Operazione trasparenza

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Intervista a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, per capire come si può combattere questo odioso fenomeno che affligge il Paese

ATT 12-16

Frequenti le notizie di arresti per corruzione e associazione a delinquere legata ad essa. Sono particolarmente efficienti le forze dell’ordine e la magistratura o sono particolarmente diffusi i sistemi clientelari e la corruzione?
Entrambe le cose. Purtroppo nel nostro Paese c’è un tasso elevato di corruzione però c’è anche una capacità di contrasto qualitativamente molto elevata. Abbiamo, grazie anche all’esperienza maturata dalle forze di polizia e dalla magistratura, affinato in maniera rilevante l’utilizzo di strumenti investigativi, in particolare quello delle intercettazioni. Questo riflette un mutamento di prospettiva perché nessuna indagine di Tangentopoli è stata svolta con l’ausilio delle intercettazioni, mentre oggi nel 90% dei casi se ne fa uso. Intercettare non vuol dire solo ascoltare le telefonate ma è una tecnica investigativa che richiede riscontri e una serie di capacità tra cui quella di individuare i luoghi nei quali collocare i sistemi di ascolto. Mi sento di dire che le nostre forze dell’ordine e la magistratura sono più avanti rispetto a quelle di molti altri Paesi.

Parlando di intercettazioni, ascoltare frasi come “il cemento sembra colla” e assistere poi a così tanti crolli in occasione dei terremoti fa pensare, anche se parliamo di vicende diverse...
L’intercettazione citata, che viene dall’indagine denominata “Amalgama”, credo sia paradigmatica e andrebbe studiata nelle scuole per far capire che non è vero che la corruzione danneggi solo alcune persone, come chi perde l’appalto e la pubblica amministrazione, ma tutti i cittadini. Utilizzare cemento depotenziato non è una novità, basti ricordare quello utilizzato sulla Salerno-Reggio Calabria per pagare cosche e politici della zona. Quello che rende più inquietante queste affermazioni però non sono tanto i crolli collegati al terremoto ma quelli collegati al “nulla”, con strade che si sfaldano e viadotti che crollano senza che si sia verificato alcun evento sismico. 

Come si opererà per garantire che i lavori di ricostruzione dopo le scosse che hanno colpito il Centro Italia vengano svolti in maniera corretta e trasparente?
La legge ci attribuisce gli stessi poteri di controllo utilizzati per l’Expo e il nostro compito è quello di provare a impedire il verificarsi di episodi di corruzione. Certo, noi non andiamo a svolgere controlli nei cantieri, questo non rientrerebbe nei nostri compiti e sarebbe difficilmente realizzabile. Sono convinto però che il maggior controllo sulle attività precedenti all’inizio dei lavori possa evitare che certi meccanismi si verifichino. Sono previsti inoltre una serie di controlli tesi ad evitare infiltrazioni mafiose che saranno effettuati da una sezione distaccata della prefettura, la Struttura di missione. Anche questo impianto dovrebbe avere effetti positivi sul momento esecutivo perché, una volta evitato che siano i delinquenti a svolgere i lavori, sarà più probabile che certi problemi non si verifichino.

Ha citato l’Expo, dove, a seguito delle indagini e degli arresti avvenuti, siete intervenuti in corso d’opera. In molti pensavano che, come spesso accade, tutti i lavori si sarebbero bloccati, invece l’evento si è regolarmente svolto.
Credo che questa sia stata una delle novità più importanti in assoluto che ha cambiato la logica dell’idea di “controllo”, che prima era inteso come un accertamento che doveva avvenire dopo e stabiliva se le cose erano state fatte bene o male. Il sistema Expo, che abbiamo sperimentato, e che stiamo riutilizzando in numerose occasioni, prova a intervenire durante. Lo potremmo definire come un controllo concomitante in cui vengono analizzate le carte e la nostra risposta non si limita a dire se vanno bene o male ma anche come dovrebbero essere. Poi ognuno fa le sue scelte. Questa è la vigilanza collaborativa, prevista dal nuovo codice degli appalti. Il sistema non ha l’ effetto ritardante ma anzi quello contrario, perché tranquillizza le stazioni appaltanti rispetto a una serie di rischi, in molti casi elimina i rischi di ricorsi e incentiva il meccanismo della concorrenza. Sapere che una gara è controllata fin dall’origine da un’autorità indipendente rappresenta anche uno stimolo per chi vuole partecipare onestamente perché sa che ha una speranza di vincere. A noi diverse persone hanno detto di aver cominciato a partecipare agli appalti di Expo da quando l’Anac è comparsa sulla scena. E qualcuno ha anche vinto la gara.

Nonostante questo però c’è stata anche un’altra coda di indagini su Expo. Come se lo spiega?
No, non è così. Premesso che io non metterei la mano sul fuoco in assoluto sulla regolarità delle opere che abbiamo controllato perché non esiste sistema che “sterilizzi” al 100%, preciso che nessuna opera controllata dall’Anac è stata oggetto di indagini giudiziarie che, invece, hanno riguardato le infiltrazioni mafiose e le opere relative a padiglioni stranieri che erano entrambe fuori dalla nostra competenza e fuori dalla nostra giurisdizione. Ribadisco che i problemi di infiltrazioni mafiose hanno riguardato opere relative a padiglioni stranieri che, come previsto convenzionalmente dall’Ufficio internazionale delle esposizioni, l’autorità che organizza l’Expo, non sono soggetti alla legislazione italiana ma al regime privatistico del Paese che rappresentano. Paradossalmente questa è la prova che il malaffare è stato tenuto fuori dalle opere da noi controllate e che alcuni soggetti, non essendo riusciti ad intrufolarsi in queste, hanno approfittato di questi altri varchi. 

Burocrazia è una parola che viene spesso utilizzata con accezione negativa. Può essere riabilitata considerando che comunque una serie di procedure e di controlli contribuiscono a garantire un’attività più corretta e trasparente?
Burocrazia è il modo di definire l’amministrazione, ma pensare che l’amministrazione possa essere nemica è di per se un errore. Ovviamente il termine è utilizzato con tale accezione rivolgendosi all’amministrazione che blocca, non a quella che fa il proprio dovere. Credo che il punto sia quello di trovare il giusto equilibrio tra la necessità di controllare e quella di non bloccare tutto. Il vero problema nel nostro Paese è che si fa fatica a capire “chi deve fare cosa” e questo crea dei meccanismi fatti più che di controlli di veri e propri rimbalzi di competenze. Il cittadino che vuole aprire un negozio, ad esempio, fa fatica a capire a chi rivolgersi, da chi andare. Questa è la burocrazia negativa, quella che rischia di alimentare i sistemi della corruzione perché c’è chi, stanco di rimpalli e marche da bollo arriva a dire: ”Quanto vuoi per farmi partire subito e senza problemi?”.

Quanto costa al nostro Paese il cancro della corruzione?
Credo che i numeri che circolano non siano basati su alcuna valutazione scientifica. La stessa stima di 60 miliardi l’anno è una vera e propria leggenda metropolitana che non ha nessun fondamento. Si è detto per un lungo periodo che tale cifra era stata fornita dalla Corte dei conti, ma quest’ultima ha smentito spiegando che nell’ambito di una relazione era stata fatta una semplice ipotesi: se la corruzione, come era stato detto da alcuni, avesse rappresentato il 3% del Pil allora sarebbe ammontata a 60 miliardi. Premesso questo, credo che il danno per il Paese sia alto, forse persino maggiore di questa cifra ma è molto difficile stimare i danni indiretti della corruzione che vanno dalla mancata concorrenza alla fuga dei cervelli fino ad arrivare alla mancanza di fiducia che genera mancanza di investimenti. A oggi non conosco alcuno strumento scientifico in grado di quantificarli economicamente con esattezza.

Nel suo libro Il male italiano ha scritto: ”Tutti si indignano per i grandi scandali, tutti a parole si scagliano contro i corrotti, ma quanti poi hanno remore nel chiedere una raccomandazione o nell’invocare una scorciatoia per realizzare in qualunque maniera i propri interessi?”. Come si cambia questo modo di pensare?
Questo è il problema dei problemi. La corruzione è infatti un problema giudiziario ma è anche un modo culturale di comportarsi, frutto della logica di chi crede che bisogna aggirare gli ostacoli per raggiungere il risultato, a prescindere dal modo. Credo che tutto questo si possa ridurre facendo capire alle persone che il danno da corruzione prescinde dal caso specifico. Ma davvero crediamo che chi sborsa denaro per corrompere lo faccia di tasca propria? Chi paga la tangente la fa pagare alla collettività perché incide sulla qualità del servizio. Se un imprenditore ha deciso di guadagnare una cifra la guadagna, trovando poi il modo di recuperare nel sistema degli appalti. Tra l’altro, uno dei meccanismi che rende la corruzione particolarmente pericolosa sta proprio in questo aspetto, che la corruzione abbassa il livello di controllo: se mi sono “comprato” il funzionario so che quel funzionario non mi verrà a controllare. Se si ottiene qualcosa corrompendo si danneggia l’intera collettività e i danni che ne derivano colpiscono sia chi fa parte del sistema corruttivo sia chi ne è estraneo. La consapevolezza che la corruzione crei un danno sociale è l’unica strada che porta al cambiamento del Paese. 

Quale il ruolo dei media in questo cambiamento culturale?
L’idea di indirizzare la loro attività, anche se nasce con una logica positiva, rischia di approdare in tutt’altra direzione. Dare consigli ai media quindi è sempre pericoloso perché in qualche modo mette in discussione uno dei capisaldi della democrazia, la libertà di stampa. Premesso questo credo però che i media possano svolgere una fondamentale funzione di controllo. In un sistema trasparente possono svolgere la funzione di “cane da guardia” individuando i comportamenti illeciti e stigmatizzandoli per il danno sociale che ne deriva. Forse però in alcuni casi dovrebbe essere fornita un’informazione più corretta e meno gridata. Quando si parla di scandali, ad esempio, andrebbe ricordato che c’è qualcuno che li scopre e in qualche modo andrebbe anche fornita la giusta dimensione della vicenda. Certo, non bisogna sottovalutare gli eventi ma c’è il rischio che a forza di “sparare” titoli sempre più sensazionalistici ogni nuova vicenda venga presentata come la fine del mondo. 

Gli accertamenti dell’Anac vengono svolti di iniziativa o vi vengono delegati dall’autorità giudiziaria?
Agiamo in assoluta autonomia. Il nostro compito è quello di far rispettare le regole in materia di prevenzione, se poi dalle nostre attività emergono elementi di rilevanza penale li trasmettiamo alla procura competente. È utile specificare che ci occupiamo di fatti che non costituiscono reato. Pianifichiamo i nostri accertamenti con una programmazione che realizziamo a inizio anno, anche attraverso attività ispettive, ma ci muoviamo anche su segnalazione dei cittadini.

Come possono effettuare segnalazioni i cittadini?
Scrivendoci sulla nostra casella di posta elettronica certificata (protocollo@pec.anticorruzione.it). Certo, la segnalazione non deve essere generica e che magari ci mette semplicemente a conoscenza che in un determinato appalto le cose non si sono svolte regolarmente ma deve essere circostanziata con l’indicazione delle irregolarità commesse o delle regole sulla trasparenza non applicate. 

E per i pubblici dipendenti? Come sta funzionando il sistema che permette loro di segnalare casi di corruzione verificatisi all’interno della pubblica amministrazione?
Non bene purtroppo, anche se c’è un aumento delle segnalazioni. Questa novità è stata da noi introdotta con grande fatica nel 2012 perché ha dovuto superare la posizione culturale di una parte del Paese che faceva confusione tra queste segnalazioni e quelle anonime, che con le prime non hanno nulla a che vedere. Il vero problema della norma è che non offre alcuna tutela a chi denuncia dal rischio di danni ed atti discriminatori, garanzie offerte solo in apparenza.

Lei è stato anche docente dei corsi anticorruzione rivolti al personale della Polizia di Stato. Quali altre forme di collaborazione sono allo studio? 
Sta per essere stipulato un protocollo d’intesa per creare uno spazio di operatività comune. La considerazione alla base è che se la polizia nell’ambito della propria attività di indagine penale individua fatti di nostra competenza, come ad esempio quando l’amministrazione non ha adottato il piano di prevenzione della corruzione o non ha rispettato regole di trasparenza, ce lo segnala. Certo, essendo diversi gli ambiti è chiaro che la polizia non si reca in un determinato sito esclusivamente per questo tipo di accertamenti però, trovandosi già lì per accertare reati, può anche individuare queste irregolarità. D’altro canto noi possiamo fornirle una serie di dati come quelli contenuti nella banca dati appalti o anche la nostra conoscenza dei “meccanismi” utilizzati.

L’Ocse esprimendosi sui controlli operati dall’Anac ne ha elogiato le modalità e l’efficienza indicandoli come un modello da esportare anche all’estero. Possiamo quindi dire che oltre all’Italia della corruzione esiste l’Italia dell’anticorruzione?
Secondo me sì e lo dico senza toni trionfalistici che in questo campo non sono giustificati. Il punto è che quell’indagine dell’Ocse, ovvero quel controllo sui nostri controlli, ha rappresentato, da questo punto di vista, un salto di qualità. Dobbiamo ricordare che l’Ocse è un organismo internazionale collegato all’Onu che non è mai stato particolarmente tenero nei confronti del Paese, non si tratta di un organismo”amico” ma, anzi, in tante occasioni ha fatto le “pulci” all’Italia come era giusto che fosse. In questo caso invece l’Ocse ha ritenuto che questo sistema di controlli fosse efficace tanto da raccomandarne l’utilizzo in occasione dell’organizzazione di grandi eventi.

Ci sono strutture omologhe alla vostra in altri Paesi? 
La convenzione europea in materia di anticorruzione prevede che ogni Paese europeo debba avere un referente in questa materia ma non prevede alcun particolare requisito tipologico. Paesi come la Francia e la Germania ad esempio hanno il proprio referente all’interno di un ministero o, per essere più precisi, questo è un organismo del ministero stesso. Ad oggi, così come è strutturata da noi, l’autorità anticorruzione è stata realizzata principalmente nei Paesi del mondo slavo, non in quelli dell’Europa occidentale.

A testimoniare l’importanza della figura istituzionale che ricopre, la cena alla Casa Bianca col presidente Obama insieme ad altre eccellenze italiane.
Mai mi sarei aspettato di ricevere un invito come questo e in realtà all’inizio ho pensato che si trattasse di uno scherzo. È stata una splendida esperienza e non parlo solo della cena ma anche dell’emozionante ricevimento che si è svolto la mattina alla Casa Bianca. Eravamo pochissimi italiani e moltissimi stranieri ma abbiamo ricevuto segnali di attenzione nei confronti del nostro Paese, cosa per nulla scontata all’estero. La serata è stata molto divertente e la compagnia davvero piacevole. ϖ

23/11/2016