Valentina Pistillo

Investigatori hi-tech

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Un sistema di realtà virtuale ricrea in 3D la scena del crimine. Ecco l’innovativo laboratorio della Scientifica che agevolerà indagini e processi

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La scena del delitto come un mondo parallelo ma tangibile. È il nuovo laboratorio della realtà virtuale e ricostruzione in 3D, un contesto di elaborazione tridimensionale al computer della scena del crimine, per i cold case, i delitti irrisolti e non solo. È l’avanguardia dei laboratori hi-tech, realizzata dal Servizio polizia scientifica, alla Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, guidata da Vittorio Rizzi. Poliziamoderna ha visitato i luoghi, all’interno del Polo Tuscolano, di Roma, dove viene riprodotta al computer la scena del delitto e il laboratorio ultra tecnologico in cui si fabbricano gli “avatar” degli assassini. Già dalle pareti si respirano scienza e tecnologia: all’entrata, subito prima del proscenio del teatro virtuale, sulle pareti scure, dipinte con una vernice speciale che non riflette la luce, a contrastare l’asetticità del luogo, gli operatori hanno abbozzato coi gessetti una sorta di Uomo vitruviano, disegnando, su alcuni punti del corpo e del viso, i sensori, tipici dei personaggi ricostruiti al computer che si muovono nella scena virtuale (vedi foto in alto). «La ricostruzione tridimensionale della scena criminis – spiega l’ingegnere Gianpaolo Zambonini, primo dirigente tecnico, responsabile del progetto – è stata realizzata per avere una sintesi tra tutti i risultati dei vari laboratori della Scientifica, come quelli del Dna, di chimica, della traiettoria balistica, l’analisi delle immagini, le telecamere, ecc.. che messi insieme ricostruiscono la dinamica di un evento delittuoso. In più sono stati implementati gli altri dati che riguardano il lato puramente investigativo, come i sit (le sommarie informazioni testimoniali,), i verbali, l’analisi dei tabulati telefonici, etc..».

Una vera e propria rivoluzione questa della ricostruzione 3D della Scientifica che è già un prezioso supporto per le indagini tradizionali ma è utile anche per aiutare i giudici durante i processi: anche loro potranno entrare all’interno della scena del delitto così ricostruita e riviverla. Cambia però la prospettiva: non più solo quella statica, che viene fissata nel normale sopralluogo. Per arrivare al colpevole, i magistrati si immergeranno nella realtà virtuale e potranno osservare il caso da ogni punto di vista: da quello del testimone a quello della vittima, da quello dell’omicida a quella del complice e via via dalla prospettiva di tutti gli attori della scena.

«Il nostro obiettivo è di migliorare il teatro virtuale e la ricostruzione in 3D nel futuro – continua Zambonini – rendendola interattiva: si passerà da una realtà virtuale, appunto “immersiva”, in cui l’utente si può immergere totalmente e può essere trasportato in un mondo parallelo, fino a una realtà aumentata, in cui a ogni attività saranno collegate delle informazioni relative a ciò che ci circonda, arricchite di contenuti nuovi. Per esempio, nell’ambito degli studi della Scientifica sulla traiettoria balistica, nella realtà aumentata, potremmo ottenere, dai nostri laboratori specialistici, tutte le informazioni utili e le modalità che hanno permesso di ricostruire il moto del proiettile». La realtà aumentata è un’evoluzione di quella virtuale: arricchirà e potenzierà la percezione del mondo con una serie di dati e informazioni digitali.

Specialisti e avanguardie tecnologiche
Il primo passo per ricreare il laboratorio del teatro virtuale è stato quello di assemblare un gruppo di esperti che ci lavorano, il dream team, una selezione di talenti messi insieme, composta da 6 poliziotti della Scientifica, senza l’ausilio di consulenti esterni. Ma come operano gli specialisti del laboratorio di realtà virtuale e ricostruzione 3D? «Il punto di partenza è la scena del crimine reale – sottolinea il responsabile del progetto – Creiamo un flusso di lavoro: andiamo sulla scena del crimine e la acquisiamo. Capita a volte che non passiamo nell’immediatezza dei fatti, quindi a esempio non troviamo più il cadavere, ma ricostruiamo comunque l’ambiente in ogni particolare». 

A questo punto entra “in scena” lo specialista della modellazione tridimensionale ricreata al pc, l’architetto Mauro Melandri, direttore tecnico principale della Polizia di Stato: «Il primo passo da fare è il sopralluogo dove è avvenuto il delitto. Per ricostruirlo usiamo apparecchiature specifiche come il laser scanner, che permette di riprodurre un ambiente così come è nella realtà, attraverso milioni di misurazioni o la stazione totale, uno strumento usato per “battere i punti”, come si dice in gergo tecnico, che traccia, cioè, tutti i punti dello spazio (che hanno tre coordinate spaziali, x, y, e z e tre colori, Rgb, cioè rosso, verde e blu, usati per visualizzare le immagini, ndr.)». L’architetto, partendo da questi punti tridimensionali, quindi, ricrea in un primo stadio la scena virtuale più fedele possibile a quella dove è stato compiuto il delitto.

«Tracciati i punti, inizia la fase della modellazione dell’ambiente in tre dimensioni, fatta al computer con il software Cad (Computer aided design). La modellazione consiste nel trasformare – entra nel dettaglio Melandri – la nuvola di punti ottenuta in una rappresentazione tramite Mesh, (i triangoli contigui nello spazio 3D). Successivamente questo permette di ottenere una riproduzione tridimensionale dell’ambiente tramite delle rappresentazioni matematiche delle superfici, dette Nurbs, che definiscono accuratamente la forma ricreata. Subito dopo si applicano agli oggetti le informazioni relative ai materiali, come le texture (cioè il rivestimento grafico dell’oggetto ma anche i parametri di lucidità, rugosità, trasparenza, ecc.)».

Al computer prendono forma tridimensionale l’ambiente vero e proprio e tutti gli oggetti di scena: è il modello digitalizzato, riprodotto in 3D, utilizzato nel corso della ricostruzione del caso, dove all’interno saranno inseriti, infine, gli elementi che provengono dagli accertamenti di natura forense, come il Dna, i residui dello sparo, i bossoli, le traiettorie e le analisi chimiche e merceologiche. In questa fase dell’attività i tecnici possono servirsi di una sofisticata tecnologia: il virtual evidence, cioè il reperto digitalizzato al computer, riposizionato nella scena del crimine come fonte di prova digitale (vedi il delitto Valeriano Poli a pag. 23) o il camera matching, utilizzato quando sulla scena del crimine è presente una telecamera, e si vuole virtualizzare la sua ripresa simulandone i parametri fisici. Nella soluzione di alcuni cold case, gli oggetti presenti sulla scena sono stati acquisiti anche con il metodo della fotogrammetria (vedi il caso dell’avvocato Antoci a pag. 25). Ma come funziona questa tecnica di misurazione? Si effettuano degli scatti fotografici sul reperto, a una certa distanza ben definita, fatti con unamacchina fotografica reflex. Tutte le immagini vengono introdotte, subito dopo, in un software di elaborazione che digitalizza, in alta risoluzione, lo stesso oggetto in forma tridimensionale, lo inserisce all’interno della scena del delitto: spesso è l’elemento determinante per la soluzione del caso.

«Inizia il secondo step: l’introduzione della dinamica degli attori – spiega Gianluca Badalamenti, l’ingegnere elettronico della Scientifica, direttore tecnico principale, che si occupa di inserire gli aspetti forensi all’interno della scena del crimine e di dare vita ai personaggi – Nel teatro virtuale non ci sono immagini statiche, ma gli individui presenti si muovono come hanno agito nella realtà». Il sistema usato dai tecnici per l’animazione dei personaggi si chiama Motion capture, ed è preso in prestito dal cinema. Per ottenere questi effetti speciali i poliziotti della Scientifica indossano una speciale tuta ricoperta da marker catarinfrangenti, che riflettono luce infrarossa verso sofisticate telecamere le quali trasmettono la posizione del marker nello spazio e ne ricostruiscono i movimenti (vedi box a pag. 25). In questo modo si animano le varie figure che hanno agito all’interno della scena del delitto.

La terza fase è in mano all’unica donna del gruppo: l’ingegnere informatico Alisia Signorile, direttore tecnico principale, che elabora il lavoro svolto fin qui e lo inserisce all’interno di un software, Unity 3D, proveniente dal mondo dei videogiochi: «Il mio intervento costituisce la parte conclusiva del nostro flusso di lavoro: tramite la programmazione, sviluppo una simulazione interattiva. Riproduco anche le condizioni ambientali che erano presenti il giorno in cui si sono svolti i fatti, inserendo anche tutte le sorgenti luminose e sonore, come a esempio un’intercettazione telefonica o ambientale che contestualizzo nella dinamica dell’evento». I prodotti finali vengono consegnati ai magistrati: la ricostruzione in realtà virtuale, fruibile con il visore Vr (Virtual reality), e l’annotazione multimediale, che è una clip video, che riassume tutta l’indagine ricostruita tridimensionalmente insieme agli elementi forensi, come il Dna, la balistica, ecc.., quindi gli elementi oggettivi che vincolano tutta la rappresentazione del caso. In questo modo, durante il dibattimento, i giudici potranno mettersi lo speciale caschetto col visore Vr per rivivere, nelle aule di tribunale, la scena del delitto, in maniera fluida e in pochi minuti, senza tralasciare nessun elemento probatorio. Naturalmente insieme alla ricostruzione virtuale continuerà a esserci anche la parte scritta, agli atti, che normalmente entra nel procedimento.

Come vengono scelti i casi da trattare? «Per prendere in esame un fatto di cronaca – sostiene Gianpaolo Zambonini – prima ci rendiamo conto se la ricostruzione ha degli elementi tali a cui possiamo dare un contributo per la ricostruzione in 3D: più elementi sono presenti, più la riproduzione sarà fedele alla realtà. Spesso, oltre alla tipologia di dati su cui lavorare, la scelta dipende anche dalla rilevanza mediatica nazionale e poi – sorride – ci sono i casi disperati e i cold case». Il team ha già risolto brillantemente tre casi considerati impossibili e sta lavorando ad altri. Forte anche del fatto di far parte di un circuito di istituti forensi e polizie scientifiche a livello europeo: «Nell’ultima riunione – concludono con orgoglio i super esperti del team – abbiamo scoperto di essere i primi in Europa a usare la realtà virtuale in ambito forense. Ai tavoli tecnici con altre polizie si sono tutti meravigliati dell’uso che stiamo facendo di questa nuova tecnologia, addirittura pensavano che le immagini del nostro lavoro fossero file scaricati dal Web. Nessuno ha pensato ad applicazioni reali su un’indagine. È stato un po’ come esplorare nuovi mondi, rispetto a quella che era la tradizionale scena del crimine ricostruita da tutti i poliziotti europei. Con questo progetto abbiamo azzerato tutto e ora siamo pronti per nuove sfide in 3D».

11/12/2018