Rodolfo Giungi*

La giurisdizione in alto mare

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Regole e principi vigenti

1. Principi generali

L’idea della giurisdizione, e in specie della giurisdizione penale, sull’alto mare (che, con altra terminologia forse più suggestiva, può altresì definirsi come mare “libero” o mare extraterritoriale) integra a ben vedere di per sé stessa un possibile ossimoro che necessita di un approfondimento, logico e giuridico.

L’alto mare, difatti, è per definizione un luogo che teoricamente non tollera (o non dovrebbe tollerare), la giurisdizione di alcuno Stato, se è vero come è vero che già il diritto internazionale consuetudinario fissava il principio della “libertà” dell’alto mare. Tale principio fonda il diritto di ciascuno Stato, anche non costiero, a trarre dal mare libero tutte le possibilità di utilizzazione e di sfruttamento economico, con il solo limite del rispetto del paritetico diritto di ciascun altro Stato. Una condizione, come è evidente, radicalmente diversa da quella del mare territoriale o costiero che, per definizione – e salve talune importanti eccezioni, fra le quali principalmente quella del diritto di passaggio inoffensivo (art. 17 e seguenti della Convenzione Unclos – United nation convention on the law of the sea, detta anche Convenzione di Montego Bay, dal luogo della sua sottoscrizione, firmata il 10 Dicembre 1992 e ratificata dall’Italia con la l. 689/1994 – di seguito denominata “Conv.”) di ogni nave, anche militare, straniera, e alla rinuncia all’esercizio della giurisdizione (salve anche qui le eccezioni più avanti riportate), da parte dello stato costiero, sui fatti avvenuti a bordo di dette navi (art. 27 Conv.) – è invece naturalmente soggetto alla giurisdizione dello Stato che ne è titolare. 

Oggi la libertà dell’alto mare è enunciata negli artt. 87 e 90 della Conv. che codificano i richiamati principi di diritto internazionale consuetudinario. Se dunque tutti gli Stati hanno il diritto di far navigare le proprie navi, sotto la propria bandiera, sull’alto mare, se ne ricava immediatamente che il principio di libertà dell’alto mare non può in alcun modo essere scisso, e anzi si attua attraverso il correlativo principio di diritto internazionale consuetudinario che va sotto il nome di “legge della bandiera”.

Anche la “legge della bandiera” è oggi codificata nella richiamata Conv. che chiarisce innanzitutto come ogni nave debba battere la bandiera dello Stato cui essa appartiene (secondo i criteri di collegamento e le condizioni disposte da ciascuno stato, a mente di quanto previsto dall’art. 91 Conv.), e sancisce (all’art. 92) che, salvo disposizioni eccezionali, ogni nave in alto mare è soggetta esclusivamente alla giurisdizione dello Stato di cui batte bandiera. Va osservato come la disciplina dettata dalla Convenzione di Montego Bay sia stata anticipata, almeno per il nostro Paese, dall’art. 4, comma 2 del codice penale, il quale – in ossequio al generale principio della territorialità della giurisdizione penale – stabilisce, tra l’altro, che “le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad una legge territoriale straniera”.

In termini generali, invece, la giurisdizione penale italiana è fondata sul principio di territorialità (seppure ubiqua ai sensi dell’art. 6 cp), temperata da specifiche eccezioni previste dagli articoli da 7 a 10 del codice penale. L’art. 7 (così come l’art. 9) realizza invero una istanza di universalità della legge penale italiana, mentre l’art. 8 costituisce una evidente esplicazione del principio di difesa. L’art. 10, infine, detta i limiti di punibilità secondo la legge e la giurisdizione italiana del delitto comune commesso dallo straniero all’estero. L’esame dei due fondamentali principi sopra richiamati, quello della libertà dell’alto mare e quello della legge della bandiera, consente dunque di concludere che – in termini generali – in alto mare tutti gli Stati hanno l’obbligo di astenersi dall’interferire nella vita e nelle attività delle unità navali altrui. Questa conclusione tuttavia, che può dirsi praticamente assoluta solo per le navi militari e in servizio di Stato (cfr. artt. 95 e 96 Conv.), incontra una serie di limiti e di deroghe già alla luce della disciplina stessa della Convenzione di Montego Bay.

2. Deroghe ai principi generali

Il riferimento è innanzitutto alla possibilità, concessa dall’art. 105 della Conv. a qualsiasi nave militare o in servizio di Stato (purché riconoscibile come tale) appartenente a qualsiasi Stato, di procedere in alto mare al sequestro della nave e dei beni in essa contenuti, come pure all’arresto delle persone a bordo, nell’ipotesi di esercizio della pirateria (come definita dall’art. 101 Conv.). Lo Stato attore potrà, in tal caso, esercitare la propria giurisdizione penale piena sulla nave e sui responsabili degli atti di pirateria, come – in sostanza – se il fatto fosse avvenuto nelle proprie acque territoriali.

Ulteriore analoga deroga è costituita dall’art. 109 della Conv. che, in materia di trasmissioni non autorizzate provenienti dall’alto mare, fonda la giurisdizione non solo (come è ovvio secondo i principi generali) dello Stato di bandiera della nave da cui provengono le trasmissioni, ma anche di altri Stati comunque coinvolti, fra cui naturalmente quello verso il quale le trasmissioni sono rivolte. Altre deroghe, seppure limitate alla sola cosiddetta “Jurisdiction to enforce” (cioè in sostanza alla giurisdizione di polizia) sono fissate dagli art. 110 e 111 Conv. che prevedono, rispettivamente, il diritto di visita e quello di inseguimento in alto mare. Il primo è consentito, nei confronti di navi mercantili sospettate di pirateria, tratta degli schiavi, trasmissione abusive, ovvero prive di nazionalità, da parte di navi militari e/o in evidente servizio di Stato appartenenti a qualsiasi Stato, il secondo è previsto come prosecuzione, in alto mare, di un inseguimento già iniziato nelle proprie acque territoriali da parte di navi militari di uno Stato costiero. Come temperamento al principio della legge della bandiera è altresì necessario menzionare il disposto dell’art. 27 Conv. che consente a quest’ultimo – nel concorso di specifiche ulteriori condizioni, tutte sostanzialmente ispirate all’ “interesse” dello Stato costiero – di esercitare eccezionalmente la propria giurisdizione su fatti avvenuti su navi straniere in transito nelle proprie acque territoriali. Il meccanismo operativo dei principi di libertà dell’alto mare e della legge della bandiera è tuttavia ostacolato, nella pratica, da tutte quelle ipotesi in cui determinati fatti di rilievo penale coinvolgano in alto mare contemporaneamente più navi o si verifichino (si pensi ad una condotta che partendo da una nave provochi un evento su un’altra) su più navi (ovviamente battenti bandiera diversa).

La Convenzione di Montego Bay non si preoccupa di fornire una specifica soluzione al problema – salvo che (parzialmente) all’art. 97 – che va quindi affrontato alla luce dei principi consuetudinari di diritto internazionale fissati in argomento soprattutto a seguito della decisione del 1927, da parte della Corte Permanente di Giustizia Internazionale, del noto caso “Lotus”. La Corte aveva in quel caso difatti stabilito che, nell’ipotesi di delitti a verificazione “frazionata” fra diverse navi, doveva certamente essere riconosciuta (anche) la giurisdizione penale dello stato cui apparteneva la nave in cui l’evento (e non invece la cond

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03/07/2019