Antonella Fabiani

Indagini sui binari

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L’attività di prevenzione e contrasto ai reati predatori. Dagli omicidi ai furti di rame. E poi il delicato e complesso lavoro del Nucleo operativo incidenti ferroviari

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Prosegue il viaggio dentro il complesso e multiforme mondo della polizia ferroviaria, specialità con una straordinaria capacità di stare al passo con una società dai ritmi incalzanti, in grado di fare fronte alle esigenze di sicurezza dei cittadini, anche grazie a dotazioni tecnologiche all’avanguardia. Occasione i 110 anni dall’istituzione. Un anniversario importante a cui è dedicato il convegno che si svolgerà a Pietrarsa (Na), il 22 novembre prossimo, presso il Museo nazionale ferroviario in cui esperti del mondo universitario e della Polizia di Stato, oltre a rievocarne gli aspetti storici parleranno delle stazioni ferroviarie dal punto di vista della funzionalità e della sicurezza. Poliziamoderna continua a mettere in luce ancora altri aspetti della Specialità e in particolare l’attività giudiziaria sul territorio e l’attività del Noif (Nucleo operativo incidenti ferroviari). Due le testimonianze raccolte nelle città di Roma e Milano. Il vice questore aggiunto Marco Napoli, dirigente dei servizi di polizia giudiziaria in ambito compartimentale e responsabile del Noif, racconta quali siano le emergenze a cui fanno fronte quotidianamente: «Omicidi, accoltellamenti, rapine e violenze sessuali possono accadere in una stazione ma non sono propriamente reati legati all’ambito ferroviario – osserva il funzionario – a differenza di quelli predatori come furti e borseggi che, oggi rappresentano una criticità sia nelle stazioni che a bordo dei convogli; tali episodi, agevolati dal gran numero di passeggeri a volte distratti, a volte disorientati, vengono quotidianamente contrastati sia dal personale che opera in uniforme, sia dal personale che opera in abiti civili, a cui compete poi l’approfondimento investigativo necessario».

Furti di rame
Da questo punto di vista uno dei reati specifici dell’ambito ferroviario è quello del furto di rame. Soddisfacenti i risultati ottenuti su questo fronte anche grazie all’impegno degli uomini della Squadra nella regione Lazio. «In genere I criminali dediti a questo tipo di reato hanno una notevole competenza – osserva Marco Napoli – sanno dove trovare questo metallo e a chi venderlo». Per far sì che inizi una vera e propria indagine occorre non solo che il “bottino” abbia una consistenza significativa, ma anche che gli episodi siano tra loro collegati e rappresentino il punto di partenza per una attività investigativa più articolata. Il singolo episodio, anche se difficilmente prevedibile, viene, invece, contrastato attraverso quotidiane pattuglie di controllo lungo le linee di competenza anche se a volte per la conformazione territoriale, non sempre è possibile raggiungere agevolmente i punti di interesse. Queste attività criminali chiaramente possono creare dei disservizi poiché il rame viene utilizzato per alimentare i circuiti telefonici, le segnalazioni semaforiche, i sistemi di sicurezza e la stessa circolazione dei treni. E chiaramente un “taglio” può avere diversi tipi di conseguenze a seconda del circuito che va a interrompere. 

Tra i risultati della squadra giudiziaria guidata da Napoli, l’arresto di circa 50 persone alla fine di una indagine condotta sulla linea dell’alta velocità nella zona di Roma Nord: «La banda operava in gruppetti di tre/sei persone che “lavorando” da mezzanotte alle prime luci dell’alba, riuscivano a portarsi via dai mille ai 5mila kg di rame, materiale che, il più delle volte, veniva tolto dalla guaina direttamente sul posto, per immetterlo più velocemente sul mercato e guadagnarci di più».

«La filiera del furto del rame prosegue con la vendita presso i rottamatori – spiega il funzionario – che sono il terminale per la ricettazione. Per contrastare il fenomeno da qualche tempo dedichiamo delle giornate al controllo dei rottamatori dei metalli mentre da alcuni anni abbiamo avviato dei contatti con le associazioni di categoria che li rappresenta per instaurare un dialogo e una collaborazione per prevenire e contrastare questo reato». 

Reati predatori
L’azione di prevenzione e contrasto ai reati predatori è ancora più capillare anche grazie al potenziamento dei sistemi di videosorveglianza che nelle principali stazioni ma non solo, sono all’avanguardia. «D’altronde i ladri sono sempre più scaltri, sanno fare bene il loro “mestiere”, scelgono gli orari giusti nei quali arrivano i treni e riescono a puntare in mezzo a un grande flusso di viaggiatori la vittima con il bottino sostanzioso. Sono comunque abbastanza soddisfatto – sottolinea il vice questore aggiunto – perché alla fine le investigazioni portano a individuare e identificare i colpevoli». 

L’utilizzo delle telecamere è un valido aiuto, un deterrente a commettere reati ma anche uno strumento che permette attraverso le immagini di individuare i responsabili di violenze o aggressioni. Tant’è che vi è un’implementazione dei sistemi di videosorveglianza con l’istallazione di ulteriori telecamere sia nelle stazioni ferroviarie sia a bordo treno e in entrambi i casi visibili direttamente nelle sale operative compartimentali. 

«Per quanto riguarda gli spazi della stazione Termini, nonostante sia una realtà ormai aperta e fruibile da un punto di vista commerciale anche da chi non deve necessariamente intraprendere un viaggio in treno, essendo presenti bar, negozi, supermercati, con un grande flusso di persone, posso affermare che è un luogo sicuro – osserva Napoli –. la criminalità che ruota attorno alla stazione difficilmente si avvicina e i ladri se non bloccati nell’immediatezza vengono identificati abbastanza presto». 

La vigilanza si estende anche nelle ore notturne. Non sono molti i treni che attraversano il nostro Paese di notte, ma anche in questo caso c’è l’intervento tempestivo da parte della squadra giudiziaria: «Recentemente, anche grazie alla collaborazione con personale ferroviario, abbiamo arrestato una banda di ladri che saliva nei pressi di Formia (Lt) e derubava molti passeggeri. Ritengo che la collaborazione con chi quotidianamente opera in questo contesto, a prescindere da ruoli e competenza sia necessaria e sinergica per rendere più sicuro l’intero ambiente».

Noif (Nucleo operativo incidenti ferroviari)
È un altro importante fronte su cui opera la Polfer, un settore di indagine delicato che richiede doti e competenze professionali particolari. «Si tratta di un nucleo specialistico creato appositamente per tutti gli incidenti ferroviari – osserva il vice questore aggiunto Napoli, responsabile del Nucleo – è in corso il progetto di allargarne le competenze a ogni aspetto dell’incidentalistica in ambito ferroviario di cui ha l’assoluta competenza».

Appartiene al Noif anche l’ispettore superiore Angelo Laurino, dal 1994 comandante della Squadra di polizia giudiziaria del compartimento Polfer della Lombardia con sede nella stazione centrale di Milano. Grazie anche all’esperienza dei 30 uomini che fanno parte della sua squadra, Laurino riesce a garantire una sorveglianza capillare sul territorio della stazione centrale di Milano, e a livello periferico. 

«La nostra attività riguarda diversi illeciti, crimini, i furti di rame sulla linea o nei depositi, e ogni reato commesso ai danni dei viaggiatori e del personale ferroviario, dell’infrastruttura e del materiale rotabile», spiega l’ispettore. E aggiunge: «Siamo allertati anche sul fronte del pericolo terroristico, ma non è un’attività investigativa, bensì di polizia giudiziaria preventiva, e qualsiasi azione viene svolta in collaborazione con la questura secondo le direttive del ministero». 

Angelo Laurino è particolarmente impegnato anche sul fronte dell’infortunistica ferroviaria, come membro del Noif. Un ambito difficile, complesso, che richiede professionalità, saperi specifici e lunghi anni di esperienza. Ha seguito gli incidenti di Viareggio in toscana e di Andria in Puglia, gli ultimi in un ordine cronologico ma anche molti altri in passato: «Quello dell’infortunistica è un lavoro delicato che richiede una grande competenza tecnica perché le nostre investigazioni si inseriscono tra l’attività del pubblico ministero e quella del consulente che viene nominato d’ufficio». 

La definizione di cosa si intenda per disastro o incidente ferroviario dal punto di vista normativo la troviamo nel Manuale di infortunistica ferroviaria scritto dall’ispettore Laurino che può dare una idea di partenza per capire tutte le competenze investigative, di sicurezza e giuridiche necessarie: «Un incidente in cui ci siano dei danni molto gravi ed estesi, in cui siano a rischio la vita o l’incolumità fisica di una cerchia di persone, come i passeggeri, i viaggiatori fermi nelle stazioni, il personale ferroviario presente a bordo o nelle stazioni e anche le persone che si trovano al di fuori dell’ambiente ferroviario – commenta Laurino – Ci vogliono molti anni per maturare un’esperienza in questo settore. Occorre sapere come funzionano i treni, come sono strutturati i sistemi di sicurezza della circolazione, capire cosa sequestrare tra le lamiere, in mezzo ai vagoni accartocciati, per poi individuare i profili di responsabilità: come ad esempio un macchinista che supera il semaforo (ora non avviene quasi più)».  

«Quando si arriva sulla scena di un disastro –continua l’ispettore – è importante non inquinare la cosiddetta “scena del crimine”, cosa non facile per la presenza massiccia di soccorsi giunti per aiutare i feriti». Da questo momento inizia un percorso di grande impegno e sacrificio quotidiani che non conosce pause. Per svolgere queste attività delicatissime in realtà sono sufficienti tre o quattro operatori al massimo: «L’importante è capire quello che bisogna sequestrare perché da questo dipende la prima ipotesi di ricostruzione della causa del deragliamento o dell’’incidente ferroviario. Solo dopo averla stabilita escludendo eventuali concause, occorre individuare i profili di garanzia, indagare cioè le persone che potrebbero essere responsabili dell’incidente (chi doveva fare e non ha fatto). In questo contesto occorre trovare un punto di equilibrio tra soddisfare l’esigenza di giustizia e capire, individuare con maggiore precisione possibile coloro che hanno responsabilità omissive, tenendo in considerazione il dramma dei familiari delle eventuali vittime che chiedono di conoscere la verità sui fatti accaduti».

 Viareggio e Andria
Il disastro di Viareggio (il 29 giugno 2009) e quello di Andria (12 luglio 2016) sono gli incidenti più gravi sulla base dei danni che hanno prodotto e per il numero di morti e feriti. Incidenti terribili, 32 persone, tra cui anche bambini, hanno perduto la vita mentre si trovavano in casa: erano le 23.48 del 29 giugno del 2009, quando un treno merci con 14 vagoni cisterna contenenti oltre 45mila kg di Gpl ciascuno è deragliato a Viareggio. 

Laurino ripercorre brevemente le tappe degli accadimenti secondo la ricostruzione frutto delle indagini durate sei anni: «Il treno stava transitando sul binario 4 ma dopo aver percorso trenta metri, dall’inizio del marciapiede, ha continuato per 370 metri circa con una ruota appoggiata al lato del marciapiede, fino a che il carro non si è rovesciato in corrispondenza di un passaggio a raso. In questo punto si è staccata una sala montata (l’insieme delle due ruote e l’asse corrispondente che si trovano nella parte inferiore del vagone), del peso di circa tre tonnellate, volando per circa 80 metri. La cisterna rovesciata è avanzata finché non ha incontrato un ostacolo che l’ha forata per 60 cm da cui sono fuoriusciti 45 mila kg. di gas Gpl che si è sparso attorno alle case circostanti e ha preso fuoco provocando un incendio enorme. Le nostre analisi – continua l’ispettore – hanno dimostrato che il deragliamento del treno è stato provocato dal fatto che la sala aveva il fusello fratturato, e che lo squarcio sulla cisterna, secondo la tesi della procura, è stato provocato da un picchetto di colore bianco utilizzato per segnalare le curve che si trovano tra i binari». Le indagini sono approfondite in questi frangenti. E nel caso di Viareggio hanno condotto non solo al proprietario del carro, la Gatx Rail Europa, ma anche alle persone e alle società che hanno permesso la circolazione del carro (RFI S.p.A, Trenitalia S.p.A., Fs Logistica e Cima Riparazioni S.p.A.), con particolare attenzione all’officina tedesca Jughental di Hannover che si è occupata della manutenzione (dal responsabile dell’officina, al capo reparto, fino all’operaio che ha fatto la revisione utilizzando gli ultrasuoni sulla ruota e non ha visto la crepa).  «La cosa ingiustificabile – osserva Laurino – è che la ruota difettosa era stata installata sotto il carro appena tre mesi prima dell’incidente». Le investigazioni sono ancora in corso per l’incidente ferroviario di Andria, del 12 luglio del 2016, che è costato la vita a 23 persone: «In quel caso ci siamo trovati davanti una linea ferroviaria mantenuta bene ma gestita con sistemi obsoleti. La sicurezza avveniva con il blocco telefonico, cioè i due capistazione attraverso il telefono chiedevano l’autorizzazione all’invio del treno alla stazione successiva. Un sistema che l’Agenzia per la sicurezza ferroviaria già quattro anni prima, nel 2012, aveva già dichiarato sorpassato. «I due convogli al chilometro 51 della linea Andria-Corato si sono scontrati a una velocità di 90 chilometri orari – spiega l’ispettore – in questo caso ci sono molti profili di responsabilità che devono essere vagliati».  Una tragedia che, sicuramente, l’utilizzo di un sistema di controllo più tecnologico avrebbe evitato. Purtroppo in Italia ci sono ancora molte linee gestite con questo sistema obsoleto, ben 600 chilometri. Tratte secondarie che si spera vengano dotate al più presto di sistemi più all’avanguardia che tutelino la vita e la sicurezza delle persone, il bene più prezioso e anche lo scopo dell’attività degli operatori della Polfer. 

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Ricordi di un polferino bolognese

Un fiume in piena. Una fonte inesauribile di racconti di vita vissuta. Questa è la personalità di Vincenzo Savarese, ispettore della Polizia di Stato, da meno di un anno in pensione. Savarese è una sorta di “grande saggio”, di memoria storica della Stazione di Bologna, dove ha lavorato per 37 anni. 

Ispettore, per anni lei è stato uno dei responsabili della sicurezza della stazione di Bologna. Quando è cominciata la sua esperienza alla Polfer?
Sono entrato in polizia il 1 settembre del 1977 e mai e poi mai avrei pensato di finire alla Polfer. A quel tempo, gli allievi guardia di P.S. potevano indicare tre preferenze: io indicai Squadra mobile, Reparto volanti e Reparto elicotteristi, per il quale nutrivo una vera e propria passione. Alla fine invece mi destinarono alla Ferroviaria di Bologna e, giorno dopo giorno, mi sono appassionato a questo lavoro. Perché le stazioni sono come città. Ci sono persone che ci vivono e ci lavorano stabilmente. Negozianti, facchini, baristi, ristoratori. Con loro finisci per diventare quasi uno di famiglia. Sapesse quanti borseggiatori abbiamo arrestato grazie all’aiuto dei facchini. E poi ci sono i viaggiatori che passano veloci e per i quali sei l’unico volto amico, fosse anche per chiedere un’informazione. Per questo, come dico sempre, noi della Polfer siamo stati i primi poliziotti di prossimità. 

Cosa ricorda dei primi anni della sua carriera e cosa è cambiato nel corso del suo lungo servizio alla Polfer di Bologna? 
Negli Anni ’80 il poliziotto della Polfer era soprattutto destinato alla scorta dei treni che trasportavano valori, primi fra tutti, i tabacchi esteri e in quel periodo le segnalazioni per il transito dei treni venivano fatte con un fonogramma dettato per telefono. Oggi la tecnologia è all’avanguardia, controlliamo e monitoriamo tutto attraverso una sala operativa digitale, lavoriamo con i palmari e possiamo usufruire di strumenti tecnologi all’avanguardia. 

Le stazioni, come ci raccontava, sono vere e proprie città dove lavorano e transitano migliaia di persone.  Chissà quanti interventi avrà effettuato… ce ne può raccontare qualcuno che le è particolarmente caro?
Porto con me il ricordo di mille storie. Purtroppo il più indelebile non riguarda una storia positiva. Era il 18 giugno del 1989. Facevo la scorta al treno dei tifosi del Bologna diretti a Firenze per una partita di calcio, quando giunti all’altezza di Firenze-Rifredi, un gruppo di ultrà lanciò alcune molotov contro il treno: ci furono molti passeggeri feriti, uno dei quali rimase terribilmente ustionato. Io e i miei colleghi della Polfer fummo gli unici rappresentanti delle forze dell’ordine disponibili per scortare circa 3mila tifosi emiliani tra ali di supporter fiorentini. Però con la mia testimonianza contribuii all’identificazione dei responsabili di quel gravissimo episodio.  

Tra i ricordi indelebili sicuramente vi è quel maledetto 2 agosto 1980, quando per l’attentato terroristico alla Stazione di Bologna morirono 85 persone e altre 200 rimasero ferite. Dove era lei alle 10.25, quando scoppiò l’ordigno, e cosa ricorda di quel giorno e dei giorni a venire?
Quella mattina ero libero dal servizio e stavo andando in Ufficio per chiedere qualche giorno di congedo al mio vice comandante, il maresciallo Bertasi. Mentre camminavo nelle vicinanze della stazione sentii un fragore assordante e una nuvola di fumo dopo qualche istante si alzò in cielo. Corsi verso la stazione, c’erano detriti dappertutto e feriti, decine e decine di feriti. Cominciammo a soccorrerli e nel frattempo arrivarono anche i colleghi, compreso Bertasi. Solo poco dopo capimmo che a essere crollata era proprio l’ala della scalo dove lavorava Katia, la figlia del nostro maresciallo, ragioniera presso una ditta di ristorazione della stazione. E allora, anche noi, pian piano realizzammo quello che di lì a poco si rivelò un terribile scherzo del destino. Katia era tra le 85 vittime di quel terribile attentato. Da quel giorno nessuno di noi fu più lo stesso.

Luca Scognamillo

07/11/2017