Chiara Distratis e Anacleto Flori
Ovunque i primi
Addestramento, efficienza, determinazione. Così gli uomini del I Reparto mobile di Roma sono diventati professionisti dell’ordine pubblico
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Qualcuno guarda fisso davanti a sé, qualcuno cerca un collega con lo sguardo, mentre un altro abbozza un sorriso per scacciare la tensione. Tutti sono determinati e (apparentemente) tranquilli, senza un gesto che lasci tradire stanchezza e fatica (eppure sono in strada da ore, sotto un cielo carico di nuvole che minaccia pioggia) forti di quella forza interiore che solo la consapevolezza dei propri mezzi e la fiducia nei tuoi compagni ti possono dare. Sono gli uomini del I Reparto mobile chiamati oggi a gestire l’ordine pubblico in occasione di una partita di calcio internazionale. Alcune migliaia di tifosi ospiti invaderanno la città, molti saranno tranquilli, altri non proprio. Una delle squadre del Reparto, 10 uomini in tutto, è schierata a Villa Borghese: è qui che si daranno appuntamento i tifosi. Il caposquadra dà le ultime disposizioni anche se ognuno di loro sa benissimo cosa fare. Nulla è lasciato al caso: ogni dettaglio, ogni movimento, ogni modulo di avanzamento e di ripiegamento è stato studiato e ripetuto centinaia di volte. Automatismi acquisiti nel corso dell’addestramento. «Reattivi, efficienti, preparati e altamente addestrati. In poche parole professionisti dell’ordine pubblico». Così il comandante Claudio Mastromattei, già dirigente del Reparto mobile di Padova, presenta i suoi uomini: in tutto 745 operatori (compresi una sessantina di atleti e tecnici delle Fiamme oro) distribuiti in 7 nuclei di cui 4 operativi. Un Reparto incastonato all’interno della Direzione centrale per le specialità, sebbene a disporne l’impiego sia l’Ufficio ordine pubblico. «Dopo i fatti del G8 di Genova e l’istituzione della Scuola di ordine pubblico a Nettuno – continua il comandante – era assolutamente necessario voltare pagina. Quando sono arrivato qui lo scorso novembre mi sono reso conto che c’era bisogno di valorizzare questi ragazzi stanchi di essere ricordati solo per episodi “opachi” del passato. La new age del I Reparto mobile è ripartita proprio dall’acquisizione di una grande professionalità: giorno dopo giorno la cura dell’addestramento diventa quasi ossessiva». Poi c’è il senso del dovere e la consapevolezza dei sacrifici da affrontare: difficilmente infatti ci si ferma alle 6 ore di lavoro, c’è sempre un impegno, un servizio che ruba il tempo a te e alla tua famiglia. È un lavoro duro, a volte oscuro, quasi senza sosta. «Non passa giorno - prosegue Mastromattei - che il personale del Reparto non sia impegnato: non solo all’interno della Capitale, ma anche in ausilio delle altre città del Lazio e di altre regioni». Si può dire che tutti prima o poi hanno bisogno di loro, e in quest’ottica la visita del capo della Polizia Franco Gabrielli delle scorse settimane qui al Reparto ha avuto il significato di un riconoscimento che ha riempito di soddisfazione tutti i ragazzi. Ma è ormai tempo di vedere da vicino come si addestrano per farsi trovare pronti in occasione di tali appuntamenti. Guidati dal responsabile della gestione del personale, il vice questore aggiunto Filippo Bartolozzi, entriamo allora nella grande caserma Stefano Gelsomini di Ponte Galeria.
Il primo impatto con la caserma suscita subito una grande emozione, con il monumento che ricorda Stefano Gelsomini, un ragazzo del Reparto che nel novembre 1989 veniva travolto da un’auto mentre cercava di soccorrere le vittime di un incidente sulla via Cristoforo Colombo. È proprio intorno a questa stele, interamente realizzata dai colleghi, che si intrecciano alcune delle storie che fanno capire quanta umanità e solidarietà scorrano all’interno di questo Reparto. «Sono arrivato qui da un mese – ci racconta Francesco Gelsomini, il fratello di Stefano – perché volevo seguire le sue orme. Non ho molti ricordi, quando è morto ero troppo piccolo: lo sto conoscendo ora, piano piano attraverso i racconti dei suoi colleghi». «La mattina dell’incidente – interviene Nico Gabriele, uno dei “senatori” del Reparto – mentre uscivo da Forte Ostiense per andare a prendere la metro, ho visto passare Stefano nel blindato e ho cercato di attirare la sua attenzione per chiedergli un passaggio. Purtroppo non mi ha visto... 100 metri più avanti c’è stato l’incidente. Se fossi stato con lui, magari...».
La giornata è appena iniziata e in palestra tra corsa, “ripetute“, addominali e flessioni già si suda da ore: «Ogni settimana infatti un’aliquota di personale – ci spiega l’istruttore Michele Vannacci – è impegnata nell’addestramento che si conclude il venerdì al poligono. Per chi fa il nostro lavoro, una buona preparazione fisica è fondamentale, anche perché solo le protezioni che indossiamo pesano quasi 13 kg. L’obiettivo è quello di riuscire a mantenere la necessaria lucidità anche sotto sforzo».
Protagonista assoluto dell’addestramento in palestra è il Red man, introdotto negli Usa più di vent’anni fa: si tratta di una tuta rossa di gomma compressa molto resistente, ideale per ricreare le condizioni e le simulazioni del corpo a corpo. «Qui sul ring insegnamo a lavorare in spazi stretti – continua Michele Vannacci – tutti gli esercizi sono mirati ad acquisire automatismo nei movimenti sia individuali che di squadra. Un’altra cosa su cui ci soffermiamo con attenzione è il modo con cui vanno portati i colpi. Lo “sfolla“ (sfollagente, ndr) deve sempre avere una traiettoria diagonale ed essere diretto verso gli arti. I colpi non devono mai arrivare alla testa: chi sbaglia paga, piegamenti e giri di corsa sono un deterrente davvero efficace».
Ma il Reparto mobile non è solo ordine pubblico. Lavorando con le sue squadre h24, è sempre tra i primi ad arrivare in caso di calamità e criticità.Terremoti, alluvioni, soccorsi: non c’è situazione in cui gli uomini del Reparto non si distinguano per generosità e impegno. «Sono entrato in polizia agli inizi degli Anni ‘80 e mi ricordo come fosse ora il mio primo servizio in occasione del terremoto dell’Irpinia – racconta Carlo Iaquinti, figura carismatica e punto di riferimento per tutti i colleghi, soprattutto per le nuove reclute – e quella purtroppo è stata solo la prima di una lunga serie di esperienze che mi hanno messo faccia a faccia con il dolore: dall’arrivo a Bari della nave carica di albanesi, all’alluvione di Genova, e poi ancora il terremoto in Emilia, a L’Aquila e ad Amatrice passando per il dramma degli sbarchi dei migranti a Lampedusa». «Prima che l’Unione europea realizzasse il progetto Frontex – gli fa eco Gianluca “Drago” Salvatori, autore dei murales che adornano la caserma e che ha scelto di rimanere al Reparto al termine della carriera agonistica nelle fila delle Fiamme oro rugby – quando arrivavano i barconi molti di noi si tuffavano in mare per portare in salvo i migranti, cercando di non farsi trascinare sott’acqua dalla tuta e dagli anfibi che diventavano più pesanti del piombo». Anche Nico si ricorda perfettamente ogni intervento: «Quest’estate, quando c’è stato il terremoto del Centro Italia la maggior parte di noi era in ferie, ma molti colleghi hanno chiamato in caserma per mettersi a disposizione, nonostante lavorare in queste condizioni sia particolarmente faticoso: di giorno si dà una mano a scavare tra le macerie mentre con il buio si cerca di tenere lontano gli “sciacalli” da quel poco che rimane nelle case diroccate». Proprio per essere pronti a intervenire nelle situazioni più difficili con mezzi di fortuna, alcuni operatori (istruttori sub ed esperti in salvamento) hanno messo a disposizione degli altri colleghi le proprie professionalità (nelle foto l’intervento del I Reparto ad Amatrice, la simulazione di un salvataggio in acqua usando una transenna e l’esercitazione alla salita e alla discesa al verricello).
L’esercitazione ora si sposta nel piazzale dove vengono ricreate nei minimi dettagli le condizioni di lavoro che si possono incontrare durante un servizio di ordine pubblico. «Compatti, rimanete compatti» continua a ripetere agli uomini delle squadre Daniele Palumbo, responsabile dell’ufficio addestramento e studi, mentre provano salite e discese dai blindati, schieramenti e simulazioni di cariche fino allo sfinimento.
«8 Gb di memoria, fino a 2 ore di registrazione e una buona capacità di ripresa anche al buio grazie agli infrarossi, è la nostra bodycam – spiega Stefano Manganelli, un altro degli istruttori – È un utile strumento sia per nostra tutela che ai fini delle indagini. Va indossata ad altezza del torace e con un piccolo telecomando è possibile registrare video o scattare foto. Al termine del servizio la scheda viene consegnata alla Scientifica per il controllo delle immagini».
Adesso per una delle squadre impegnate nell’esercitazione la vita si fa dura: avvolta da una nuvola di fumogeni viene coperta da insulti e colpita da oggetti contundenti lanciati da finti manifestanti (uomini della Scientifica che prendono parte alle esercitazioni per imparare a muoversi sul campo e coordinarsi con gli uomini del Reparto). Un’altra invece si esercita a muoversi ai lati dell’idrante, un bestione da 8mila litri, con vari getti laterali e frontali in grado di spostare, a una pressione di 8 bar (neanche il massimo,) un cassonetto pieno di rifiuti.
Una novità fortemente voluta dal comandante Mastromattei, e già sperimentata con successo a Padova, è il corso di training autogeno per gli operatori del Reparto tenuto dagli psicologi della Direzione centrale di sanità. Fondamentale per gestire lo stress, ma anche per smaltire il coinvolgimento emotivo di alcuni servizi.
A questo punto gli uomini sono pronti per partire. Ad una ad una le squadre passano in armeria a ritirare il materiale assegnato: sfollagenti, due scudi tondi e tre rettangolari. Al caposquadra e a un altro operatore viene inoltre consegnata una bodycam.
Prima di salire sugli automezzi, c’è tempo per un ultimo briefing. Stretti intorno al loro comandante, gli uomini del Reparto ascoltano in silenzio le ultime indicazioni e le rituali raccomandazioni. Però non servono tanti giri di parole, sanno già benissimo cosa fare. Buon lavoro, ragazzi.
Dopo tanta attesa, di colpo il servizio prende vita. La squadra incaricata di presiedere piazza delle Canestre, all’interno di Villa Borghese, luogo di raduno dei tifosi ospiti, inizia a intravedere le prime sciarpe colorate, le prime bandiere. Ai cori stonati dei tifosi “abbirrazzati” fa riscontro il silenzio degli uomini in divisa. Non c’è bisogno di parole. Per loro parla il linguaggio del corpo. Piantati sulle gambe a braccia incrociate lanciano un segnale inequivocabile: noi siamo qui, perciò niente sciocchezze e tutto filerà liscio…Quando dal viale alberato l’afflusso di tifosi è ormai terminato, inizia il primo filtraggio e il controllo biglietti. Poi a piccoli gruppi vengono fatti salire sui pullman con cui verrano portati allo stadio.
Ormai si è fatta sera e, mentre altre squadre sono già schierate fuori dai cancelli dello stadio, i primi autobus scortati dagli uomini del Reparto iniziano ad arrivare.
Quando ormai la partita è iniziata e fuori si attende il momento dell’uscita dei tifosi, c’è tempo per chiacchierare un po’. Nico allora ci racconta che nella sua stessa squadra lavora anche il fratello gemello Ivo «Però lui è arrivato al Reparto due anni dopo di me – ci tiene a precisare divertito – perché a scuola ha voluto approfondire bene alcune materie... Un vincolo di sangue che non ha mai rappresentato un problema, perchè, durante il lavoro finisce per prevalere l’aspetto professionale. Al punto tale che durante un servizio nei giorni caldi dell’emergenza rifiuti a Napoli, a un certo punto mi sono sentito gridare carica collé: mi sono girato e ho visto che era mio fratello. Non ci volevo credere».
Per fortuna dopo ore di tensione e di stress, con l’arrivo del furgone che distribuisce sacchetti e pasti (quasi) caldi c’è anche il tempo per un meritatissimo break.