a cura del Servizio centrale antiterrorismo
La normativa antiterrorismo
Nuove figure di reato e armonizzazione della legislazione
1. Introduzione
Gli ultimi attentati di matrice jihadista realizzati in Europa hanno riproposto l’attenzione sull’evoluzione della normativa in materia di antiterrorismo nel nostro Paese, che ha trovato la sua ultima espressione nel decreto legge n. 7/2015.
Si tratta della terza “riforma”, che segue quelle varate nel 2001 e nel 2005, sempre in conseguenza di altri gravi episodi terroristici, a dimostrazione di come la legislazione di settore sia storicamente condizionata da fattori emergenziali e sia in qualche modo destinata a “inseguire” l’evento.
D’altra parte, le inevitabili lacune delle riforme varate negli anni precedenti – già evidenziate da addetti ai lavori e dallo stesso mondo politico e giurisprudenziale – erano state amplificate dalla consapevolezza dei mutamenti intercorsi sullo scacchiere geopolitico internazionale e delle nuove frontiere eversive seguite dall’integralismo islamico.
Accanto alla tradizionale minaccia di Al Qaeda, infatti, è emersa negli ultimi anni quella proveniente dallo Stato islamico, di cui nel giugno 2014 si è autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
La prospettiva di conquiste territoriali e della creazione di una “patria” per la componente sunnita più radicale ha certamente rappresentato una potente attrattiva per molti musulmani di seconda e terza generazione residenti in Europa, alcuni apparentemente integrati, altri ai margini della vita sociale occidentale, che hanno trovato e trovano nell’arruolamento e nei combattimenti in Siria o in Iraq la strada per l’espressione pratica del proprio integralismo.
Peraltro, le esperienze maturate sul campo militare costituiscono un ulteriore elemento di minaccia di cui gli stati europei devono tener conto, in quanto la radicalità di una scelta militare del genere certo non si esaurisce nelle battaglie affrontate all’estero, ma produce riverberi anche nel momento in cui i reduci tornano nei paesi occidentali di residenza.
L’incognita principale, infatti, soprattutto per un Paese come il nostro, al momento, ancora per fortuna non interessato in via diretta da attentati di matrice jihadista, rimane l’eventuale attivazione di terroristi “homegrown”, che, individualmente o in micro cellule, possano raccogliere gli inviti lanciati da gruppi qaidisti o dallo Stato islamico, attivandosi per azioni sul territorio nazionale o all’estero.
L’Europa e l’Italia si sono pertanto trovate nella difficile condizione di poter rappresentare per le formazioni terroristiche di matrice jihadista sia un possibile bersaglio contro cui rivolgere le proprie progettualità, che un eventuale trampolino di lancio per operazioni contro obiettivi magari collocati in diversi contesti geografici, ovvero per raggiungere le zone del conflitto.
Accanto a queste minacce si è poi proposto il fenomeno dei cd. “terroristi solitari”, che ha interessato non solo l’Italia ma anche altri Paesi europei, da fronteggiare con la massima attenzione alla luce dell’insidiosità del pericolo rappresentato da integralisti magari non perfettamente addestrati sotto il profilo militare, ma mimetizzati nel tessuto sociale e quindi apparentemente integrati e più difficilmente individuabili.
La necessità di dare una risposta adeguata a problematiche come i terroristi “homegrown”, i “foreign fighters” o il “lone terrorist” e la consueta esigenza di modulare la risposta preventiva e repressiva dello Stato in relazione alle concrete minacce transnazionali provenienti dai variegati ambiti riconducibili alla jihad, hanno pertanto spinto il legislatore ad una nuova riforma in materia di antiterrorismo.
Una riforma, peraltro, sicuramente necessaria anche alla luce di indicazioni provenienti da consessi sovranazionali, come il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che in più circostanze aveva richiamato gli stati membri ad uniformare le proprie normative in tema di prevenzione e repressione del fenomeno terroristico .
Su queste basi, pertanto, è stato elaborato il decreto legge n. 7 del 18 febbraio 2015, poi convertito con la legge del 17 aprile 2015 n. 43, con il quale sono state previste nuove fattispecie criminose e sono state sanate la imperfezioni della normativa precedente (si pensi, ad esempio, alle asimmetrie del decreto Pisanu del 2005, che aveva previsto sanzioni per l’addestratore e l’addestrato (art. 270 quinquies), per l’arruolatore (art. 270 quater,) ma non per l’arruolato in formazioni terroristiche).
Si è trattato di uno sforzo rilevante, operato in sinergia tra il mondo politico e giudiziario e che ha consentito in senso generale di rimodulare la normativa di settore alla luce dei dati empirici che derivano dal dinamismo del fenomeno terroristico, con un netto orientamento verso il lato della prevenzione.
Il senso globale della riforma si può percepire non solo dalla nuov