Carmelo Nicola Alioto

Le misure di sicurezza nell’ordinamento penale/prima parte

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1. Natura giuridica dell’istituto

Il legislatore negli anni ‘30 ha introdotto nel codice penale una ulteriore sanzione al fine di eliminare la pericolosità sociale insita in determinate categorie di soggetti: le misure di sicurezza. Queste hanno inaugurato il sistema del doppio binario. In particolare, da una parte vi è la pena che viene inflitta ad un soggetto, responsabile per aver violato la disposizione penale, come retribuzione e prevenzione generale dei reati, e, dall’altra, la misura di sicurezza la cui funzione è quella di neutralizzare la pericolosità sociale insita in determinate categorie di persone. Nel codice penale le misure di sicurezza conservano – per usare le espressioni della relazione ministeriale – “gli scopi, la natura, i caratteri dei provvedimenti similari che embrionalmente esistevano già nella legislazione precedente. Esse assumono soltanto una maggiore estensione ed un maggiore sviluppo dovuti alla elaborazione scientifica e legislativa”. Le misure di sicurezza devono essere concepite come entità polidimensionale. Anche secondo la costante giurisprudenza penale non v’è relazione di fungibilità tra la pena detentiva e una misura di sicurezza non detentiva (nella specie libertà vigilata provvisoriamente applicata), benché quest’ultima sia caratterizzata da forti limitazioni della libertà di locomozione. 

La diversa funzionalità dei due istituti emerge anche in sede di applicazione e di durata temporale degli stessi; invero, mentre la pena è proporzionata alla gravità del fatto, la durata della misura di sicurezza era necessariamente indeterminata poiché si basa su un giudizio prognostico di pericolosità. La giurisprudenza penale sul punto chiariva che “l’applicazione di una misura di sicurezza, diversa dalla confisca, postula l’accertamento in concreto della persistente pericolosità sociale del soggetto anche nei confronti del condannato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso”. La legge 30 maggio 2014, n. 81 ha introdotto in proposito un’importante modifica stabilendo che “le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”. Fino al 2014 il codice penale prevedeva una durata minima per il ricovero dei soggetti non imputabili che però era suscettibile di rinnovo fino all’avvenuto accertamento del venir meno della c.d. condizione di pericolosità sociale.
La decisione di carattere discrezionale, volta al rinnovo e alla conferma della misura di sicurezza, poteva protrarsi sine die. Ogni sei mesi il giudice doveva operare la valutazione in merito alla pericolosità sociale del soggetto e qualora la stessa si fosse rivelata sussistente, la misura veniva rinnovata. Si parlava, infatti, di un vero e proprio “ergastolo bianco”. Lo scopo che si è prefissato il legislatore è stato quello di delimitare l’applicazione delle misure di sicurezza sia nell’an sia nel quantum. Invero, la pericolosità sociale, intesa nel senso di accentuata probabilità da parte del soggetto di commettere nuovi reati, deve essere accertata in base ai criteri stabiliti dall’art. 133 cp considerati globalmente. Sui criteri di accertamento il legislatore con l’art. 1, comma 1, della legge 30 maggio 2014, n. 81 ha stabilito che la pericolosità sociale – da parte tanto del giudice di cognizione quanto del magistrato di sorveglianza – “è effettuata sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale”, cioè delle “condizioni di vita individuale familiare e sociale del reo”. L’intento è quello di evitare che l’indigenza, il disagio familiare e sociale – cioè condizioni di marginalità e di abbandono – possano venire in gioco quali indici sui quali fondare il giudizio di pericolosità sociale dell’agente. La legge n. 81 cit. inoltre prevede che “non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali”. Il legislatore vuole evitare che l’internamento negli Opg e nelle Ccc possa dipendere da eventuali disfunzioni organizzative e, in particolare, dalla mancanza della possibilità di assegnare la persona interessata ai dipartimenti di salute mentale, cioè alle strutture non detentive facenti capo al servizio sanitario e dislocate sul territorio regionale. Vi è di certo che le misure de quo sono, infatti, concepite non per punire la colpevolezza di un reo ma per fronteggiare la pericolosità di un soggetto autore di un fatto di reato. Pertanto, ove la pericolosità sociale attribuibile in capo ad un soggetto dovesse cessare, viene meno il principale, anche se non l’unico, presupposto applicativo delle misure di sicurezza. Queste ultime rappresentano il corollario della norma penale nella sua dimensione di garanzia, e non nella sua dimensione di comando. Orbene, se la pena è rivolta agli imputabili ed ai semi imputabili, la misura di sicurezza è applicabile anche ai non imputabili purché socialmente pericolosi. In ordine a quest’ultimo requisito, autorevole dottrina argutamente ritiene che “il problema della pericolosità più che un problema di ammissibilità, incontestabile, della categoria dei soggetti pericolosi, è essenzialmente un problema oltre che di accertabilità, di mezzi di difesa sociale di trattamento”. Secondo la costante giurisprudenza in ordine alla scelta delle misure di sicurezza è da escludere ogni automatismo, quando una misura meno drastica accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e quelle di prevenzione e sicurezza. Ne deriva così ad esempio che la misura di sicurezza della libertà vigilata può essere applicata, in luogo della misura di sicurezza detentiva (nella specie, quella dell’assegnazione a una casa di cura e di custodia), anche nei confronti del condannato affetto da vizio parziale di mente, se in concreto detta misura sia capace di soddisfare le accennate esigenze di cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale. Anche dopo l’introduzione dell’art. 31 l. n. 663 del 1986 , che ha abrogato la cd. “pericolosità presunta” di cui al previgente art. 204 cp ed ha stabilito che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento della pericolosità sociale del condannato, permane la distinzione fra la libertà vigilata facoltativa di cui all’art. 229 cp e quella obbligatoria prevista dal successivo art. 230, in quanto, nei casi di misura facoltativa, qualora sia accertata in concreto la pericolosità sociale e la sussistenza degli altri presupposti richiesti, il giudice può comunque escluderne l’applicazione, purché motivi adegu

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12/05/2017