Carmelo Nicola Alioto*

Le misure di sicurezza nell’ordinamento penale - 2^ parte

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1. Le misure di sicurezza non detentive  

1.1 La libertà vigilata

L’ antecedente storico della libertà vigilata si rinviene nell’istituto della vigilanza speciale dell’Autorità di pubblica sicurezza disciplinata dall’art. 28 del codice Zanardelli. Nell’attuale codice Rocco la libertà vigilata, invece, è una misura di portata generale deputata a colmare vuoti normativi. La stessa affinché possa trovare concreta applicazione, necessita dell’accertamento da parte del giudice dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti per l’attuazione delle generali misure di sicurezza . Nello specifico, la suindicata misura consiste nella limitazione – anche se non detentiva – della libertà personale in ottemperanza di obblighi e di controlli, da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza (ad esempio permanenza notturna in casa, non accompagnarsi con pregiudicati, non frequentare certi luoghi ecc.) volti “a evitare le occasioni di nuovi reati” e ad “agevolare il riadattamento della persona alla vita sociale” (art. 228 cp), potendo, in itinere, essere modificate o limitate dal giudice. Ai sensi del 1° comma della norma in esame, l’ attività di sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata alla competenza dell’Autorità di pubblica sicurezza; nel caso particolare di libertà vigilata applicata a persona condannata alla reclusione superiore a un anno per il delitto di contrabbando, tale competenza spetta, ai sensi dell’ art. 115, l. 25.9.1940, n. 1424 e dell’ art. 86, l. 17.7.1942, n. 907, anche alla Guardia di Finanza. Costituiscono presupposti per l’applicazione della libertà vigilata, ai sensi dell’art. 229, n. 2. cp, la realizzazione di un cosiddetto “quasi reato”, la volontarietà del comportamento e la pericolosità del soggetto, che il giudice deve accertare secondo i parametri di cui all’art. 133 cp, considerando, soprattutto, il reato o i reati nella loro obiettività, specie quando, per gravità e specificità, assumano connotazioni di significativo rilievo . 

La persistenza della pericolosità accertata in sede di riesame della stessa comporta invece soltanto il prolungamento della misura di sicurezza originariamente applicata, e non può determinarne, in assenza di trasgressione degli obblighi imposti, l’aggravamento . Invero, l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza non è soggetta ai termini di durata massima delle misure cautelari in considerazione della continua rivisitazione che deve essere fatta dell’applicazione della misura stessa in funzione della pericolosità sociale .

Dopo l’abrogazione della disciplina legislativa in riferimento alla presunzione, iuris et de iure, della pericolosità sociale, la libertà vigilata non è più obbligatoria in tutti i casi previsti dall’art. 230 cp, mentre l’obbligatorietà della predetta misura permane nel caso di condannati a pena detentiva, o all’ergastolo, ammessi alla liberazione condizionale. In questa circostanza la libertà vigilata non ha la funzione di misura di sicurezza, perché non può essere socialmente pericoloso chi si è ravveduto (art. 176, primo comma, cp) ma si tratta, nel caso di specie, di misura sostitutiva della pena.  

L’applicazione obbligatoria riguarda, invece, tutti i casi in cui: a) è stata inflitta la reclusione per non meno di 10 anni; b) il condannato è ammesso alla liberazione condizionale; c) il contravventore abituale o professionale, non più sottoposto a misura di sicurezza, commette un nuovo reato che sia nuova manifestazione di abitualità o professionalità; d) è determinato dalla legge (ad esempio artt. 210, 212, 223, 225, 238, 417), anche se dopo l’entrata in vigore della novella del 1986, è richiesto anche l’accertamento della pericolosità. La durata minima della libertà vigilata è di 1 anno; passa a 3 anni se è inflitta la reclusione per non meno di 10 anni o nel caso contemplato dall’art. 210, 3° comma, cp. La trasgressione degli obblighi imposti è sanzionata con l’ aggiunta della cauzione di buona condotta. Se la cauzione non dovesse essere prestata, oppure nei casi di trasgressioni particolarmente gravi o ripetute, il giudice può sostituire la libertà vigilata con la colonia agricola o la casa di lavoro; invece, se si tratta di minore con il riformatorio giudiziario. La libertà vigilata è affidata all’Autorità di pubblica sicurezza e al servizio sociale. L’importanza di quest’ultimo organo (il servizio sociale) si evince non già in seguito all’avvento del codice del 1930 ove discorreva di libertà vigilata ex se, bensì con l’art. 55 della l. n. 354/1975, nel testo sostituito dall’art. 6, l. n. 1/1977; siffatta legge dispone, infatti, che le persone sottoposte a libertà vigilata siano assistite, al fine del loro inserimento, dall’opera dei centri di servizio sociale trasformandosi pertanto in una “libertà vigilata assistita”. 

1.2 Il divieto di soggiorno in uno o più comuni, o in una o più province

Si tratta di una misura di sicurezza che consiste nel divieto di soggiornare in uno o più comuni o province; i predetti luoghi vengono designati dal giudice che, in via preliminare, deve accertare il pre-supposto applicativo della pericolosità sociale di un soggetto, determinata dall’esigenza di evitare occa-sioni di nuovi reati comuni o politici, motivati da particolari condizioni sociali in determinati luoghi (art. 233 cp). 

In dottrina è stata rilevata la dubbia legittimità costituzionale della norma, in relazione all’art. 16 Cost. che, nel sancire la libertà di circolazione e di soggiorno, prevede solo limitazioni legislative di carattere generale per motivi di sanità o di sicurezza ed espressamente stabilisce che nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Difatti, l’art. 233 cp prevede il divieto di soggiorno come misura di sicurezza aggiunta alla pena inflitta per un delitto oggettivamente e soggettivamente politico o contro l’ordine pubblico; inoltre fa anche riferimento a condizioni sociali e morali, senza menzionare motivi di sicurezza pubblica . Altra parte delle dottrina, di contro, sostie

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05/06/2017