Bianca Venezia*

Mondo capovolto

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I sommozzatori della polizia compiono 60 anni. Tra selezioni durissime e continuo addestramento, il loro dirigente ci dà il benvenuto

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È per me un compito impegnativo, ma di grande onore quello di dirigere il Cnes (il Centro nautico e sommozzatori) e di accompagnarlo nella ricorrenza del suo 60° compleanno. La nostra è una realtà complessa e variegata, che accoglie diverse specialità della Polizia di Stato in uno scenario del tutto particolare: le profondità acquee.

Il Centro nautico con i suoi sommozzatori e tecnici di mare, logisticamente dislocato presso la caserma “A. Saletti” di La Spezia, ha la sede operativa nella base navale di Punta del Pezzino.

Il Cnes fornisce il supporto tecnico-logistico per il settore nautico e, con il Nucleo tecnico, gestisce logisticamente l’intero parco natanti della polizia, costituito da 315 unità fra motovedette d’altura, battelli pneumatici e moto d’acqua, che garantiscono il controllo e la vigilanza degli ambienti marini, lacustri, fluviali e lagunari del nostro Paese. Da qualche anno il è in atto una rimodulazione del parco natanti, con un potenziamento del settore moto d’acqua, seguendo l’obiettivo di “polizia di prossimità”, per contribuire alla “mission” istituzionale della Polizia di Stato che vede l’intervento dei nostri operatori in tutti quei luoghi e circostanze che richiedono la tutela della sicurezza pubblica.

Altra realtà portante è quella della Scuola nautica, unica nel suo genere, che da anni provvede all’istruzione del personale tecnico nautico della polizia italiana: motoristi navali, comandanti costieri e d’altura, radaristi e conduttori di acquascooter. Ultimamente, le problematiche legate ai flussi di immigrazione clandestina hanno reso la Scuola un importante centro di formazione e addestramento per le polizie estere e le guardie nazionali dei Paesi della costa mediterranea dell’Africa.

E ora i nostri discreti “angeli custodi” del profondo: la specialità dei Sommozzatori, della quale quest’anno ricorre il sessantesimo della loro fondazione. Nati il 10 giugno del 1958 per vedere dove gli occhi dei più non vedono, sono stati i pionieri di un’arte nuova e tutta da inventare. Oggi i 27 sommozzatori del Nucleo, insieme agli altri 31 operatori distribuiti nelle cinque sezioni distaccate di Venezia, Napoli, Bari, Palermo e Olbia, assicurano l’immediato intervento su tutte le acque territoriali, sia marine che lacustri e fluviali. Grazie alla strumentazione all’avanguardia che hanno in dotazione, come i R.O.V. subacquei filoguidati e i sonar a scansione laterale, circolare o in 3D per visionare i fondali di grandi aree, anche in assenza di visibilità, le prospezioni in ambiente sommerso hanno avuto uno sviluppo tale da garantire sempre un maggior successo nei ritrovamenti. Il “mestiere di sommozzatore” infatti, non si svolge quasi mai in fondali limpidi: questi uomini sono spesso chiamati ad operare nei fiumi, nei laghi e in luoghi di tragedie, quali per esempio il naufragio della Costa Concordia e le varie calamità naturali, teatri che raramente offrono acque cristalline. 

Quella dei sommozzatori è una Specialità che, in relazione alla sua duttilità di impegno, sta crescendo sempre di più: recentemente sono stati brevettati quattro nuovi operatori presso il Comsubin della Marina Militare e attualmente altri cinque allievi sommozzatori stanno frequentando il corso dopo aver superato una durissima selezione. Poiché l’attività del sommozzatore è caratterizzata da finalità eterogenee, la sua formazione non si ferma all’acquisizione del solo brevetto di immersione: tutti entrano in possesso, successivamente, di altre specializzazioni (tecnico iperbarico, fotografo subacqueo, manovratore di corda) per consentire una crescita del bagaglio tecnico-professionale, sia individuale che di reparto. Un aggiornamento permanente, sia fisico che tecnico, poi consente a questi operatori di mantenere un eccellente livello di addestramento così da essere sempre pronti a rispondere alle esigenze dei differenti servizi e offrire la massima operatività. Proprio in questa prospettiva la Specialità dispone di differenti tipologie di natanti e di mezzi terrestri selezionati per la peculiarità degli interventi nei vari ambiti operativi: dall’imbarcazione riservata all’addestramento per la ricerca strumentale, ai gommoni adibiti ai servizi di specialità, fino a quelli autogonfiabili e aviolanciabili. Nell’ottica di un addestramento permanente vengono effettuati stage addestrativi sia per le forze speciali italiane, il Nocs, sia per quelle estere come il GSG9 tedesco. Tutte queste dotazioni a disposizione, la logistica avanzata, a nulla varrebbero senza il fattore umano: anime differenti che lavorano in sinergia per raggiungere uno stesso risultato; anime diverse, ma una sola mente, soprattutto un solo cuore che unito al senso di appartenenza, allo spirito di gruppo e alla condivisione degli obiettivi, sono, nel lavoro di squadra, gli ingredienti essenziali per operare in sicurezza e raggiungere gli obiettivi prefissati.

Quello dei sommozzatori più volte è stato definito un mondo “capovolto”, il mare percepito come un limite all’attività umana: ma non per questi operatori perché, parafrasando il motto della Specialità, il loro mondo inizia dove il nostro finisce! 

*direttore del Cnes

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Come si diventa operatori subacquei della Polizia di Stato
Per diventare sommozzatori fino a 60 metri, occorre essere innanzitutto poliziotti da almeno due anni e non aver superato i 38 di età, saper nuotare bene e naturalmente l’idoneità  fisica accertata da un medico di reparto e successivamente quella medico-legale presso la Marina Militare. Il limite di statura non deve essere inferiore a 1,65 né superiore a 1,95; il visus naturale di 10/10 a ciascun occhio; i sensi cromatici devono essere accertati con le tavole di Ishihara e il Lang test; una buona funzionalità dell’apparato respiratorio. I candidati dichiarati idonei partecipano a uno stage propedeutico di circa 4 settimane, durante il quale sostengono altre prove ginniche e di acquaticità (immersione in apnea statica per 90 secondi; nuoto subacqueo pinnato in apnea, per il recupero e il trasporto di una zavorra di 5 kg, minimo 50 metri; una capovolta e il recupero a 5 metri di una zavorra di 6 kg, con emersione e sostentamento per almeno 1 minuto, ecc…).

Lo sa bene il più giovane del gruppo, l’agente scelto Mauro Filippone (nella foto a destra), palermitano, 28 anni, da sei mesi al Cnes di La spezia. Non si è mai scoraggiato durante le difficili selezioni, perché: «Il mare è stato sempre la mia passione e mettermi alla prova con altri mi caricava ancora di più. Sono fiero di essere un sommozzatore e ho imparato tanto dai più esperti». L’addestramento al Comsubin: «Ci mette anche un po’ a disagio – spiega – come quando c’è da affrontare una catenaria, cioè la posa di un ormeggio, di notte: l’immersione notturna ti regala sensazioni molto forti. Scendo col cavo guida, senza maschera per l’ambientamento, e ascolto il silenzio di questa immensa distesa nera, dove rifletto su me stesso. Al Varignano l’acqua è torbida e cambia solo il cielo di notte: non avendo punti di riferimento si perde l’orientamento e bisogna essere molto concentrati». A marzo ha fatto la sua prima immersione per il recupero del corpo di Marco Boni, il quindicenne scomparso da Riva del Garda. «Non è stato facile bonificare tutto il lago con i venti che battono le sue rive, il pelèr e l’ora – racconta il giovane sub – e non ero abituato a immergermi nel lago dove l’acqua dolce è molto più pesante e ti porta giù come niente: guardi il profondimetro e da 10 passi subito a 30 metri senza accorgertene. Il movimento delle acque è nullo, sei tu e il lago. Marco Boni si è gettato da un dirupo di 80 metri ed è stato ritrovato 25 metri sott’acqua. Dopo estenuanti ricerche durate un mese e l’impatto mediatico molto forte che ha suscitato il caso, siamo riusciti a restituire ai genitori il corpo del ragazzo».

Valentina Pistillo

31/05/2018