Antonio Massimo Marra*
A carte scoperte
La trasparenza degli atti amministrativi, tra diritto di accesso e tutela della privacy
1. Principio di trasparenza e finalità dell’accesso
L’accesso ai documenti amministrativi rappresenta un principio generale dell’attività amministrativa, diretto a favorire la partecipazione dei cittadini all’azione pubblica e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza della stessa.
La trasparenza è un principio generale che alimenta l’intera azione amministrativa e rappresenta l’argine principale alla corruzione in quanto gli affari illeciti preferiscono, come ha sintetizzato recentemente il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, l’oscurità e non amano certo la luce e la trasparenza.
E’ stato merito della dottrina e della giurisprudenza più accorte l’elaborazione del canone di trasparenza, tramite la compiuta analisi del tessuto normativo complessivamente disciplinante l’attività dei pubblici poteri in Italia, distinguendolo dai già noti principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, consacrati espressamente nell’art. 97 della Carta fondamentale, e conferendogli una propria autonoma dignità giuridica.
Secondo l’affermazione più ricorrente, esso si sostanzierebbe nell’attribuzione ai cittadini del potere di esercitare un controllo democratico sullo svolgimento dell’azione amministrativa, onde accertarne la conformità tanto agli interessi pubblici alla cui cura la suddetta azione è preordinata, quanto ai precetti normativi regolanti quest’ultima.
Definitiva consacrazione di tale principio – la cui esistenza già si desumeva per implicito, precedentemente, da alcune norme di legge, quali, ad esempio, l’art. 26 l. 816/85 (che sanciva il diritto dei cittadini di prendere visione degli atti comunali) e l’art. 14 l. 349/86 (sul diritto di accesso agli atti contenenti dati ambientali) – si è avuta con l’entrata in vigore della l. 241/90 detta comunemente “sulla trasparenza amministrativa”.
Per la prima volta, infatti, il legislatore, ha disciplinato in via generale ed astratta qualunque tipologia di procedimento amministrativo avviato da una Pa ed ha introdotto – tra i principi generali dell’azione amministrativa – quello di pubblicità.
Peraltro, è bene sottolineare che la trasparenza, nel senso innanzi inteso, non si assicura unicamente mediante lo strumento dell’accesso, ma al suo raggiungimento concorrono numerosi altri principi ed istituti, quali – ad esempio - l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art. 3 l. 241/90), e la partecipazione dei privati al procedimento che li coinvolge (artt. 7-13 l. cit.).
E’ infatti ovvio che solo un concreto e diretto coinvolgimento dei destinatari del provvedimento finale nell’iter procedimentale, e l’idoneità del provvedimento stesso a rendere manifeste le ragioni logico-giuridiche che ne hanno permesso l’emanazione, rendono possibile garantire il controllo democratico dei cittadini nei confronti dell’azione amministrativa.
In linea generale, l’art. 10 del dlgs 267/2000 e gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 riconoscono il diritto di accesso ai documenti amministrativi a tutti i soggetti titolari di una situazione giuridicamente rilevante. Lo stesso art. 22 della l. 241/90 individua poi un concetto più ampio di documento amministrativo, comprensivo degli atti provenienti da soggetti diversi dalla stessa amministrazione.
L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con le decisioni 4 e 5 del 1999, ha chiarito che la disciplina dell’accesso si estende anche agli atti di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione.
Pertanto, la normativa di rango statale afferma l’ampia portata della regola dell’accesso, la quale rappresenta la coerente applicazione del principio di trasparenza che governa i rapporti tra amministrazione e cittadini. Il significato delle disposizioni sopra citate è chiaro: la l. 241/90 ha ridimensionato l’ambito operativo del segreto d’ufficio che ora non esprime più un canone generale dell’azione dei pubblici poteri, ma rappresenta un’eccezione al principio di trasparenza, rigorosamente circoscritta ai soli casi in cui viene in evidenza la necessità obiettiva di tutelare particolari e delicati settori dell’amministrazione.
In passato, la Pa invocava costantemente l’art. 15 del dpr 10/1/1957 n. 3, ai sensi del quale all’impiegato pubblico era precluso fornire a chi non ne avesse diritto “… informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura e notizie delle quali sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l’amministrazione o per i terzi”. Il vago timore di recare un pregiudizio all’amministrazione finiva, nella pratica, per favorire un’applicazione estensiva della disposizione.
Oggi, l’art. 28 della l. 241/90 ha invertito il rapporto regola-eccezione, confinando il segreto d’ufficio entro ambiti alquanto circoscritti e in particolare limitandolo ai soli casi espressamente indicati dalla normativa sull’accesso.
Il fondamento costituzionale del diritto di accesso è stato individuato sia nell’art. 97 – che costituisce diretta attuazione dei canoni di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – sia nell’art. 21, che riconosce il diritto all’informazione sul versante passivo e cioè il diritto ad essere informati quali potenziali destinatari.
L’istituto dell’accesso assolve ad una triplice funzione:
permette una più diffusa conoscenza dei processi decisionali, nell’ottica della partecipazione;
favorisce il coinvolgimento diretto degli amministrati e il loro controllo sul comportamento dei soggetti pubblici, che sono stimolati ad agire responsabilmente e correttamente osservando i canoni di legalità e compiendo attività qualitativamente migliori;
riduce il peso dei giudizi, perché la conoscenza dei documenti può persuadere della legittimità delle determinazioni assunte dalla Pa o comunque dell’inopportunità dell’impugnazione, tenuto conto che l’interessato potrà far valere in sede amministrativa eventuali rimostranze.
1.1 Evoluzione normativa dell’istituto
L’evoluzione dell’istituto può essere così succintamente delineata.
Prima dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990, vigeva la regola della segretezza dell’attività amministrativa, consacrata peraltro nell’art. 15 del dpr 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato); tale regola si concretizzava nel silenzio dei funzionari, nel rifiuto di fornire informazioni e nel diniego di visionare i documenti amministrativi. Erano dunque “eccezionali” le norme che garantivano l’accesso ai documenti amministrativi, per come previste in relazione ad alcuni settori dell’azione amministrativa (tra questi, si segnala quello dell’amministrazione degli enti locali, ex art. 25 della l. n. 816/1985, e quello dell’urbanistica, ex artt. 9 della l. n. 1150/1942 e 10, comma 9, della l. n. 765/1967).
L’introduzione della l. n. 241/1990 ha invece segnato il passaggio da un sistema incentrato sulla segretezza a un sistema basato sui principi di pubblicità e di trasparenza dell’attività amministrativa, a loro volta espressione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione codificati nella Carta costituzionale.
Il successivo dpr 27 giugno 1992, n. 352, ha individuato in sede regolamentare sia le modalità di esercizio del diritto di accesso, sia i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
L’evoluzione dell’istituto generale dell’accesso è stata completata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, che ha modificato la maggior parte delle disposizioni del capo V della l. n. 241/1990, apportandovi quelle correzioni e quelle integrazioni scaturite, da un lato, dalle elaborazioni dottrinarie e dalle pronunce giurisprudenziali e, dall’altro, dalle innovazioni del sistema costituzionale e normativo nel frattempo intervenute. Nello stesso anno, con legge 14 maggio 2005, n. 80, il legislatore ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi. In seguito alle incisive novità normative del 2005, il diritto di accesso ha subito una profonda rimodulazione: invero, “attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse”, il diritto di accesso viene adesso considerato quale “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990). Tali finalità devono necessariamente essere combinate con un ulteriore principio cardine della materia, quello secondo cui “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, comma 3, l. n. 241/1990).
Il percorso evolutivo dell’istituto è successivamente proseguito con l’introduzione, in sede regolamentare, della disciplina relativa alle modalità di esercizio del diritto di accesso; sicché con il dpr 12 aprile 2006, n. 184, è stato emanato il «“Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”, chiamato sostanzialmente a sostituire il precedente dpr n. 352/1992.
Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, poi, il legislatore ha provveduto a “trasportare” dall’art. 22, comma 2, della l. n. 241/1990, all’art. 29, comma 2 bis, della stessa legge, il principio per il quale l’obbligo per la pubblica amministrazione di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Nel 2010 il legislatore ha iscritto il rito dell’accesso ai documenti amministrativi nel novero dei riti speciali del giudizio amministrativo, collocando la relativa disciplina nell’opportuno contesto “processuale” inaugurato con il codice del processo amministrativo (dlgs n. 104/2010, art. 116); per effetto del novello c.p.a., comunque, il rito in materia di accesso ai documenti amministrativi è stato codificato senza particolari innovazioni rispetto alla previgente disciplina contenuta nell’art. 25 della l. n. 241/1990.
Il governo con il dlgs 27 ottobre 2009, n. 150 (cosiddetta “riforma Brunetta”) ha dato attuazione alla delega legislativa, scegliendo la trasparenza quale strumento per valutare e misurare la performance ed i risultati dell’amministrazione, realizzando “forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità” (art. 11, comma 1, del dlgs 150 del 2009). Con il decreto Brunetta mutano sia l’oggetto della trasparenza che gli strumenti necessari alla sua realizzazione. Oggetto della trasparenza non sono più il procedimento, il provvedimento ed i documenti amministrativi, ma le informazioni relative all’organizzazione, alla gestione e all’utilizzo delle risorse finanziarie, strumentali ed umane. Con riguardo alle modalità di accesso alle informazioni, non si fa ricorso al diritto d’accesso ma alla previsione di obblighi di pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni di tutte le informazioni concernenti l’attività, l’organizzazione e l’impiego delle risorse. Il mutamento della finalità della trasparenza che, da mezzo per garantire la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, diviene strumento per consentire l’esercizio di un controllo diffuso dell’operato dell’amministrazione pubblica, spiega il mutamento sia dell’oggetto della trasparenza che degli strumenti per la sua realizzazione: non più i documenti ma le informazioni, non più l’accesso ma la pubblicazione delle informazioni.
Ulteriore tappa dell’evoluzione normativa della trasparenza si compie con l’attuazione, ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 che reca “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, dell’art. 6 della convenzione dell’Organizzazione delle nazioni unite contro la corruzione e con la contestuale e coerente attuazione nel nostro Paese di politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione. Tali politiche fanno ricorso, in larga misura, a forme di pubblicità delle informazioni riguardanti l’attività amministrativa in generale ed alcuni settori specifici della stessa in particolare.
La legge 190 del 2012 ha previsto all’art. 1, commi 35 e 36, una delega legislativa per il riordino degli obblighi di pubblicità, di trasparenza, di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
In attuazione di tale delega è stato emanato dal governo il dlgs 14 marzo 2013, n. 33 che, proprio attraverso una serie ampia di obblighi di pubblicità, mira a realizzare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1 del dlgs 33 del 2013). L’art. 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza nelle pubbliche amministrazioni, ha introdotto nel nostr