a cura della Direzione centrale anticrimine
Questo non è amore
1. Prefazione
Cosa si aspetta una donna, vittima di violenza di genere, dalla Polizia?
Sicuramente protezione ed indagini che portino presto ad aver giustizia, ma non solo. Una donna che è vittima di violenza fisica, psicologica, economica, sociale, proprio perché prevaricata in quanto donna e privata di libertà ed autonomia, si sente sola, è rassegnata, prova vergogna, ha paura di ritorsioni per se stessa e i propri figli, si crede colpevole, teme di non essere creduta.
Il poliziotto a cui chiede aiuto deve saper rispondere a questo dolore, consapevole che il più delle volte l’aggressore è una persona a cui la donna è legata da vincoli affettivi che determinano una condizione di grave stress emotivo e psicologico. Non basta applicare la legge, è necessario assicurare alla donna l’accoglienza, informazioni e sostegno necessari ad uscire dalla condizione di soggezione e isolamento che sta vivendo.
Quel poliziotto diventa allora uno snodo fondamentale di una rete fatta da istituzioni, enti locali, centri antiviolenza, associazioni di volontariato che si impegnano ogni giorno per affermare un’autentica parità di genere, contro stereotipi e pregiudizi.
Una rete che ha la sua cabina di regia nel Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere che coordina, con il contributo delle amministrazioni e delle associazioni interessate, le azioni di prevenzione, sensibilizzazione e promozione di un’adeguata cultura di genere.
In occasione della Festa della donna, questa pubblicazione vuole fare il punto sul fenomeno, con i dati in possesso delle forze di polizia, sull’attività di repressione dei reati di maltrattamenti, stalking, violenza sessuale ed omicidio, nonché sull’attività di prevenzione promossa dalla Polizia di Stato per contribuire, attraverso gli strumenti dell’informazione, dell’educazione e dell’ascolto, ad un cambiamento culturale su di un tema che rappresenta un indice fondamentale di civiltà di una società.
All’interno anche una serie di foto, brevi storie e ricordi di poliziotte che ogni giorno si impegnano su questo fronte, insieme ai colleghi uomini ma con l’opportunità, essendo donne, di riuscire a superare più facilmente il pudore della vittima che si trova esposta nella sua sfera più intima.
Un femminile che nella Polizia di Stato esiste dagli anni ’60 e a cui è stata riconosciuta parità di funzioni rispetto agli uomini proprio in quel 1981 che è lo stesso anno in cui è stato cancellato dal nostro ordinamento il delitto d’onore, che puniva con pene ridotte l’uomo che commetteva il reato per salvaguardare la propria reputazione o quella della famiglia.
Sulla spinta delle convenzioni internazionali, da quella dell’ONU del 1979 all’ultima di Istanbul del 2011, il nostro ordinamento si è adeguato con un ampio spettro di strumenti e misure efficaci per il contrasto alla violenza di genere che, però, rimane una dolorosa attualità.
E la Polizia di Stato vuole continuare ad essere in prima linea perché quel valore di uguaglianza diventi effettivamente autentico e perché ogni episodio di violenza contro una donna è una sconfitta per tutti.
Il Capo della Polizia
Direttore generale della pubblica sicurezza
Franco Gabrielli
2. La violenza di genere
“I diritti umani delle donne sono un’inalienabile, integrale e indivisibile parte dei diritti umani universali. La completa ed uguale partecipazione delle donne nella vita politica, sociale ed economica a livello nazionale, regionale ed internazionale e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione in base al sesso sono l’obiettivo prioritario della comunità internazionale” (Dichiarazione di Vienna 1993, Parte 1 Par. 18).
Così, più di vent’anni fa, la Seconda conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, definiva quelli delle donne, la cui inviolabilità ha subìto nella legislazione italiana una stratificata opera di modernizzazione, culminata con l’emanazione della legge 119 del 15 ottobre 2013 “Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale ed atti persecutori” che ha introdotto una serie di misure preventive e repressive per le manifestazioni delittuose riconducibili alla violenza di genere.
Per la prima volta, nel nostro ordinamento, appare un riferimento esplicito alla “violenza basata sul genere” che aggredisce la donna in quanto tale e la sottopone a sofferenze fisiche, psicologiche ed economiche nell’ambito di una sub-cultura in cui la figura maschile predomina e prevarica per l’affermata o presupposta convinzione di superiorità sul sesso femminile.
Nel concetto di violenza contro le donne per motivi di genere, che ha avuto una sua definizione normativa nella Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013 n. 77, rientra oggi uno spettro di fattispecie delittuose eterogenee, come gli atti persecutori, i maltrattamenti, la violenza sessuale, accomunate dal soggetto che subisce le condotte penalmente rilevanti. In Italia, frammenti di tutela hanno visto la luce già negli Anni ’70, quando l’impianto normativo marcatamente discriminatorio previsto dal codice penale ha iniziato a sgretolarsi grazie all’opera della Corte Costituzionale che, nel 1969, dichiarava incostituzionali gli artt. 559-560 cp i quali rispettivamente punivano il reato di adulterio, solo se commesso dalla moglie, ed il concubinato del marito, solo se teneva la sua concubina nella casa coniugale; successivamente una serie di interventi legislativi abrogavano le figure del matrimonio riparatore (che faceva cessare ogni effetto penale dello stupro) e dell’omicidio per causa d’onore (con pene più blande rispetto alla fattispecie ordinaria, perché commesso per difendere la reputazione della propria famiglia). Solo nel 1996 la norma sulla violenza carnale, inserita tra i delitti contro la morale pubblica ed il buon costume – e chiaramente indice della indisponibilità della propria libertà sessuale da parte della donna – cambia veste e diventa “violenza sessuale” prevista e punita nell’ambito dei delitti contro la persona. L’adeguamento alle convenzioni internazionali e una rinnovata sensibilità da parte del legislatore hanno condotto alla costruzione di un impianto normativo evoluto, che amplia l’impostazione della tutela – preventiva e repressiva – conferendo un ruolo di centralità alla vittima.
L’affermazione che, per alcune tipologie di reati c.d. spia – maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 cp), atti persecutori (art. 612 bis cp) e violenza sessuale (art. 609 bis e ss. cp) – il genere assuma un ruolo preponderante, è evidenziata nel grafico che mostra l’incidenza delle vittime di sesso femminile sul totale delle vittime, nel quadriennio 2014-2017. Con riferimento a tale periodo, l’andamento di questi reati appare in leggera diminuzione (a parte le violenze sessuali che aumentano del 5%).
A fronte di tale flessione, si registra anche una diminuzione dell’azione di contrasto (denunce e arresti) di duplice interpretazione: da un lato può significare una real