Annalisa Bucchieri e Antonella Fabiani
Una normalità speciale
È Gianni Berengo Gardin a firmare il Calendario 2017. Il grande fotografo racconta i suoi inizi, il suo sguardo sul mondo e come ha vissuto questa esperienza insieme alla Polizia di Stato
Anche quest’anno è un maestro della fotografia a firmare il calendario 2017. Gianni Berengo Gardin, un gigante del reportage italiano, ha catturato in dodici scatti momenti dell’attività operativa della Polizia di Stato. Situazioni varie e ricche. Di umanità, di professionalità, di naturalezza. Cosicché l’allegria dei cappelli lanciati in alto dai ragazzi appena usciti dal corso per allievi agenti, il “superequipaggiamento” del Nocs pronti a intervenire, la corsa dei piccoli rugbisti durante l’allenamento nel centro Fiamme oro, il sorriso della poliziotta dell’Ufficio immigrazione a una donna con il suo bambino appena sbarcati nel nostro Paese, le moto della Stradale, i molteplici occhi sugli schermi di una Sala operativa, un’operatrice dentro il laboratorio di dattiloscopia della Scientifica o i poliziotti di quartiere vicino a un anziano (per citarne qualcuna), vanno a mettere insieme le anime della Polizia di Stato in un’unica visione, che restituisce tutta la ricchezza della normalità del loro lavoro calato nella realtà sociale del nostro Paese. Una normalità che costituisce la forza di chi garantisce sicurezza e protezione con continuità e quotidianità, come si rispecchia nello spirito con cui il prefetto Franco Gabrielli ha assunto l’incarico a direttore generale della pubblica sicurezza nel maggio di quest’anno.
Per raccontare attraverso il Calendario 2017 l’attività di poliziotti e poliziotte senza sensazionalismi ma con il valore del realismo non si poteva scegliere autore migliore di Berengo Gardin, che ha fatto della vocazione alla “vera fotografia” (appone questa scritta con un timbro a secco dietro ogni sua stampa), cioè alla fotografia come testimonianza e documentazione del proprio tempo e non come forma d’arte, la sua cifra stilistica.
Berengo Gardin ha vissuto questa esperienza con grande interesse e curiosità, visto che fotografare il mondo del lavoro è sempre stato un suo grande tema – famosi i suoi reportage sugli operai in fabbrica, nei cantieri edili, sugli agricoltori e le mondine – e “mancava” al suo album documentare proprio la Polizia di Stato. Per di più conoscerli e rappresentarli è servito a cancellare i pregiudizi sui poliziotti che si portava dietro dagli anni turbolenti delle contestazioni del ’68, quando a Venezia, mentre stava riprendendo la carica della polizia sui manifestanti in protesta pontro la Biennale, fu raggiunto lui stesso da un manganello.
«Ho scoperto molti aspetti che non immaginavo – osserva Gianni Berengo Gardin – in particolar modo sono stato colpito dalle conoscenze della Polizia Scientifica ma devo dire che sono rimasto impressionato dalla competenza mostrata in ogni settore».
La lunga esperienza di fotografo conduce a fare inevitabilmente dei paragoni che possono servire a sfatare luoghi comuni come, per esempio, quello che i poliziotti americani siano i più bravi di tutti: «In realtà non è proprio così, e questo mi è stato confermato da alcuni giornalisti di New York – osserva – che tale credenza si è formata anche grazie ai film di azione. Invece ho potuto constatare la straordinaria preparazione tecnico-scientifica della polizia italiana, così come sono stato sorpreso dalla presenza numerosa delle donne e dal loro grande impegno».
A stupire il fotografo anche la disponibilità e la comprensione da parte degli operatori ripresi: «Perché in genere la gente si stufa a essere fotografata, per mancanza di pazienza e invece ho avuto un’accoglienza ottima, straordinaria ».
Trovarsi di fronte un fotografo che usa ancora una reflex Leica analogica, stampa su carta e tiene in particolar modo alla “autenticità non ritoccata” delle sue foto, fa venire la curiosità di sapere come giudichi alcune tendenze diffuse nella nostra società come per esempio quella del selfie: «Odio questa moda. È un atteggiamento di forte vanità e narcisismo farsi le foto con chiunque e dovunque. Soprattutto se parliamo di autoscatti, che una volta visti sono subito eliminati. Il pericolo del digitale – prosegue – è che rende possibile scattare tantissime foto che vengono visualizzate solo sul pc, non vengono archiviate e non verranno mai stampate. Senza contare che tra un po’ di anni gli strumenti di lettura saranno cambiati e tutto quello che è digitale andrà perduto. Invece l’importanza della fotografia è di documentare. Io dico sempre che non sono un artista, ma uno che testimonia il proprio tempo».
Timori che sono una lezione della misura con cui Berengo Gardin vive la sua professione di fotografo sempre attento a riprendere le persone nel loro contesto, fondamentale per completare le informazioni. A questo scopo ha sempre prediletto il grandangolo che gli ha permesso di comprendere i soggetti nell’ambiente nel quale si muovono e interagiscono .
Donne, uomini, bambini ma anche artisti, operai, contadini, Rom, i malati nei manicomi, le città di Milano, Venezia, la natura ma anche il tempo sono ritratti dell’Italia in tutti i suoi aspetti. Allo stesso interesse appartiene il reportage su L’Aquila distrutta dal terremoto sette anni fa o il fenomeno del passaggio delle gigantesche navi a Venezia, una città cui è particolarmente legato: «Non dico che non debbano andare a Venezia – nota il fotografo – ma sarebbe necessario che queste navi facessero un altro giro senza passare nel bacino di San Marco dove mettono continuamente in pericolo la chiesa di San Giorgio, la Punta della Dogana e il Palazzo Ducale. Sono navi lunghe il doppio di piazza San Marco e alte il doppio di Palazzo Ducale tanto per dirne le proporzioni. A saperla usare la fotografia può essere uno strumento di denuncia importante – avverte – anche se bisogna fare attenzione perché in agguato c’è sempre il rischio di inflazionare certe tematiche».
Berengo Gardin ripercorre generosamente anche gli inizi della sua carriera, quando girava per le strade di Roma a scattare le prime foto con la macchinetta della madre, e poi l’esperienza come fotoamatore, con l’intento di fare foto artistiche che oggi a distanza di tanti anni giudica orribili. Fino a che alcuni libri e riviste americane, avuti tramite uno zio, illustrati dai maggiori fotografi del momento cambiarono la sua prospettiva nel giro di pochi giorni. «Quando ho ricevuto questi libri ho capito che la fotografia poteva diventare un lavoro serio e non un passatempo da dilettanti – osserva Berengo Gardin – e ho deciso di diventare professionista, e la macchina fotografica che fino a quel momento era un po’ un pennello come per i pittori, è diventata una penna per scrivere delle cose. In seguito ho sempre cercato di fare non “belle” foto ma “buone” foto perché penso che la perfezione tecnica di uno scatto non sia tutto, è necessario soprattutto che racconti qualcosa, che emozioni. Però per vivere, purtroppo, ho fatto un sacco di belle foto e poche buone foto».
Sono la maggior parte le foto scattate in bianco e nero durante la sua lunga carriera, una predilezione perché «il colore può distrarre mentre il bianco e nero aiuta a puntualizzare meglio quello che si vuole fotografare, e poi tutti i maestri che ho avuto come riferimento prediligevano il bianco e nero». E sono “buone” foto, quelle del Calendario non perché cercano l’appagamento estetico di chi le guarda ma mirano a documentare l’attività quotidiana della polizia.
Migliaia le foto in cui parla il mondo, più che lo sguardo del fotografo: «Per me le foto non si fanno ma si ricevono – precisa Berengo Gardin – io non sono un creativo, ma fotografo quello che vedo. Purtroppo nella nostra epoca la tecnologia permette a tutti di scattare con estrema facilità, la professione del reporter non esiste più. Recentemente anche Salgado ha confermato le mie impressioni, e cioè che le foto taroccate con il Photoshop sono immagini e non fotografie. Bisogna sapere che esiste una grande differenza tra una fotografia e un’immagine: questa può essere un disegno, un’illustrazione anche ritoccata con la tecnologia digitale.
Sono rimasti i professionisti nel campo della moda o della pubblicità – continua – ma la figura del fotoreporter è sparita nei giornali che spesso preferiscono servirsi di foto gratuite, scattate con il telefonino da dilettanti. Ma anche qui esiste una differenza. Il vero fotografo è una persona che ha una cultura professionale maturata negli anni, possiede cognizioni tecniche e conosce la storia della fotografia».
«All’inizio quando il capo della Polizia mi aveva proposto questo progetto avevo timore di accettare – commenta – perché io faccio banali fotografie di documentazione. E quindi spero che piacciano».
Le 12 foto «sono venute fuori da sole» e hanno trovato l’approvazione anche del prefetto Franco Gabrielli. Non resta che ammirarle.
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Conversazione con ROBERTO KOCH
(amministratore dell’agenzia Contrasto)
In una dimensione dominata dalle tecnologie digitali quali strategie adotta l’agenzia Contrasto, che ha tra i suoi fotografi Gianni Berengo Gardin, per continuare a proporre foto di qualità?
Il meccanismo che aveva funzionato per vari decenni e cioè quello di vendere le foto e ottenere compenso professionale dai giornali e dal mondo editoriale è entrato in crisi nell’ultimo decennio. Noi da circa sette-otto anni cerchiamo di occuparci di tutti gli aspetti della fotografia. Nel caso di Berengo Gardin cerchiamo di sistemare il suo archivio, di vendere le sue foto, di promuovere i suoi libri, di organizzare delle mostre come quella recente al Palazzo delle Esposizioni a Roma, che ha registrato 50mila presenze. Questo lavoro, che è più di agente che di agenzia, cerca di aiutare i fotografi a trovare delle soluzioni per il loro sostentamento in un momento in cui c’è una grande concorrenza da parte dei non professionisti. E quindi cerchiamo di organizzare workshop, corsi, mostre e anche la messa in vendita delle opere nel caso si tratti di fotografi riconosciuti nel mondo dell’arte.
Quali sono le prospettive future?
Il fatto è che ancora non c’è una chiara prospettiva di quale sarà il futuro dell’informazione nei prossimi cinque anni perché tante previsioni si sono rivelate sbagliate. In Italia abbiamo avuto delle esperienze positive da parte di alcuni quotidiani come La Repubblica che hanno approfondito in dossier fotografici alcuni temi importanti che sono stati molto apprezzati dai lettori.
Che tipo richieste vi arrivano dai giornali?
Noi abbiamo un rapporto quotidiano con i giornali e le richieste cercano di approfondire i temi che l’informazione digitale tratta in modo sintetico. L’approfondimento, quindi, diventa un’esigenza dei quotidiani e delle riviste in un momento in cui l’informazione digitale è molto veloce. In questo modo pubblicare una foto di autore, magari anche dalla riproduzione su stampa, può certamente aumentare la qualità del giornale. Porto come esempio una nostra prossima pubblicazione in cui James Ellroy ha commentato un anno di fotografie di crimini scattate nel 1953 prese dagli archivi del Museo del dipartimento di polizia di Los Angeles.
In alcuni Paesi esiste già un mercato tra i collezionisti di fotografie. Si sta formando anche qui in Italia?
Direi di sì. Certo non è ancora ai livelli della Francia e della Gran Bretagna ma è in costante crescita negli ultimi tre anni. Fino a qualche anno fa uno degli ostacoli era l’attendibilità di quello che si comprava, c’erano delle persone un po’ improvvisate che rischiavano di rendere il mercato meno affidabile. Ma questo è superato perché le gallerie che se ne occupano sono riconosciute per la loro affidabilità. È necessario un clima di serietà e fiducia affinché i compratori sappiano che fanno un buon investimento.
Come scegliete i fotografi che faranno parte dell’agenzia?
Insieme al mio staff cerchiamo di far entrare in agenzia fotografi cha abbiano già un’esperienza professionale pregressa. Ciò non toglie che seguiamo alcuni giovani agli esordi per capire se possiamo instaurare una collaborazione. Naturalmente riceviamo molti portfolio però al di là di questo giriamo festival, scuole e manifestazioni per scovare nuovi talenti. Ovviamente, avendo scelto di proporre fotografia d’autore, la nostra selezione è sempre molto scrupolosa e severa.
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UNICEF PER IL LIBANO
Continua il sodalizio tra Polizia di Stato e Unicef per il diciassettesimo anno. Fino a ora, sono stati raccolti ben 2.206.000 euro dalla vendita dei calendari istituzionali nelle questure che hanno finanziato le varie iniziative di solidarietà dell’Unicef: dai programmi contro lo sfruttamento sessuale dei bambini cambogiani, alla lotta per la malnutrizione infantile in Camerun, ai numerosi progetti per la protezione dell’infanzia nei Paesi del Terzo mondo. Il ricavato del Calendario 2017, con le foto esclusive di Gianni Berengo Gardin, verrà impiegato per i giovani libanesi e i rifugiati siriani e palestinesi. Il progetto Youth & Innovation - Libano intende, infatti, promuovere l’integrazione sociale ed economica dei giovani a rischio in età compresa fra i 12 e 24 anni, grazie a percorsi di formazione fra pari, secondo il principio di For Youth By Youth, una strategia ritenuta più efficace per il trapasso delle conoscenze e l’individuazione di soluzioni alle problematiche locali. Complessivamente in Libano sono 3 milioni i residenti, tra rifugiati siriani e palestinesi e gli stessi libanesi ai margini della società. Di questi ben 1,2 milioni sono bambini, di cui 500mila rischiano di essere vittime di sfruttamento, quali matrimoni precoci, ricorso al lavoro minorile, reclutamento di bambini soldato, abusi sessuali, maltrattamenti e abbandono scolastico.
Valentina Pistillo