Stefano Scansani*
La città delle persone
Reggio Emilia conferma la sua vocazione corale anche attraverso l’attività di sicurezza e legalità che coinvolge istituzioni e cittadini
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uello che cinquecento anni fa era un borgo esagonale fortificato, e ancor prima un municipio romano, ora va evolvendosi nel bel mezzo della pianura Padana. Oggi è una laboriosa macchina urbana fra l’Appennino e il Po. È Reggio Emilia, che nella contemporaneità sta plasmando il suo ruolo infrastrutturale ed economico in quella straordinaria diagonale costituita dalla via Emilia che compie 2.200 anni, dall’Autosole e dall’Alta velocità. Fuoriuscendo dagli anni della crisi, il capoluogo emiliano non smette di confermare la sua vocazione mediopadana (precisamente in mezzo alla valle del Po) e la sua voglia di diventare il locomotore dei tempi prossimi.
A questo processo in corso, molto dinamico e condiviso, va aggiunta la ricerca sottintesa di un’identità esclusiva, tutta sua, facendosi largo fra città vicinissime che nel passato hanno avuto supremazie principali e principesche. Basti pensare a Parma a occidente, Modena a oriente, e Mantova a settentrione. Così, Reggio, acquisita la consapevolezza della sua strategica mediopadanità (il baricentro esatto), sembra avere superato l’antica subalternità, e fatto evolvere ogni sua vocazione nel mondo della cooperazione, della meccatronica (l’unione tra la meccanica e l’elettronica ndr) e del buon vivere, del buon cibo, del paesaggio, dei fatti che si snodano da Marco Emilio Lepido a Matilde di Canossa sino alla Liberazione e alla scrittura della storia contemporanea. Tutti questi aspetti stanno diventando un corpo e un’anima sola, dunque il carattere di appartenenza. I segni particolari.
Quasi 180mila abitanti, un territorio contrappuntato da 45 Comuni, il capoluogo sta sperimentando ogni propensione e tensione. Quella della produzione, dell’export e dei traffici sulle grandi vie di comunicazioni tese fra Bologna e Milano. Quelle rappresentate dalla connessione ferroviaria nord-sud e resa tangibile, anche architettonicamente, dalla stazione appunto Mediopadana (è proprio il suo nome), progettata dall’archistar Santiago Calatrava come i tre ponti bianchi che s’impennano nell’area nord.
Ripeto due termini che fanno buon gioco a questa narrazione: propensione e tensione. Inevitabilmente la mediopadanità di Reggio, e quindi il suo stare in mezzo, richiama condizioni e situazioni economico-sociali, sino al fenomeno migratorio. Che qui è alto, datato, diffuso, complesso, dibattuto. Reggio Emilia va considerata infatti una città multietnica, multilingue, multiculturale. Sono cento le nazionalità che in diversa misura proporzionale sono rappresentate nel tessuto demografico, anche con punti critici che incidono sulla sicurezza e la legalità. Sicurezza e legalità quotidiane, che Reggio Emilia sperimenta parallelamente a situazioni storiche che nei decenni hanno visto il territorio interessato all’infiltrazione della criminalità organizzata decisamente italiana. Fenomeno che – se non è arrivato al capolinea – sta subendo la forte e decisa reazione dello Stato, della Giustizi