Cristina Di Lucente e Anacleto Flori

Lezioni di rock

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La musica come strumento per cambiare la società, le nuove modalità di ascolto e le grandi storie di resilienza: Poliziamoderna ne parla con Paola Maugeri, storico volto di Mtv

interv 5/19

“Tutti i giorni cerchiamo di scegliere la musica per diventare la versione migliore di noi stessi...”, inizia così una delle trasmissioni quotidiane di Virgin radio nella fascia oraria mattutina, due ore di intrattenimento con la più famosa storyteller della musica rock, Paola Maugeri, che con la sua voce vellutata, ma allo stesso tempo appassionata e decisa, conduce il programma dal 2016. Giornalista e presentatrice televisiva, dopo aver debuttato nel 1991 scrivendo trasmissioni musicali per tv locali, nel ’93 è passata a Videomusic e a Mtv nel 2001, con programmi nei quali ha raccontato la storia del rock, la genesi dei brani più significativi e ha intervistato le più grandi rockstar internazionali. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione della presentazione dell’audiolibro Rock & Resilienza.

Quest’anno ricorre il 50° anniversario di Woodstock, un evento in cui tutti i partecipanti vedevano il rock come un modo per cambiare il mondo. Pensi che ci siano ancora artisti che attraverso la musica vogliono portare avanti quegli stessi ideali o parliamo semplicemente di casi isolati?
No, non credo si tratti di casi isolati, il desiderio di cambiare il mondo, anche attraverso la musica, è connaturato nell’essere umano. Se si tratta poi di artisti del calibro di Roger Waters, Patty Smith, Bob Dylan, o Woody Guthrie, poco cambia. Credo piuttosto che tutti noi dovremmo alimentare questo desiderio che non deve essere prerogativa di menti illuminate. Molte di queste rockstar che ho avuto modo di conoscere da vicino, come Lou Reed o Dave Byrne dei Talking Heads, riescono a spingere le persone “normali” a dare il meglio di se stessi nella loro  vita, ed è anche quello che cerco di fare con il mio programma radiofonico e con i miei libri. Comunque secondo  me Woodstock sarà una figata pazzesca, perché quello spirito del rock non è cambiato, certe cose non vengono più raccontate;  siamo talmente presi da un certo tipo di sound commerciale che non si parla più degli ideali dietro la musica. Bisognerebbe solo che l’essere umano di oggi, sempre più distratto e approssimativo, si concentrasse sul significato reale delle cose.  

Sembrerebbe, però,  che i giovani preferiscano ascoltare altro...
Manca la cultura. Quella commerciale è la musica che “passano” maggiormente, non c’è più lo storytelling, quindi, ovviamente, ha la meglio ciò che è più immediato. I giovani non sono tutti così, molti amano profondamente la musica rock, ma fondamentalmente se ne parla meno perché sono una minoranza. Nel panorama rock ci sono molti nuovi artisti, ma la conversazione radiofonica è abbastanza superficiale e poi manca una classe di discografici in grado di mettere l’accento su questo. Io sono comunque fiduciosa e continuo a puntare i riflettori sulle storie di riscatto e di rivincita.  

Hai incontrato innumerevoli rockstar, qual è la grande intervista che ti manca e chi ti ha deluso o stupito di più?  
Sogno di intervistare Eric Clapton, soltanto a pensarci mi emoziono. La sua è la storia di un grande resiliente, uno che ha saputo rinascere. Di tutte le interviste che ho fatto nessuno mi ha deluso, forse un po’ di delusione c’è stata con Bob Geldof la prima volta, ma  quando ci siamo rincontrati si sono create le giuste condizioni; credo che ogni cosa dipenda da una congiuntura fortunata. Una persona come Roger Waters, la mente dietro i Pink Floyd, mi ha ispirato moltissimo, così come Bono degli U2 e Chris Martin dei Coldplay. Tutti loro avevano qualcosa di profondamente interessante da dire.

Il passaggio dal vinile al cd e infine al digitale rappresenta un tipo diverso di ascolto. Secondo te questi passaggi hanno ridotto la musica a un mero sottofondo?
Il supporto sicuramente fa la differenza, ma è anche il livello di attenzione che si è molto abbassato. Mettere il vinile sul “piatto” richiede una scelta precisa, la musica “liquida”, cioè quella digitale, è più casuale. Dovremmo però imparare a riappropriarci dell’ascolto indipendentemente dal supporto che si utilizza. Purtroppo anche nella comunicazione tra le persone manca questa capacità,  è come se venisse meno un certo tipo di volontà all’attenzione. Credo si debba trovare un modo nuovo di ascoltare l’essere umano, in ogni sua espressione, anche a prescindere dalla musica.  

Paola cosa rappresenta per te la musica?
Non uso le mie parole, ma quelle di Torquato Tasso, il grande poeta: “la musica è l’unica forma d’arte attraverso la quale l’anima torna al cielo”. Mi sembra una definizione talmente perfetta che non posso stare ad aggiungere altro. È l’unica forma d’arte che dà quella particolare sensazione, quell’emozione, quei ricordi, quella nostalgia, quella felicità... decisamente.

Parliamo dei talent: apparentemente si basano su un meccanismo che privilegia l’esecuzione dei brani e non tanto l’autorialità, e continuano ad avere successo tra i giovani…
Si dovrebbe privilegiare maggiormente la lunga distanza e non l’immediatezza. È vero che l’esecuzione arriva prima rispetto ai contenuti, però dei talent non ne penso male in realtà, sono pur sempre un’ occasione. Lou Reed, ad esempio, all’inizio scriveva jingle pubblicitari, prima delle grandi canzoni dei Velvet Underground e della sua carriera da solista. Da qualche parte bisogna pur cominciare, dipende poi da te cogliere al volo l’occasione.  

E i social, possono aiutare l’autoproduzione degli artisti?
Certamente. Oramai è tutto orizzontale e si moltiplicano le opportunità. Anche in questo caso dipende da come si usano i social, oggi è possibile raggiungere un’etichetta a Seattle, pur abitando a Catania: prima tutto questo era impensabile. Bisogna capire le possibilità che il nostro tempo ci offre e vivere di conseguenza. 

Il passaggio di Virgin radio verso la tv comporta delle differenze nella possibilità di esprimersi?  
Le possibilità espressive dipendono dall’editore, dal conduttore e dal tipo di programma che si vuole fare, ma anche da quello che hai da dire. Per me lavorare in radio o in tv non significa necessariamente dover cambiare il contenuto di ciò che ho da dire.  

A Musica contro le mafie, che si è tenuto a Cosenza lo scorso dicembre, Poliziamoderna ha premiato un giovane cantautore, pensi che questo possa contribuire a far crescere la coscienza civile dei ragazzi?
Tra le cose che ricordo con maggior piacere nella mia vita c’è il concerto per Falcone e Borsellino che ho presentato a Palermo. In quell’occasione avevo un groppo in gola , era come se le mie corde vocali si fossero paralizzate. Sentivo la partecipazione di una società onesta e pulita e la voglia di riscatto. Io sono siciliana, cresciuta a Catania negli anni più duri. Quando ero piccola, la mia città era altamente connivente con il potere mafioso, ricordo i cassonetti  che bruciavano la notte e nelle strade si respirava violenza. Sono convinta che la coscienza civile, la cultura e la bellezza ci potranno salvare. Bisognerebbe regalare a ogni bambino che vive in una città disagiata uno strumento musicale, perché la musica ci può salvare. Abbiamo il dovere di far crescere l’onestà interiore e manifestazioni come queste aiutano a coltivare certi valori.  

Nel tuo libro parli di essere rock e di resilienza, due qualità che  fanno pensare al mestiere del poliziotto… 
Sono assolutamente d’accordo. Quella del poliziotto è una professione di aiuto: chi la sceglie ha un grande senso di missione e di altruismo. Esprime un sano desiderio di partecipazione alla vita di comunità, ed è uno di quei lavori in cui si mette in gioco la propria  vita, perché non si sa mai in che situazione ci si potrà trovare. Ho  sempre avuto molta ammirazione nei confronti di chi si schiera in difesa dell’altro, mettendo la propria vita e il proprio lavoro, al servizio di tutti. Per questo essere poliziotto è super rock e richiede tanta resilienza. La capacità di gestire le proprie emozioni riuscendo a dominarle quando attorno c’è il caos è una dote resiliente, e questo è uno di quei lavori in cui vai incontro a un burn out costante. 

Come direbbero i rapper, respect. ϖ

02/05/2019