Susanna Carraro

Pronti al primo soccorso

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dalmondo11-16

Usa

Studiando diversi filmati di conflitti a fuoco, Farzon A. Nahvi, medico di medicina d’urgenza del Langone Medical Center della New York University e del Belleuve Hospital Centre di New York, ha constatato che i poliziotti coinvolti non prestavano assistenza medica ai colleghi feriti anche a causa delle forti carenze nella preparazione del personale di pubblica sicurezza riguardo alle procedure salvavita di emergenza. Secondo il medico, se i poliziotti portano delle armi devono anche essere adeguatamente addestrati a gestire le conseguenze degli eventuali colpi che esplodono. Ma il pronto intervento non sembra essere uno degli insegnamenti fondamentali nelle accademie di polizia statunitensi, dove i corsi di rianimazione cardiopolmonare (Rcp) sono previsti, ma con un unico istruttore per centinaia di agenti e un esiguo numero o addirittura l’assenza di esercitazioni pratiche sui manichini. Inoltre, mentre i vari dipartimenti richiedono, con scadenza annuale, debite certificazioni per l’uso delle armi da fuoco, quelle per eseguire la Rcp hanno cadenza solo biennale e spesso sono solo “consigliate”. Troppo spesso le forze dell’ordine rifiutano l’idea che prestare il primo soccorso sia parte integrante del loro lavoro ma, osserva il dottor Nahvi, in presenza di feriti gravi è proprio il tempo quello che conta. Se per 4 minuti l’ossigeno non arriva al cervello, i danni cerebrali sono permanenti, ma se i minuti sono sei, le conseguenze sono letali e a New York il tempo medio d’intervento di un’ambulanza è di circa 7 minuti. Il soccorso immediato è, quindi, vitale per mantenere il flusso dell’ossigeno fino all’arrivo del pers

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31/10/2016