Graziella Currò*
Fine vita: la normativa
A otto anni dal caso di Eluana Englaro e pochi mesi dopo quello di Dj Fabo, diventerà legge il disegno sulle “Disposizioni anticipate di trattamento”
Il 2 maggio, la Camera dei deputati ha trasmesso il disegno di legge n. 2801 “Disposizioni anticipate di trattamento” (Dat) alla XII Commissione del Senato, “Igiene e Sanità”, testo unificato e approvato dal Senato il 20 aprile 2017, destinato a diventare legge non appena i lavori del Senato saranno ultimati. Si tratta della legge che darà ai cittadini la possibilità di esprimere la propria volontà sul fine vita. A quasi otto anni dalla morte di Eluana Englaro e a pochi mesi dalla vicenda che ha visto Fabiano Antoniani, DJ Fabo, porre volontariamente termine alle proprie sofferenze in una clinica di Zurigo, stiamo quindi per assistere a un evento molto importante: l’approvazione di una norma su un tema oggetto di polemiche che hanno lacerato a lungo l’opinione pubblica e arroventato il dibattito politico. Solo nell’ultimo decennio, il Parlamento aveva esaminato ben 16 proposte di legge in materia, senza mai riuscire ad approvare un testo capace di rappresentare il punto di sintesi tra posizioni apparentemente inconciliabili. Nella tradizione giuridica occidentale, la sovranità statale aveva sempre riconosciuto l’unitarietà della vita umana, i cui confini erano segnati dalla nascita e dalla morte. La vita del soggetto giuridico coincideva con questo tratto di strada, breve o lungo che fosse. Nascere e morire appartenevano alla natura, che s’imponeva al diritto nella sua incontrovertibile oggettività. Tuttavia, il recente sviluppo di tecniche volte a prolungare la vita e dilatare il tempo della malattia sembra aver modificato il concetto stesso di morte, influendo anche nell’ambito personale e sociale della sua accettazione.
Ai sensi dell’art. 1 della legge 29 dicembre 1993, dal titolo “Norme sull’accertamento e a certificazione della morte”, l’evento morte coincide con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. I problemi nascono nell’ipotesi in cui il soggetto non subisce questa “cessazione”, ma la vita si riduce a uno stato vegetativo e soltanto trattamenti terapeutici evitano che si trapassi alla fase della morte. Fino a che punto questa persona dev’essere mantenuta in vita? Rileva semplicemente la volontà del paziente, o anche quella del medico? Può essere dato spazio ai parenti, agli amici o a manifestazioni di volontà rese dal soggetto stesso, anche in tempi lontani, quando era ancora in grado di autodeterminare il proprio destino?
A fronte della vivacità del dibattito in corso, va sotto