma si confronta con la fiducia, la credibilità e la trasparenza.

L’accesso alla Rete, lungi dall’essere una forma di semplificazione e alleggerimento del percorso redazionale, è il luogo in cui va messa in luce l’etica giornalistica, come valore primario di una professionalità “aumentata”.

In questo scenario, si deve comprendere quanto sia delicata la definizione di un percorso formativo per una professione che si sta adeguando, e dovrà farlo ancor di più in futuro, per i cambiamenti continui, spesso determinati da disintermediazione.

Non è facile comprendere e recepire come questo “ecosistema” abbia cambiato il “fare” nei mass media, e come ne abbia stravolto le dinamiche. Come è accaduto e si sta sviluppando nella comunicazione da/per i media, sia nelle organizzazioni pubbliche che in quelle private. Dal momento che, grazie al web (blog, Facebook, Twitter, YouTube, ecc.) oggi ogni organizzazione decide da sola dove, quando e – soprattutto – cosa e per chi pubblicare una notizia.

Tutto ruota attorno al principio nato con il web 2.0, cioè la possibilità di immagazzinare ed elaborare quantità enormi di dati, in breve tempo. Conseguentemente nella professione giornalistica il luogo fisico delle redazioni sta scomparendo, a vantaggio di quella che è denominata “virtual newsroom”, una “redazione virtuale”. Con i mezzi adatti, un giornalista può lavorare da casa, da un bar, in viaggio su un treno. È fondamentale comprendere che non si può considerare il giornalismo come qualcosa di statico. Siamo di fronte a una continua trasformazione che dipende da una serie di fattori tecnologici e sociali non trascurabili.  

*presidente Ordine dei giornalisti

24/10/2019