Cristina Di Lucente
In sella
Alla scoperta del Centro di coordinamento dei Servizi a cavallo di Ladispoli, dove si crea la sinergia tra i cavalieri e i loro compagni di lavoro
Uno spettacolo affascinante quello che si presenta agli occhi del visitatore del Centro di coordinamento dei servizi a cavallo di Ladispoli, in un giorno di ordinario addestramento: i cavalieri alle prese con nuove e sofisticate metodologie per abituare i loro inseparabili colleghi ai servizi di ordine pubblico, i corsisti che apprendono le basi dell’addestramento grazie alla maestria di scrupolosi istruttori. Poliziamoderna ha esplorato questo mondo complesso e spettacolare, che richiede passione e sacrificio da parte degli operatori, come spiega Mario Cardea, direttore del Centro, che ci ha accompagnati nella visita. «Una delle priorità nell’addestramento è quella di far lavorare i cavalli senza stress, per portarli al risultato finale – spiega il direttore – aiutandoli a superare tutte le loro paure, ma senza mai dimenticare che si tratta di animali imprevedibili». Alla base dell’addestramento c’è la capacità di creare il cosiddetto “binomio”, una simbiosi che si instaura tra il cavallo e il suo addestratore, la cui abilità si misura però anche nel rendere idoneo il cavallo alla “monta” di ciascun cavaliere, ognuno ha infatti le sue peculiari caratteristiche nella cavalcata.
La storia del Reparto: un’antica tradizione
Dietro al portamento elegante dei nostri cavalieri c’è un secolo e mezzo di storia che ci riporta indietro alle radici del Regno d’Italia. È ancora Mario Cardea (nella foto in basso, in sella a Favorita) a ripercorrere le tappe principali che hanno condotto all’odierna organizzazione, dopo una serie di complesse vicende nelle quali il Reparto ha vissuto, alternativamente, periodi di espansione e di declino. «Il potenziamento maggiore lo ha sperimentato poco prima della Grande Guerra, quando venne militarizzato con il nome di Corpo della regia guardia; fu in quel particolare momento che il Reparto si costituì con i suoi 21 distaccamenti». Un altro anno significativo è il 1981, legato alla riforma: «Una fase transitoria, caratterizzata da un vuoto, dopo il quale venne ricostituito. Con il cosiddetto decentramento voluto dell’ex capo della Polizia De Gennaro, le squadre vennero trasferite in periferia – conclude Cardea – è il 2004, anno del decreto che sancisce la nascita del Centro di coordinamento di Ladispoli, struttura che provvede all’addestramento di tutti i cavalli e cavalieri della Polizia di Stato».
Strutture al servizio della formazione
Il Centro di coordinamento di Ladispoli è una struttura capiente che ospita la logistica necessaria per mandare avanti l’addestramento e la formazione dei cavalieri delle Sezioni del Reparto dislocate sul territorio. Come un microcosmo di molti elementi, il Centro dispone di un maneggio coperto e di campi aperti per rispondere a tutte le esigenze dei cavalli, delle scuderie per ospitarli con spazi interni per la pulizia, di sellerie ristrutturate utilizzate dagli operatori per l’ordine pubblico, dai corsisti e dagli appartenenti al settore giovanile delle Fiamme oro, di un’ambiente per la raccolta dello stallatico e di un silos per lo stoccaggio dei mangimi. È presente nel complesso anche una moderna clinica veterinaria, un centro medico all’avanguardia che sopperisce alla diagnostica dei cavalli della Polizia di Stato. «Le profilassi nazionali per le vaccinazioni contro tetano e influenza vengono effettuate qui – spiega Andrea Loreti, poliziotto specializzato in medicina veterinaria – i nostri cavalli sono inoltre vaccinati da oltre 10 anni contro la febbre west nihle». Anche il magazzino Veca costituisce un motivo d’orgoglio per il Centro: «Qui c’è la nostra storia, tutto il materiale catalogato partendo da un inventario nazionale» spiega Filippo Di Palma, che ne ha gestito la ristrutturazione. Grazie alla classificazione dei materiali sono stati individuati quelli non più idonei e sostituiti da attrezzature omologate, come il nuovo casco per i servizi ippomontati e la sella per l’ordine pubblico, all’insegna di una maggiore sicurezza per i cavalieri.
La routine: dovere e passione
L’attività quotidiana dell’operatore del Reparto prevede la cura dell’animale fin dalle prime ore della mattina, con un anticipo nel periodo estivo, per via del clima. Si comincia con un controllo dello stato di salute del cavallo e, dopo una buona toelettatura, si monta in sella per far eseguire i primi esercizi di riscaldamento (passo, trotto e galoppo). Nella fase iniziale non c’è stress: «Il cavallo è come un bambino, deve essere preparato in un’atmosfera serena – spiega Stefania Labrosciano (nella foto insieme a Icaro) – per questo motivo abbiamo adottato il metodo del Tellington touch, che prevede l’uso di massaggi tranquillizzanti, il tocco delle mani fa infatti percepire la presenza umana a questo animale particolarmente sensibile, gli trasmette sicurezza e consente di stabilire una connessione». Anche la voce è uno strumento prezioso di cui l’addestratore dispone, che si affianca a quelli artificiali, frustino e speroni, utilizzati per il lavoro tecnico. Dopo ogni attività di maneggio, nella quale si svolgono curve e incroci, movimenti prestabiliti che tendono a stancare, il defaticamento viene svolto nel paddock, la passeggiata in uno spazio recentitato, che rappresenta la fase soft.
Il cavallo che viene sottoposto all’addestramento è un atleta a tutti gli effetti, ogni ostacolo per lui costituisce un motivo di fatica, ha dunque bisogno di una apporto calorico superiore a quello medio. Del personale ad hoc fornisce la giusta razione alimentare giornaliera, somministrata in due tranches, consistente in fieno e mangimi con l’eventuale aggiunta di integratori nei periodi più caldi. Diversamente, per i cavalli che non sono sottoposti ad allenamento, in pensione o momentaneamente fermi per la necessità di un eventuale periodo di riposo per il recupero fisico o psicologico, sono sufficienti erba e fieno.
Una scuola per cavalieri
Pasquale, Mino e Marco sono i tre poliziotti selezionati per la formazione come cavalieri, per un corso che durerà 4 mesi. Li vediamo durante l’addestramento, dopo appena qualche settimana dall’inizio del training: «Abbiamo cercato di unire la passione al lavoro», è il loro unanime commento per spiegare una scelta radicale che li porterà a cambiare abitudini e tipo di mansione. Un lavoro di passione e dedizione, come ci spiega Luciano De Santis, capo istruttore: «Solo una spiccata attitudine verso questa attività e una grande volontà sono le caratteristiche che qualificano l’operatore, che possono aiutarlo a superare ogni timore». Luciano ci ha mostrato le aree adibite ai corsisti che imparano le nozioni basilari per diventare cavalieri; qui apprendono il giusto modo di rapportarsi ai cavalli, con un addestramento che aggiunge giorno dopo giorno un nuovo tassello alla formazione del binomio. «La prima cosa da imparare per un operatore destinato alle pattuglie ippomontate è quella di instaurare un contatto con l’animale; successivamente si iniziano le andature del passo che permettono di andare a cavallo», prosegue l’istruttore, sottolineando anche la particolarità della cavalcata per il servizio di polizia, differente rispetto a quella sportiva. «Si comincia in maniera blanda a svolgere i primi esercizi, il passo, la posizione e l’assetto, sincronicamente rispetto agli altri colleghi – conclude Luciano – e al termine del corso dovranno avere tutti lo stesso stile nella cavalcata, come pure lo stesso grado di abilità». Indossare una divisa presuppone per il cavaliere la capacità di mantenere un assetto stabile senza perdere mai il controllo per quello che accade attorno a sé, ed è ciò che rende questo ruolo particolarmente delicato. Ma come è possibile stabilire l’effettiva idoneità degli operatori per questo tipo di servizio? «Già al momento della selezione l’occhio esperto è in grado di valutare il livello di affinità che si è in grado di stabilire con il cavallo, per questo motivo si tendono a escludere le persone che mostrano un eccessivo timore nell’approccio iniziale», sottolinea Federico Cristiani, istruttore, dopo una sessione di addestramento con i tre allievi. Una fase del corso prevede anche una parte teorica, con delle lezioni tenute dal veterinario per apprendere alcune nozioni basilari su eventuali patologie che possono subentrare per i cavalli, «abbastanza comuni sono ad esempio le problematiche di natura gastrica – spiega l’istruttore – anche se l’alta qualità dei mangimi utilizzati nel Centro tende a limitare queste possibilità», anche se la parte del leone la fa la pratica. Federico ha infine sottolineato l’importanza della gradualità nell’inserire nuovi esercizi, come anche la necessità di crescere e migliorare insieme.
Sangue freddo e resistenza
Giove e Libeccio (nella foto a destra) sono due murgesi destinati ai servizi di ordine pubblico (op), un’attività che per un lungo periodo non è stata più assolta dal Reparto a cavallo ed è stata ripresa appena 3 anni fa, per supportare il lavoro delle questure. Il corso che si sta svolgendo attualmente a Ladispoli è sperimentale, viene condotto ad hoc per il futuro impiego e prevede una metodologia specifica che consiste nell’abituare gradatamente i cavalli a piccoli ostacoli, fino ad arrivare a grandi fonti di stress, paragonabili a quelle che si trovano negli stadi: rumori, esplosioni, colorazioni improvvise con l’uso dei fumogeni. «Il cavallo, al pari dell’uomo, sopporta lo stress in maniera soggettiva – spiega Emiliano Scipioni, istruttore e coordinatore del gruppo che addestra i cavalli per l’op – in questa sede simuliamo l’ambiente di lavoro con un training che proseguirà sia in campagna che in città, un lavoro che può durare 6 mesi, preparando cavalli mediamente più giovani (dai 3 ai 5 anni) rispetto a quelli destinati a semplici pattugliamenti». Questo tipo di addestramento è più complesso e si avvale dei cavalli di razza murgese, dall’indole più docile e con una maggiore predisposizione al lavoro, presentano infatti una particolare resistenza e il sangue freddo, caratteristica che consente loro di non spaventarsi facilmente. «Gli esercizi che si effettuano con questo nuovo metodo sono attività di gruppo, generalmente il training era condotto a livello individuale – spiega Domenico Pansini, addestratore – in questa fase ci stiamo inoltre avvalendo di un preparatore atletico federale, Francesco Taraschi, assieme a lui abbiamo preparato delle schede di lavoro per i cavalli, come se si trattasse di atleti che lavorano in palestra». Fondamentale, nella prima fase, è dare l’imprinting all’animale, un lavoro che si deve consolidare con il tempo e l’abitudine, considerando l’indole del cavallo e la sua naturale tendenza a dimenticare. Il nuovo approccio sta già portando i suoi frutti e ha migliorato l’esperienza del Reparto. L’addestramento viene svolto periodicamente anche in coordinamento con il Reparto mobile, che dispone degli schemi di lavoro: apertura “a cancello”, movimento della squadra, posizionamento di cavalli e cavalieri; vengono inoltre stabiliti i contatti con il capo squadra dell’ordine pubblico, responsabile del servizio.
La mascalcia e l’arte della ferratura
Un’attenzione particolare merita il maniscalco, un ruolo particolarmente importante perché solo una buona ferratura rende possibile qualsiasi attività di addestramento. «Sono molte le tipologie di ferro da conoscere e le modalità di ferratura che si adattano alle variegate esigenze dei cavalli – spiega Giuliano Boccia (a destra), che svolge questo incarico da diversi anni – è un’attività che non si può improvvisare, richiede metodo». Bisogna conoscere (letteralmente) i ferri del mestiere, come la forgia, utilizzata per modellare il ferro e adattarlo alla forma del piede del cavallo, chiudendolo o allargandolo in base alla necessità, nel secondo caso utilizzando la ferratura a caldo, per rendere la materia più malleabile. «Questa tecnica ha anche altre funzioni – prosegue Giuliano – aiuta infatti a pareggiare l’unghia in maniera corretta, sterilizzando la parte ed eliminando forme di micosi senza provocare dolore». La situazione dei cavalli viene monitorata costantemente e a intervalli regolari di 40-50 giorni, alla scadenza dei quali la ferratura viene rinnovata, salvo problematiche che richiedono interventi anticipati.