Anacleto Flori
Ultima traccia
Ogni anno si registrano casi di bambini sottratti dai genitori e portati fuori dall’Italia. Il compito di trovarli e di riportarli a casa spetta agli uomini del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia
Oggi per Aldo è un giorno come un altro, forse solo con po’ più di stanchezza addosso: prima al lavoro e poi di corsa a casa ad aspettare il ritorno di suo figlio Francesco, un soldo di cacio di appena due anni. È tutto ciò che di bello gli rimane di quel rapporto così intenso e conflittuale con l’ex moglie, che proprio oggi è fuori con Francesco secondo il calendario delle visite stabilito dal giudice dopo la separazione. Uscendo ha detto che avrebbero fatto una gita al mare, poi alle 19.00, di nuovo a casa. Aldo ha appena finito di preparare la cena, guarda l’orologio e si accorge che sono già le 19.20. E ancora non si vede nessuno. Certo è solo un piccolo ritardo, però è strano, perché fino a oggi lei è sempre stata puntualissima. Aldo cerca di restare calmo, eppure quel piccolo contrattempo è come un tarlo che scava dentro, gli morde l’anima. Ancora 10 minuti e scattano le prime telefonate, ma la voce metallica del cellulare ripete sempre la stessa frase: utente non raggiungibile. Pian piano monta la rabbia. Le telefonate allora diventano frenetiche, compulsive: amici, conoscenti, parenti nessuno ha visto o sentito la sua ex moglie. Ormai la rabbia lascia il posto al panico e alla disperazione. Francesco non tornerà a casa quella sera, né le sere successive. Nessuna traccia, nessun indizio da seguire. Lui e sua madre sembrano davvero svaniti nel nulla.
Quello di Francesco, purtroppo, non è un caso isolato. Ogni anno, infatti, si registrano nuove sottrazioni di bambini, per lo più piccolissimi: a volte il genitore, che dopo la separazione ha ottenuto l’affidamento, cambia improvvisamente indirizzo e addirittura città senza l’autorizzazione dell’ex coniuge. Altre volte, invece, è il genitore non affidatario a sparire con il figlio, approfittando magari del giorno di visita o di un breve periodo di vacanze. La situazione diventa ancor più drammatica quando uno dei due genitori è un cittadino straniero e il bambino viene portato all’estero. Quasi sempre si tratta di coppie già separate o sul punto di separarsi, con alle spalle rapporti conflittuali fatti di reciproche querele e denunce. E quasi sempre si tratta di fughe premeditate, studiate a lungo in ogni dettaglio: soldi, documenti, appoggi e coperture in patria: non si sparisce nel nulla da un giorno all’altro senza un piano d’azione. Ed è esattamente quello che, dalle prime indagini, sembra sia accaduto il 19 agosto a Mornago, nel Varesotto, dove la mamma russa di un ragazzino di appena 5 anni, affidato ai nonni paterni e seguito dai servizi sociali dopo la separazione dei genitori, è riuscita a portare via il figlio durante la consueta uscita del sabato pomeriggio. Grazie a un perfetto ingranaggio in cui ogni elemento si è incastrato secondo una tabella di marcia attentamente studiata (il luogo della sottrazione, il taxi che li ha portati a Torino, il Van con cui sono arrivati fino a Nizza e i biglietti aerei già prenotati), madre e figlio si sono imbarcati per la Russia, facendo perdere le loro tracce.
In questi casi le drammatiche esperienze, vissute sulla pelle dei genitori cui viene portato via un figlio, ci insegnano come le indagini per sottrazione internazionale di minori siano particolarmente lunghe, difficili e delicate e le attese sempre più angosciose con il passare del tempo.
Ed è proprio in questi frangenti che entrano in gioco gli uomini del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia della Criminalpol, più brevemente Scip, diretto da Gennaro Capoluongo. In particolar modo, a occuparsi delle indagini per le sottrazioni internazionali di minori è la 2^ divisone dello Scip, diretta dal primo dirigente Emilio Russo. Si tratta di una squadra altamente specializzata, composta da una trentina di operatori, che, una volta ricevuta la richiesta di collaborazione dagli Uffici di polizia territoriali o direttamente dall’autorità giudiziaria italiana è pronta a intervenire all’estero attraverso la costruzione di una stretta rete di contatti con i diversi ufficiali di collegamento presenti nei diversi Paesi, con i locali uffici di polizia e con i vari rappresentati diplomatici. E quando serve, è lo stesso direttore, assieme ai suoi collaboratori, a intervenire in prima persona in ogni angolo del mondo per scovare e seguire anche il minimo indizio con l’unica missione di individuare il luogo in cui si trova il minore sottratto, come è successo per la piccola Emma Kharat (vedi box).
Per fortuna, in questo delicatissimo compito, lo Scip non è solo: già dal maggio 2009 è stata istituita, presso il ministero degli Affari Esteri per la Cooperazione Internazionale e in particolar modo all’interno della Direzione generale italiani all’estero, un’apposita task force il cui nocciolo duro è composto da rappresentanti del ministero dell’Interno (in particolare da un dirigente della divisione analisi del Servizio centrale operativo, da un dirigente di S.i.r.e.n.e. (Supplementary information request at the national entries) e dallo stesso direttore della 2^ divisione dello Scip) affiancati da un dirigente del ministero degli Affari Esteri e da un magistrato del ministero della Giustizia. «La task force interministeriale è uno strumento particolarmente utile e agile – spiega Emilio Russo – in grado di attivarsi rapidamente in caso di emergenza e che comunque si riunisce periodicamente per fare il punto delle indagini in corso e per condividere le varie informazioni». Indagini che riguardano sia i minori non ancora localizzati sia quelli localizzati. Nel primo caso ogni sforzo è teso a rintracciare ragazzi e genitori di cui si è persa ogni traccia: genitori che, tecnicamente, sono considerati dei veri e propri latitanti perché spesso nei loro confronti esiste un mandato di cattura emesso dall’autorità giudiziaria. «Negli ultimi tempi, da questo punto di vista – sottolinea il dirigente di polizia – le cose però sono decisamente migliorate, basti pensare che dal 2014 a oggi grazie alle indagini condotte con i colleghi delle polizie estere – abbiamo rintracciato 14 ragazzini e ragazzine sottratti illegalmente ai genitori affidatari e portati fuori dall’Italia. Di questi, 6 sono già rientrati in Italia, in 2 casi i rispettivi genitori hanno riallacciato i contatti per trovare una soluzione condivisa, mentre per altri 5 sono in corso le procedure giudiziarie e diplomatiche per arrivare all’effettivo rientro in Italia. Il 14° minore che risultava essere stato portato all’estero è stato rintracciato nelle scorse settimane, e questo per noi è una grandissima soddisfazione che ci ripaga di tutto il lavoro svolto».
Un lavoro molto spesso oscuro, portato avanti tra mille difficoltà e a fari spenti, fatto di prudenti abboccamenti con le autorità locali e improvvisi colpi di mano, di pazienti attese e decisioni fulminee. Di infinite attese e false segnalazioni.
Alla fine la molla che spinge a continuare le ricerche, senza perdere mai la speranza di trovare la pista giusta, è tutta nel pianto liberatorio di una madre e nella dolcezza del sorriso di una bambina che torna finalmente a casa. Un sorriso che gli uomini dello Scip vorrebbero restituire anche alla piccola Chantal Tonello, sottratta, portata all’estero e non ancora localizzata; un caso ormai avvolto nella nebbia, al punto da essere considerato dagli stessi investigatori una sorta di highlander, di ricercata numero uno. Infatti di Chantal, sottratta al padre nel gennaio del 2012, quando aveva solo pochi mesi, non si hanno più notizie dal giorno in cui la madre, una cittadina ungherese, è letteralmente scomparsa nel nulla dopo aver soggiornato per alcuni giorni, assieme alla bambina, a Mezotur, nella casa dei nonni materni.
Nel caso di minori localizzati, si tratta invece di ragazzini e ragazzine di cui, dopo accurate indagini e delicati interventi diplomatici, si sono ricostruiti i movimenti fino a trovare l’abitazione in cui vivono, ma che non si è ancora riusciti a rimpatriare. Come testimonia la vicenda del piccolo Cesare Avenati (nella foto della pagina precedente, assieme al papà), portato via nella primavera del 2011, all’età di 18 mesi dalla madre, una cittadina croata, che per anni si è resa irreperibile spostandosi sistematicamente lungo le zone di confine a ridosso della frontiera tra la Croazia e la Bosnia, fin quando i continui controlli alle frontiere e la pressione congiunta della polizia italiana, bosniaca e croata, ma anche i buoni rapporti costruiti sul posto con le autorità centrali e con le rappresentanze diplomatiche, hanno spinto la donna a uscire allo scoperto e ad affidare il piccolo Cesare ai nonni materni, residenti a Spalato, dove è stato in effetti rintracciato. «Certo, riuscire a localizzare il bambino o la bambina portata via dall’Italia – spiega Emilio Russo – non significa aver risolto il caso, ma è già un primo importantissimo passo perché si tratta di farli uscire dalla clandestinità. Molto spesso questi ragazzi vivono, infatti, come piccoli detenuti in casa del genitore che li ha sottratti o presso altri parenti: non vanno a scuola, non fanno sport e soprattutto non frequentano altri ragazzi per paura che possano essere identificati. Proprio per questo, può succedere che accanto all’accusa di sottrazione di minori, spesso si aprano anche altri procedimenti paralleli per maltrattamenti». Però, come spiegava il direttore della II divisone molto spesso localizzare un minore non basta: Cesare Avenati è stato rintracciato a settembre del 2016, ma ancora oggi, a distanza di circa un anno, il papà non è riuscito a riportarlo in Italia.
Purtroppo i tempi per la risoluzione di tali controversie sono molto, troppo lunghi, poiché la sottrazione internazionale di minori viene considerata un reato ordinario e non gode, dal punto di vista giudiziario, di canali privilegiati o corsie preferenziali. A tutto ciò si aggiunge il diverso atteggiamento che ogni Stato assume nei confronti di tali vicende. Atteggiamenti determinati soprattutto dai diversi approcci culturali, tenendo conto che parliamo di ragazzini e ragazzine localizzati in ogni parte del mondo: nel periodo preso in considerazione 6 sono stati rintracciati in Marocco, gli altri rispettivamente in Egitto, Siria, Croazia, Bielorussia, Ecuador, Bolivia, Venezuela e Canada.
Pertanto se l’Italia e i Paesi dell’Unione europea sono tradizionalmente portati a un maggior pathos, a un maggior coinvolgimento emotivo quando si tratta di affari di famiglia, altri Paesi invece, come quelli dell’Est, mantengono posizioni più “fredde” e formali e pertanto sono meno disposti ad ascoltare suggerimenti e a tollerare interferenze investigative.
E che tali delicate vicende possano determinare tensioni e incomprensioni tra i diversi Stati è confermato dall’esistenza della cosiddetta Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 che regola, dal punto di vista del diritto civile, la materia: una convenzione ratificata dall’Italia con la legge 15 gennaio 1994, ma che non tutte le Nazioni hanno firmato. Come se non bastasse, la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che ci sono Paesi che collaborano tranquillamente con la polizia italiana, ma che non hanno nel proprio ordinamento giuridico, e quindi non riconoscono, determinati istituti di cui l’Italia si è dotata, come ad esempio quello della sospensione della patria potestà. Pertanto se un genitore cui è stata tolta la patria potestà si rende responsabile di sottrazione di minore, qui in Italia rischia di essere incriminato e condannato a 10 anni di carcere per sequestro di persona. Una condanna di una durezza inspiegabile agli occhi di Nazioni che non conoscono l’istituto della patria potestà e che sono più portate a ritenere il responsabile della sottrazione come un genitore che ha semplicemente preso con sé il proprio figlio, piuttosto che un pericoloso sequestratore. Difficile come sempre in questi casi dirimere la questione. Quello che è certo è che a pagare il prezzo più alto sono come sempre i figli.
Nel frattempo Emilio Russo e i suoi uomini, nonostante le tante operazioni concluse con successo, continuano a cercare perché non riescono ancora a sentirsi pienamente soddisfatti del loro lavoro.
Almeno fino a quando non riusciranno a trovare anche la piccola Chantal.
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Emma Kharat, un lampo di gioia ad Aleppo
Emma ha solo un anno quando suo padre Mohamed Kharat, alla vigilia del Natale 2011, la strappa via dalla sua casa, nel cuore della provincia milanese, e soprattutto dalle braccia di mamma Alice. Ånche in questo caso, come spesso succede, tutto è preparato con cura, pensato e preordinato: dal giorno della separazione sono mesi che Mohamed porta fuori Emma durante la consueta visita settimanale: mai un problema, mai un minuto di ritardo fino a quel drammatico 18 dicembre, quando dopo 1 ora di attesa, la madre decide di denunciarne la scomparsa. «Prima che scattase il blocco alle frontiere – racconta Emilio Russo, funzionario del Servizio di cooperazione internazionale di polizia (Scip) che ha seguito in prima persona le ricerche di Emma – il padre si è imbarcato con la bambina su un aereo diretto ad Atene. Da qui ha raggiunto, via terra, prima la Turchia e poi Aleppo, in Siria». Lasciata la bambina a casa di parenti, Mohamed ha fatto ritorno in Turchia dove ha ottenuto un visto di soggiorno in qualità di profugo e dove è rimasto a vivere per alcuni anni. Ed è proprio qui che viene rintracciato dagli uomini dello Scip. Sebbene colpito da un mandato di arresto internazionale per sequestro di persona, Mohamed non può essere estradato poiché l’ordinamento turco, nel caso di specie, riconosce solo la sottrazione internazionale e non il reato di sequestro di persona. A nulla valgono le richieste delle autorità italiane: l’estradizione non viene concessa e Mohamed è ancora libero di circolare e di rilasciare interviste scioccanti nelle quali afferma che Emma è morta ad Aleppo durante un bombardamento... L’impasse è totale e frustrante: il responsabile del rapimento è lì sotto gli occhi di tutti ma non si può far nulla. In realtà qualcosa si può fare, come ad esempio dimostrare alla polizia turca che Mohamed Kharat, essendo entrato in Turchia dalla Grecia e non provevendo quindi da una zona di guerra non può essere considerato un profugo. La mossa della task force impegnata nella ricerca è decisiva: espulso e accompagnato alla frontiera con la Grecia, Mohamed viene preso in consegna dalle autorità italiane. L’arresto del padre rappresenta un colpo decisivo anche per i suoi familiari che hanno in custodia la bambina e che si spostano di casa in casa per sfuggire alle bombe: dopo una lunga serie di contatti e di mediazioni finalmente i familiari di Mohaned Kharat accettano di riconsegnare la bambina. Siamo ormai arrivati al 9 marzo 2017: dopo oltre 5 anni di “sequestro” Emma è a un passo dall’essere riportata a casa. Il problema ora è come tirarla fuori dall’inferno di Aleppo e farla entrare in Turchia, visto che le frontiere con la Siria sono tutte bloccate. «Dal confine turco, tramite i social network, noi della task force abbiamo costantemente tenuto i contatti con i familiari di Emma – racconta Emilio Russo – teleguidandoli passo passo attraverso il percorso, facendogli evitare le strade più pericolose e ancora in mano ai ribelli. Nel frattempo avevo inviato ai familiari di Emma un video in cui ero assieme allo zio paterno, una piccola registrazione per farmi riconoscere al momento della consegna, anche perché tutti noi c’eravamo posti il problema di come “gestire” una bambina che parlava solo arabo e che si sarebbe trovata improvvisamente tra perfetti sconosciuti». La mamma di Emma infatti è rimasta in Italia, sa che sua figlia è stata rintracciata ma non sa che è in viaggio verso la libertà: l’operazione è delicatissima: anche il più piccolo contrattempo e può mandare in fumo anni e anni di indagini e ricerche. Alla fine dopo tanta attesa il furgoncino con il suo preziosissimo carico supera la frontiera ed entra in territorio turco. Ormai è fatta. Emma scende dall’auto, tenuta per mano dai nonni, si avvicina al funzionario di polizia e gli sorride. L’idea del video ha funzionato... Il resto sono solo piccoli intoppi burocratici da superare: come la richiesta delle autorità turche di sottoporre la bambina all’esame del Dna (che invece verrà fatto solo in un secondo tempo), il poliziotto turco che all’aeroporto blocca all’imbarco il dirigente dello Scip Emilio Russo e minaccia di arrestarlo perché la yellow notice che pendeva su Emma non è stata ancora cancellata (solo il tempestivo intervento dell’Interpol di Lione annulla la segnalazione e sblocca la situazione) o l’aereo per l’Italia che rischia di partire senza di loro.
Scortati dall’ambasciatore e con indosso la tuta dell’Intepol, la delegazione arriva al gate appena in tempo.
Nulla ormai può ormai impedire a Emma di salire su quel volo che la ripoterà a casa.