Annalisa Bucchieri

la nostra carta d’identità

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70° Gabrielli

Nomen omen dicevano i latini, Un nome, un destino. Il nostro lo portiamo nella testata: comunicare la continua evoluzione dell’Amministrazione di pari passo  con la società rimanendo fedele alle proprie radici. Poliziamoderna oggi è una parola unica, come unica è l’identità della polizia che racconta, come unica e rara è la sua longevità nel panorama delle riviste italiane, come unico e speciale il suo editore, il capo della Polizia Franco Gabrielli. Va da se che sia il primo con cui condividere questo traguardo dei 70 anni della rivista.

Ci può raccontare qual è stato il primo incontro con Poliziamoderna
L’ho conosciuta quando sono arrivato nel 1985 al Reparto mobile di Genova dove, tra le molte riviste militari, campeggiava proprio Poliziamoderna. Devo dire che mi sono appassionato “in progress”. Ho imparato ad apprezzare, via via come la rivista seguisse l’evoluzione dell’Amministrazione nel tempo. Non ne parlo bene perché oggi ne sono l’editore (in qualità di presidente del Fondo assistenza del personale ps, ndr), ma perché riconosco a  Poliziamoderna il pregio della bellezza, della cifra estetica che la rende maggiormente fruibile, e il pregio dei contenuti di sostanza. È ricca di focus che sono espressione dei tanti saperi e competenze della Polizia di Stato e al tempo stesso di rubriche che rappresentano una sorta di finestra sulla vita dell’Amministrazione e sul patrimonio di umanità che contiene. La rivista è anche un luogo dove i colleghi possono rivedersi, penso per esempio al fotoracconto “Un giorno con”, e credo che ciò sia motivo di grande soddisfazione, una sorta di riconoscimento per il lavoro e l’impegno quotidiani. Persino per chi, come me, ha da molto tempo il privilegio o forse la sventura di stare sotto le luci della ribalta, rivedersi su un giornale fa sempre un certo effetto. 

A questo proposito, quale effetto le ha fatto rileggere sulle nostre pagine l’articolo che raccontava della sua indagine sulle Nuove Brigate rosse e nel vedere pubblicata il mese dopo la sua foto durante la premiazione alla Festa della polizia?
Diciamo che quella situazione mi ha permesso di riparare a una mancanza grave nei confronti dei miei genitori. Provengo da una famiglia molto umile: i miei avevano solo la quinta elementare. In un atto di grandissima insensibilità, il giorno in cui mi laureai uscii di casa senza dire nulla, privandoli così di una gioia enorme e del riconoscimento del merito di avermi consentito di studiare. Passata questa fase di giovanilistica esuberanza e indipendenza, ho vissuto quella vicenda come un peccato da farmi perdonare e se avessi potuto riavvolgere il nastro della vita avrei sicuramente fatto di tutto per non provocare loro quel dispiacere. L’occasione mi fu offerta quando fui ricevuto al Quirinale per la premiazione dal presidente Ciampi che non poteva intervenire alle celebrazioni a Piazza del Popolo. In quella occasione portai i miei genitori a parziale ristoro di un torto patito e le foto ricordo rafforzarono quel tardivo risarcimento.

Nel panorama mediatico attuale, dominato dai social, la rivista può comunque rivestire un ruolo significativo sia nell’ambito della comunicazione istituzionale che dell’informazione? 
Certamente. Tanto più in un’epoca nella quale veicolare immagini e informazioni è un’attività planetaria, ma anche indistinta e spesso non certificata. Oggi il problema non è avere un’informazione ma cercarla. Nonché essere sicuri della sua veridicità. Poliziamoderna è uno strumento che presta un’attenzione diversa alle tematiche riguardanti la sicurezza e la legalità, attinge a fonti primarie, elabora analisi dei dati, parte dai fatti e arriva al loro approfondimento. Ne è una riprova che sia spesso rassegnata e ripresa dalle testate esterne.

La rivista è nata nel 1949 per rafforzare il senso di appartenenza e per costruire un sistema identitario. Secondo lei oggi svolge ancora questa funzione?
Assolutamente sì. Paradossalmente, proprio in un’epoca fluida come la nostra, Poliziamoderna risulta un luogo definito e circostanziato che fa riconoscere in maniera diretta le persone, il loro lavoro, il territorio in cui prestano servizio, i contesti sociali nei quali operano. Poliziamoderna è un simbolo che ha segnato positivamente la nostra storia passata, il nostro presente e sono sicuro che continuerà a farlo. La rivista, nel suo stesso titolo, riveste un’importanza che cerco sempre di sottolineare: fin da quando ho iniziato questo percorso, la mia ambizione era quella di passare dalle polizie a un’unica polizia nel tempo. Dobbiamo evitare una dispersione identitaria: non è raro leggere “è intervenuta la Digos e la polizia” come se fossero due entità distinte. Occorre recuperare questa identità e riconoscere le proprie radici per essere orgogliosi e compiere meglio il nostro lavoro, perché più si è consapevoli del nostro passato e della nostra appartenenza, più si è disponibili a intercettare i bisogni degli altri.

Non solo in qualità di capo della Polizia e di nostro editore ma anche come nostro abbonato, riceve la rivista cartacea. Ama ancora la carta o è diventato anche per necessità lavorative un lettore digitale?
Non sono un “nativo” ma un “primitivo” digitale e il valore della carta ha per me ancora un fascino straordinario perché sono anche un buon lettore di libri e non di e-book, anche se ho grande considerazione e rispetto per queste novità. Sfogliare qualcosa che abbia questa materialità come la rivista è una sorta di appartenenza generazionale. Ho la fortuna di averla in anteprima e arriva anche in Toscana, poiché ho regalato al mio papà l’abbonamento. Le poche volte che torno a casa la vedo impilata sempre in ordine nella sua camera, e dato che ho molte occasioni di comparire tra le pagine credo che viva questa cosa con un pizzico di orgoglio. Io la sfoglio sempre con un certo gusto e con calma. A volte mi attardo a leggere alcune rubriche, come i servizi che riguardano le attività della questura nella provincia di riferimento, così come apprezzo molto la rubrica “Dal nostro album” che racconta quello che siamo stati, attraverso le foto che ritraggono i colleghi nel passato.

Recentemente, a margine del vertice dei capi delle polizie europee svoltosi a L’Aia, ha presentato il secondo volume del fumetto Il Commissario Mascherpa, nella versione inglese per Europol. Cosa pensa di questo nuovo progetto editoriale di Poliziamoderna?
Credo che Il Commissario Mascherpa sia un ottimo mezzo per avvicinare i giovani ai temi della legalità utilizzando l’immediatezza e la contemporaneità della narrazione del graphic novel. Dopo il successo del primo volume La rosa d’argento, che condividiamo con il Miur, il quale ha fatto conoscere il fumetto nelle scuole italiane, mi sono sentito onorato di presentare questa seconda edizione in lingua inglese dal titolo Murky waters, frutto della collaborazione tra la redazione di Poliziamoderna e l’Ufficio relazioni esterne di Europol. E i riscontri sono stati numerosi in sala. Anche con un fumetto si può fare squadra. Come spesso dico, da soli si va più veloci ma insieme si va più lontano. Come mi auguro accada a Mascherpa.

Poliziamoderna è una sorta di album di famiglia, uno strumento di comunicazione, nonché di aggiornamento professionale, grazie ai suoi inserti. Negli ultimi sette anni, versando i suoi introiti al Piano Marco Valerio, è diventato anche un mezzo di solidarietà. Cosa vorrebbe in più nella rivista?
Credo che la rivista nel tempo si sia evoluta e abbia intercettato le esigenze dei suoi lettori, mantenendo però alcune caratteristiche: dare informazioni sulla vita professionale e non dei poliziotti, ed essere uno strumento di divulgazione e di formazione. Parto sempre dal presupposto che la ricerca, a volte puramente modaiola, di fare qualcosa di nuovo, in fondo, lascia il tempo che trova. Però penso che Poliziamoderna ancora “esca fuori” prepotentemente, forte della sua storia, delle sue qualità, del messaggio di cui è portatrice, per cui lunga vita alla rivista! Poi se si devono fare delle operazioni di restyling ben vengano, anche se credo sia già ricca della varietà di quello che rappresentiamo, di tanta positività, anche al di fuori di quelle che sono le missioni istituzionali. C’è uno straordinario patrimonio di umanità di cui i poliziotti sono portatori: mille progetti e iniziative che mi rendono particolarmente orgoglioso. Dobbiamo continuare a dargli spazio sulle nostre pagine come già fate nella rubrica “Parliamo di noi”, parallelamente al racconto dell’attività di prevenzione e repressione della criminalità e dell’illegalità. Inoltre trovo importante che negli speciali di Poliziamoderna sulla violenza di genere si dia conto dell’attenzione sempre maggiore che l’Amministrazione sta prestando non solo a chi deve essere perseguito perché ha commesso un reato, ma soprattutto a chi di quel crimine è stata vittima. 
Rivendico poi con sempre maggiore orgoglio che noi siamo il corpo armato dello Stato che ha il numero più elevato di colleghe e da più tempo. Le poliziotte non hanno più il ruolo di suffragette, ma sono donne di grande sostanza e oggi sono arrivate a ricoprire anche livelli apicali: ormai il tema del genere è superato ma è una straordinaria ricchezza di cui siamo particolarmente fieri. Non è un caso che la direttrice di Poliziamoderna sia una donna!

24/10/2019