Roberto Donini

In nome di quei ragazzi

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Un nuovo monumento per celebrare il quarantesimo anniversario della strage di via Fani. L’incontro commosso con i familiari delle vittime

anniv 4/18

Sono le 9,05 quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scopre la stele, all’angolo tra via Mario Fani e via Stresa, rendendo omaggio alla memoria dei cinque uomini delle forze dell’ordine caduti, esattamente 40 anni fa, sotto il fuoco delle Brigate Rosse. 

Tre minuti durò quella autentica azione di guerra il 16 marzo 1978 che si concluse con il massacro della scorta e il rapimento dell’onorevole Aldo Moro. Si è dissertato a lungo sui 55 giorni del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana e sul significato della sua uccisione, e a questo passaggio fondamentale della storia nazionale, definito a ristroso“l’11 settembre italiano”, sono state dedicate una letteratura sterminata e una decina tra film e fiction tv. Questa mole di parole e immagini ha concentrato l’attenzione sul sacrificio dello statista, sul ritrovamento della Renault 5 rossa in via Caetani il 9 di maggio, gettando così un cono d’ombra su quei cinque ragazzi caduti in marzo, in pieno giorno, nel cuore della città e facendo dimenticare i loro nomi, segno distintivo delle loro esistenze, persi in quello generico di “uomini della scorta Moro”. Ora al centro del monumento sta il monolite “fratturato” che ci interroga sulle esistenze spezzate quella mattina.

La stele e il giardino: luoghi della vita
In realtà in quell’incrocio di strade, c’era già una targa seminascosta che, come ricorda Giuseppe Ricci , «Non menzionava neanche la matrice terroristica della morte di papà e dei suoi colleghi». Giuseppe è il figlio di Domenico Ricci, l’appuntato dei carabinieri alla guida della Fiat 130 di Aldo Moro che cercò disperatamente di svicolare con l’auto nonostante fosse ferito; ed è anche il presidente dell’associazione Familiari delle vittime di via Fani e, in questa veste, ha voluto fortemente il monumento dove i nomi di Oreste Leonardi, maresciallo maggiore dei carabinieri e caposcorta, Francesco Zizzi, vicebrigadiere di ps e capo equipaggio dell’Alfetta di scorta, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera, guardie di ps, sono ora, insieme a quelli di suo padre, ben visibili a tutti i cittadini. I volti dei parenti giunti a Roma paiono testimoniare una ritrovata, seppur sofferta serenità, anche durante il momento più solenne del silenzio d’ordinanza. Per loro sono stati giorni di impegni intensi: in particolare il 14 hanno partecipato alla presentazione del libro Gli eroi di via Fani con il quale Filippo Boni, giornalista e storico, ha inteso sanare un vuoto: «di quei ragazzi in molti hanno raccontato i dettagli tecnici della morte ma nessuno si è soffermato sulle loro vite». Il libro raccoglie le testimonianze delle famiglie disegnando un quadro intenso delle ragioni e delle passioni di quegli «umili eroi» interrotte in quel giorno di marzo. In tal senso è ancora Giuseppe Ricci che ringraziando «il Dipartimento di ps, il Comando generale dei carabinieri per aver appoggiato con forza l’iniziativa e in particolare il comune di Roma per l’impegno fattivo nella realizzazione del monumento» sottolinea quanto «in questi anni sia stato importante riprendere il filo della memoria con i parenti per trasmetterla, così, alle nuove generazioni». La sindaca Virginia Raggi li ha poi incontrati il 15, in Campidoglio, per porgere loro l’abbraccio di tutti i cittadini romani. 

Il dolore e l’impegno 
La Storia, quella con la S maiuscola, narra come nei 55 giorni del sequestro Moro si ruppe l’equilibrio politico del secondo dopoguerra italiano e come la compatta reazione delle istituzioni e della società civile salvaguardò la legalità costituzionale da suggestioni autoritarie o insurrezionali. Così quella tragedia che la delirante retorica guerresca delle Brigate Rosse definì esempio di “geometrica potenza” , rappresentò nei fatti l’inizio della loro sconfitta. Ma accanto alla storia ufficiale ce ne sono altre che raccontano la vita e la morte di coloro che soffrirono e servirono lo Stato, tutti i giorni. I familiari si trovarono improvvisamente privati di figli e a dover sopravvivere alla tragedia. Nella sua amata Fasano, avevamo già sentito Adriana Zizzi, la sorella di Francesco «non doveva essere lì, stava preparando il matrimonio con Valeria, sostitui il collega…il destino», è una donna affascinante e  affettuosa; ascoltiamo più che chiedere. Risaliamo insieme a lei la leggera salita da via Fani verso largo Cervinia, dove il comune di Roma ha deciso di dedicare i giardini ai “Martiri di via Fani”. «Tante volte sono passata qui ed è come non riuscissi a staccarmi da questa strada, mi pare che il tempo si sia fermato, ho sempre gli stessi pensieri, ripenso sempre alla stessa scena. Francesco fu l’unico ad essere portato all’ospedale Gemelli ma io lo cerco sempre qui»,  poi con un sorriso «Oggi però, in questi giorni, ho sentito una grande vicinanza, sincera, di tanti.». Sullo slargo di Via Trionfale dove c’è la cerimonia di intitolazione dei giardini incontriamo Angelo Rivera, fratello di Giulio, un uomo grande dal volto buono e commosso «vi ringrazio tanto per come ricordate mio fratello, è come se fosse qui». Narra dell’incertezza con cui arrivarono le prime notizie da Roma a Guglionisi, in Molise, e non è difficile capire quanto siano ancora vive quelle ore angosciose di vana speranza. Con lui c’è il figlio Ignazio, alto e dal portamento distinto, anche lui come lo zio è poliziotto e presta servizio alla Stradale di Termoli « Papà e zio erano molto legati, non l’ho potuto conoscere di persona ma dai racconti ho capito molto».  E ora Angelo, che lo guarda, è più sereno. Con i familiari di Iozzino, provenienti da Casoria, abbiamo avuto invece un’incontro vicino alla stele. Ciro, il fratello di Raffaele, è persona minuta dallo sguardo intelligente e disponibile al dialogo «ho due anni più di mio fratello e la notizia mi distrusse, ma siamo qui e ci siamo sempre stati». Insieme a lui c’è anche suo figlio, Raffaele «il mio nome è quello di zio e vi fa capire quanto sia stato importante per la nostra famiglia» e su tale aspetto c’è da sottolineare come ognuno dei quattro fratelli abbia voluto ricordare lo scomparso  tanto che tra i nipoti ci sono due “Raffaella” e due “Raffaele”. Questo Raffaele ha una somiglianza straordinaria con lo zio, il solo della scorta che riuscì a esplodere un paio di colpi contro la novantina sparati dei terroristi; è carabiniere presso la stazione di San Giorgio a Cremano che, aggiunge con la simpatia spontanea dei napoletani, è «il paese di Massimo Troisi». Parla a lungo di come «nei primi anni tutti tentarono di dimenticare e a casa era un argomento da prendere con le molle, sempre vissuto con dolore. Anche tra noi, tra i parenti delle vittime non c’erano rapporti, ognuno era solo con la propria disperazione. Poi ad un certo punto con l’iniziativa di Giovanni Ricci ci siamo riuniti e abbiamo iniziato a conoscerci meglio e le iniziative, gli incontri hanno portato un po’ di serenità». Aggiunge «cerchiamo come tutti la verità su molti lati oscuri della strage e del sequestro, ma siamo comunque più in pace». 

 

La Storia dalla parte giusta
L’impegno delle cinque famiglie per non far perdere il ricordo di cinque vite, appassionate e brevissime come quelle di Giulio e Raffaele ragazzi di 25 anni, si è andato rafforzando in questi anni e oggi, a 40 anni esatti, ha raggiunto un riconoscimento solenne e ampio. Le iniziative fatte anche di passaggi difficili, come gli incontri con i terroristi assassini dei loro cari, non sono state però solo un’elaborazione del lutto, un lavoro psicologico e intimo, tutt’altro: lo spirito profondo è quello di sensibilizzare le nuove generazioni, rappresentate il 16 marzo, alle due cerimonie, da quattro scolaresche. Il dolore per la perdita insensata può trovare un minimo di senso nell’incontro con chi vuol sapere cosa successe allora all’Italia e a quei cinque ragazzi. Le loro vite, la loro positività riproposta, contrastano efficacemente la negatività di chi le interruppe anche per ristabilire un ordine in quella «sorta di perverso ribaltamento in cui si confondono ruoli e posizioni» come ha sottolineato  con forza il capo della Polizia Franco Gabrielli. 

 Proprio il racconto di quelle esemplari storie biografiche, fatte di grandi virtù private e di altissimo spirito di servizio è il mezzo migliore per indicare, sempre con le parole pronunciate dal prefetto Gabrielli,  «chi stava dalla parte giusta e chi da quella sbagliata» insomma per intendere la Storia, i suoi duraturi valori. ϖ

06/04/2018