Irene Scordamaglia* e Laura Pagliuca**

Stalking: la normativa di contrasto/2

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1. L’evento

1.1 Il grave e perdurante stato di ansia e di paura
Il primo tra gli eventi descritti dall’art. 612 bis cp ha natura psicologica ed è, perciò, caratterizzato da confini molto labili e difficilmente verificabili.Quanto ad esso, proprio a causa della eccessiva genericità della formula legislativa, in dottrina sono stati hanno avanzato dubbi di costituzionalità della norma rispetto al parametro della tassatività e, al fine di superarli, si è prospettato che, riferendosi al “grave e perdurante stato di ansia e paura”, la nuova fattispecie incriminatrice abbia voluto attribuire rilevanza a vere e proprie forme patologiche caratterizzate da stress e riconoscibili proprio come conseguenza dei comportamenti incriminati, secondo prassi che trovano riscontro nella letteratura medica.

Per quanto a tale ricostruzione vada riconosciuto il pregio di confinare l’elemento causale della fattispecie entro limiti più rispettosi del principio di determinatezza, essa non ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità. Infatti, il Supremo Consesso ha sancito che “Ai fini della prova dello stato d’ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato, il giudice non deve necessariamente fare ricorso ad una perizia medica, potendo egli argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza”. Cionondimeno, in virtù dell’utilizzo dei termini “grave e perdurante”, in funzione tipizzante, bisognerà escludere dall’applicazione della fattispecie, tutti quegli episodi ansiogeni di scarsa entità temporale e fattuale, nonché timori irrazionali prodotti dalla fantasia o dalla suggestione.

1.2 Il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto
Si tratta dell’evento destinato a coprire buona parte dei reati di stalking: se è vero che il reale pericolo del delitto risiede nell’escalation di aggressione posta in essere dall’autore, è probabile che fra i principali timori vi sia proprio quello per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto. Esso non pone particolari problemi di tassatività, ma merita un approfondimento l’utilizzo del termine “fondato”, in quanto il senso della norma cambia a seconda che lo si interpreti in senso oggettivo, come idoneità della condotta, ovvero in senso soggettivo, spostando l’attenzione sul carattere e sulla personalità della persona offesa. A una prima lettura potrebbe sembrare che, attraverso il riferimento alla fondatezza del timore, il legislatore abbia inteso configurare un reato di pericolo, facendo leva sulla idoneità della condotta concretamente posta in essere dallo stalker a ingenerare un giustificato timore in una persona ragionevole. 

Più correttamente, però, in una prospettiva valorizzante dell’elemento causale della fattispecie, il requisito della fondatezza deve essere letto dal punto di vista soggettivo della vittima, attribuendo rilevanza a quelle sofferenze e a quei timori realmente patiti dalla persona offesa come conseguenza delle condotte persecutorie dell’agente, che l’abbiano portata a temere per la propria incolumità e sempre a condizione che l’autore fosse a conoscenza della particolare sensibilità della vittima, approfittandone per rendere più efficacie la sua attività persecutoria. 

1.3 L’alterazione delle abitudini di vita 
Il terzo evento alternativo del reato di atti persecutori è caratterizzato – in ciò differenziandosi dai primi due – da una “consistenza materiale”, rappresentata dal dato concreto che la vittima sia costretta, come conseguenza delle condotte persecutorie, a un cambiamento delle proprie abitudini di vita. Nell’individuazione dei mutamenti penalmente rilevanti, in un’ottica di valorizzazione del principio di offensività, pare opportuno accogliere un’interpretazione restrittiva della norma, escludendo dal suo raggio di applicazione quei fatti inoffensivi perché percepiti dalla vittima solo come fastidiosi, quand’anche l’abbiano portata a dei piccoli, ma irrilevanti cambiamenti delle abitudini di vita. 

Perché il reato possa dirsi configurato, quindi, il mutamento delle abitudini di vita della vittima deve apparire come una diretta conseguenza della condotta persecutoria dell’agente: sicché il reato è escluso quando il cambiamento non può ritenersi adottato perché necessario, ma solo perché opportuno e finalizzato ad anticipare pericoli mai manifestatisi sotto una specifica forma riconducibile a quella specifica abitudine di vita che si presume mutata. 

2. L’elemento soggettivo
Ai fini della configurabilità del delitto di atti persecutori si richiede la sussistenza di un dolo generico, consistente: a) nella coscienza e volontà di porre in essere singole condotte, accompagnate dalla consapevolezza che ogni nuovo comportamento si aggiunge ai precedenti, dando vita ad un vero e proprio “sistema di comportamenti assillanti e vessatori”; b) nella coscienza dell’idoneità delle condotte a realizzare uno degli eventi descritti dalla norma. Stante la natura di reato abituale del delitto di atti persecutori, si richiede un dolo unitario, in cui l’intenzione criminosa travalichi i singoli atti che compongono la condotta tipica; tuttavia, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, non si pretende la preesistenza del dolo fin dal primo degli atti posti in essere dall’autore, potendo, questi atti, essere in tutto o in parte

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28/06/2018