Riccardo Calcagno*

Bulli in Rete

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La recente normativa interviene sull’estendersi del fenomeno prevedendo figure educative, ma anche modalità repressive

lex 7/17

Il vertiginoso sviluppo dei social media ha portato la società e la Polizia di Stato a doversi confrontare col crescente diffondersi di problematiche rilevanti sia sotto il profilo sociale, sia sotto il profilo della tutela della sicurezza pubblica.

Tra queste si può certamente annoverare il cosiddetto. cyberbullismo, ossia – per richiamare la definizione data dalla migliore dottrina – quella forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento, che non riesce a difendersi.

Tale fenomeno, coinvolgente giovani in età scolare, può manifestarsi in diversi modi, come attraverso l’invio di messaggi offensivi o intimidatori direttamente alla persona offesa o tramite piattaforme web, la pubblicazione di immagini o video personali della vittima, la creazione di gruppi specificamente volti al dileggio.

Secondo le ultime indagini condotte dall’Istat sul fenomeno del bullismo (2014), tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o Internet il 5,9% denuncia di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network, con un picco riguardante le ragazze (7,1% contro il 4,6% dei ragazzi). Un dato che, se si guarda al fortissimo aumento nell’utilizzo della Rete testimoniato dagli ultimi rapporti Censis, deve ritenersi comunque in crescita, anche rilevata quella inclinazione sempre più frequente tra i pre-adolescenti e i teenager a sperimentare attraverso l’uso delle nuove tecnologie una socialità aggressiva, denigratoria, discriminatoria e spesso violenta denunciata da un recente rapporto di Save the Children sul cyberbullismo (gennaio 2016).

Tale massiva diffusione è confermata dall’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, che nel capitolo riguardante i processi formativi evidenzia come il bullismo tra coetanei trovi ormai terreno fertile sul Web e sulle pagine dei social, tanto che il 52,8% dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire casi di cyberbullismo e il 51,8% ha organizzato incontri sulle insidie di Internet con i genitori, avvalendosi prevalentemente del supporto delle forze dell’ordine (69,4%) e di psicologi o operatori delle Asl (49,9 %). Come sottolineato dagli studiosi, a differenza del bullismo tradizionale, in cui il bullo si confronta faccia a faccia con la vittima, nel bullismo digitale l’autore approfitta dell’effetto di schermatura della Rete, eliminando qualsiasi rapporto diretto con la persona aggredita, facilitando da un lato il procedimento di spersonalizzazione e dall’altro rafforzando l’idea di anonimato. La pervasività dei social media – ancor maggiore tra i giovani – priva la vittima di qualsiasi rifugio sicuro, esponendola alle vessazioni del bullo sostanzialmente ovunque e rendendo al contempo più difficoltoso il controllo degli adulti su tali fenomeni. Inoltre, la capacità di Internet di diffondere in modo rapidissimo e massivo le informazioni condivise fa sì che le offese e le umiliazioni nei confronti della vittima siano viste (e talvolta ulteriormente condivise, con una possibilità di propagazi

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04/07/2017