Nuccio Anselmo*
Una finestra sullo Stretto
Dai fasti della Magna Grecia all’infiltrazione mafiosa e alle difficoltà economiche e di occupazione del presente. Oggi Messina sta rinascendo, anche grazie a un nuovo rapporto con le forze dell’ordine
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essina si specchia nel mare ormai da molti secoli. I primi suoi bagliori di civiltà sono segnati sul libro della storia all’ottavo secolo prima di Cristo, quando i coloni calcidesi decisero di non ripartire con le loro navi verso la madre Grecia. Fu prima Zancle, ovvero “falce”, poi Messana. Visse le guerre tra greci e cartaginesi per il dominio del Mediterraneo, finché non se ne impadronirono i romani. Al tempo dei Bizantini la sua espansione fu intensa grazie al mare, fino all’arrivo dei saraceni, poi fu dominazione normanna. Nel Medioevo conobbe i fasti di un ruolo di primissimo piano nel Mediterraneo e divenne bacino d’interscambio dell’intera Europa. Soffrì sotto Federico II di Svevia, mentre con Carlo d’Angiò fu a lungo in competizione con Palermo come capitale della Sicilia. Dopo alterne vicende e fortune Messina conobbe una rinascita economica e strategica, poi però si alleò coi francesi, che l’abbandonarono nuovamente agli spagnoli. Fu questo l’inizio della grande decadenza. E quando ormai s’era risollevata, arrivò l’immane tragedia del 1908 a cancellarla quasi completamente: uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo.
Oggi la città soffre una recessione economica con una grave fase di regressione dell’attività industriale e cantieristica, e per una sua naturale vocazione al settore terziario. Qui la criminalità organizzata, nei decenni precedenti, è stata molto pervasiva, protetta da alleanze sotterranee con alcuni spicchi compiacenti e affaristici della classe imprenditoriale e dei professionisti di settore.
Messina come città “babba”, quindi, è una “favoletta” del tutto fuori luogo, frutto di una falsa rappresentazione della realtà, che negli anni ha fatto comodo a tutti, soprattutto ai mafiosi. La verità è che nella provincia di Messina c’è stata una sottovalutazione del fenomeno mafioso a cavallo tra gli Anni ’70 e ’80, che ha provocato un ispessimento della cornice mafiosa e ha consentito soprattutto ai gruppi criminali messinesi e di Barcellona Pozzo di Gotto di proliferare e di associarsi con i gruppi palermitani, catanesi e calabresi. Non a caso nelle operazioni anticrimine di questi anni, se si va a guardare i capi d’imputazione dei reati, si parla anche di “Cosa nostra barcellonese”. Messina è stata anche territorio di interscambio, dove ci sono state forti cointeressenze e affari illeciti tra la ’Ndrangheta e Cosa nostra palermitana e catanese, sin dagli Anni ’70; in alcuni casi vi venivano a svernare mafiosi eccellenti radicando, a loro volta, altri interessi in aderenza alla ben nota contaminazione propria della mafia. Il pentito Marino Mannoia in una deposizione al processo per l’omicidio di Graziella Campagna, ha affermato che a Barcellona Pozzo di Gotto negli Anni ’80 venne impiantata una raffineria di eroina sul modello di quelle palermitane.
Se si vanno poi a leggere le analisi tecniche della seconda metà degli anni Sessanta dei cosiddetti esperti di mafia, praticamente la totalità di osservatori riteneva la Sicilia Orientale, e in particolare le province di Messina e di Siracusa, non assoggettabile al fenomeno per ragioni storiche, etnic