Cristina Di Lucente, Chiara Distratis e Valentina Pistillo

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Da quel 24 agosto, quando il terremoto ha colpito il Centro Italia, la macchina dei soccorsi è ancora all’opera. L’impegno della Polizia di Stato

nostrolavoro 10-16

Una scena apocalittica quella che si sono trovati davanti agli occhi i soccorritori intervenuti subito dopo le scosse che hanno devastato Accumoli e i territori circostanti, ma soprattutto Amatrice, con il centro storico completamente cancellato e il 90% delle case crollate in mezzo alle strade. Era ancora buio quando gli uomini della Stradale di Rieti,  giunti sul posto,  hanno iniziato ad avanzare tra le rovine: non si capiva più niente, la polvere avvolgeva ogni cosa e la via principale, dove una volta si trovavano i bar e i ristoranti più affollati del paese, era completamente distrutta. Solo il campanile era rimasto miracolosamente in piedi. Immagini simili si sono presentate, nella Valle del Tronto, allo sguardo degli operatori della questura di Ascoli Piceno e del Reparto mobile di Senigallia. Poi via via, sotto il costante coordinamento della macchina della Protezione civile, sono giunte tutte le altre forze dell’ordine: vigili del fuoco, forestali e carabinieri, ma nche i poliziotti delle altre specialità. Dal Reparto mobile ai Cinofili, importanti nella prima fase dedicata alla ricerca delle persone, dal Reparto prevenzione crimine che ha svolto il servizio antisciacallaggio al Dvi, il settore che si occupa dell’identificazione delle vittime. Non è mancato poi il prezioso lavoro del team di medici e psicologi della Direzione centrale di sanità che ha fornito la propria assistenza in un momento di grande stress e che ancora oggi è impegnato nel delicato compito di sostegno psicologico agli operatori che hanno lavorato sugli scenari dell’emergenza. L’efficacia del lavoro, svolto nella totale precarietà per via degli sciami sismici che continuano a far tremare la terra, è stata resa possibile soprattutto grazie all’aiuto determinante della gente del posto, che non si è mai persa d’animo e con coraggio si è rimboccata le maniche dando indicazioni preziose sui luoghi dove scavare. Ecco il racconto di quelle drammatiche ore. 

Polizia stradale: soccorsi e viabilità 
«Davanti a una catastrofe come il terremoto ti senti impotente. Vorresti fare sempre di più», spiega commosso Quirino Faraglia, poliziotto della giudiziaria nella Sezione della Polizia stradale di Rieti, che appena ha sentito la scossa forte, non ci ha pensato due volte: fuori servizio, con i suoi due colleghi della squadra si è diretto di corsa ad Amatrice. «Arrivati a piedi all’inizio del paese – racconta il centauro con voce rotta dall’emozione – dato che era tutto bloccato per le frane, ci siamo messi subito a scavare, mentre albeggiava, spostando con le mani pezzi di muro, finestre divelte, tetti crollati. Ricordo il sibilo e l’odore acre del gas di una tubatura rotta. Siamo riusciti subito a tirare fuori due sorelle. La prima l’abbiamo estratta avvolta in un lenzuolo; sentivamo i lamenti dell’altra che era rimasta sotto. Era molto giovane, poteva avere l’età di mia figlia ed era impigliata con la chioma sotto a una trave. Mi sono procurato delle forbici e le ho tagliato una ciocca di capelli per metterla in salvo». «Quando sei di fronte a scenari di desolazione e morte, ai quali non ci si abitua mai nonostante il lavoro che faccio, accadono anche dei fatti che hanno dell’incredibile – sostiene il poliziotto – ho scavato anche sotto le macerie della casa dove viveva Marco, il figlio del questore di Frosinone Filippo Santarelli. Il giovane era in vacanza con due amici tratti in salvo subito, mentre lui era introvabile. Il padre, precipitatosi da Frosinone perché non riusciva a parlare al cellulare col figlio, ha visto all’improvviso il gatto di Marco fermo sotto a un cumulo; subito ce l’ha indicato, spiegandoci che i due erano inseparabili. Tutti noi ci siamo dati da fare per scavare in quel posto. A un certo punto abbiamo estratto il corpo esanime di Marco. Era vicino al suo gatto che, nonostante le scosse, non era scappato ma era rimasto lì a vegliarlo. Tra le situazioni più drammatiche che ho dovuto affrontare c’era anche quella del mio amico panettiere. Era sceso verso le 3 del mattino a lavorare nel forno ed è riuscito a salvarsi ma l’ho dovuto soccorrere in forte stato di shock alla notizia della morte dei figli e della moglie che dormivano nella loro abitazione». Verso le 4.00 del mattino i poliziotti che facevano il turno di notte sono andati in ufficio per dare un passaggio anche al dirigente della Sezione stradale di Rieti, Luca Iobbi, che è arrivato ad Amatrice per i soccorsi, subito dopo la prima scossa. Insieme ai suoi ragazzi si è prodigato anche per trasportare intere casse d’acqua ai feriti. «Verso le 14 di quel maledetto giorno – spiega Quirino – ci ha chiamato per regolare il flusso dei veicoli e agevolare il passaggio delle ruspe e dei mezzi di soccorso». Il lavoro della Stradale consiste anche nel fare la scorta ai convogli dei soccorsi e a quelli adibiti al trasporto delle salme. «Ci siamo trovati ad affrontare anche molte criticità per fare viabilità: lo sciame sismico e le vie di collegamento interrotte – continuano Quirino e i suoi colleghi – Della strada, crollata quasi totalmente, era rimasta solo mezza carreggiata. Per arrivare all’altro lato del corso principale del paese, non potendolo attraversare, occorreva fare il giro dalla montagna. Da questa parte la strada da percorrere non è tanta: saranno in tutto 12 km, ma occorreva passare attraverso le frazioni (Retrosi, Sommati), in cui ci sono vicoli stretti e angusti dove transita a malapena un’automobile. Anche qui calcinacci e frane avevano reso pericoloso l’accesso. Uno scenario di guerra – afferma il poliziotto – dovunque strade spaccate, la città di Amatrice collassata su se stessa. Una delle vie principali presentava una crepa sull’asfalto di 3 o 4 cm, perpendicolare all’asse stradale, da sinistra a destra. E molte strade erano interrotte per le profonde fenditure in mezzo alla carreggiata, per diversi chilometri di lunghezza». Dopo la ricostruzione del Ponte Tre Occhi, la viabilità è migliorata grazie anche all’incessante attività delle pattuglie che sono ancora presenti sul territorio e regolano il traffico di snodi fondamentali, come i bivi per Sommati, Retrosi e Casale Nibbi. Inoltre, sin dai primi giorni, la Sezione di Rieti, dopo aver effettuato la ricognizione delle principali arterie di collegamento, trasmette costantemente i dati a tutte le  Sale operative, permettendo l’aggiornamento della percorribilità della rete viaria. 

Reparto mobile: lavoro di squadra 
Una città rasa al suolo, questo lo scenario drammatico con il quale si sono confrontati i primi soccorritori giunti ad Amatrice, che ha lasciato ancora più sgomenti quelli che hanno potuto fare il paragone con L’Aquila distrutta dal sisma del 2009, dove alcuni palazzi del centro rimasti in piedi preservavano almeno una parvenza di vita. Il casco indossato è stato l’unico elemento che ha permesso di identificare sulle rovine di Amatrice e dei paesi limitrofi gli uomini del Reparto mobile, solitamente in servizio con scudo, sfollagente e lacrimogeni. Stavolta invece l’armamentario in dotazione è rappresentato da picconi, teli e guanti per scavare, perché l’ordine pubblico non è l’unica prerogativa di questo delicato settore della Polizia di Stato, spesso al centro dell’attenzione mediatica. «Anche il soccorso pubblico fa parte delle nostre competenze – spiega Claudio Mastromattei, dirigente del 1° Reparto di Roma – siamo intervenuti con 60 persone che si alternavano nei primi giorni dell’emergenza, quelli in cui il lavoro è stato particolarmente urgente». Non a caso i poliziotti del Reparto sono stati tra i primi soccorritori ad arrivare, armati di ruspa hanno operato senza sosta dalla mattina alla sera in quel tragico 24 agosto e nei giorni immediatamente successivi, rimuovendo le macerie hanno liberato le strade e agevolato la ricerca dei dispersi. «In situazioni come questa, dove i primi soccorsi sono fondamentali – prosegue il comandante del Reparto – è difficile stabilire un coordinamento effettivo, soprattutto all’inizio, e il fattore che accomuna tutti è la voglia di sentirsi utili. In quei momenti cruciali, l’attività si è svolta in un clima di grande collaborazione con le altre forze dell’ordine, svolgendo sempre un lavoro di squadra per evitare di lasciare zone scoperte dai soccorsi». Determinante è stata la collaborazione dei superstiti che hanno aiutato in maniera decisiva i soccorritori indicando i luoghi tra le macerie dove cercare le vittime. Un fattore di fondamentale importanza, come conferma Marco Chiorri, sovrintendente del 1° Reparto chiamato a coordinare le pattuglie in servizio nel reatino per l’emergenza: «Avremmo potuto scavare ovunque, dal momento che tutto era crollato; gli abitanti del luogo ci hanno saputo indicare non solo le case dove poter scavare, ma sono stati anche in grado di individuare gli ambienti delle abitazioni dove cercare le persone». Considerata la circostanza straordinaria nella quale i poliziotti hanno operato e il forte impatto emotivo derivato non solo dal trovarsi di fronte a una vera e propria catastrofe, ma anche dalla paura di sciami sismici che avrebbero potuto provocare ulteriori crolli durante il lavoro effettivo, questa esperienza ha richiesto un autocontrollo altrettanto straordinario. «L’emotività era all’ennesima potenza, anche perché le pattuglie erano divise per poter operare in luoghi diversi, una preoccupazione ulteriore quella per i colleghi che aumentava il senso di totale precarietà della situazione» chiarisce il poliziotto. Come hanno testimoniato i soccorritori, non esiste preparazione mentale adeguata per lavorare in simili scenari. Esaurito il momento del soccorso, il reparto mobile sta proseguendo l’attività di ordine pubblico nei luoghi colpiti dal sisma.

Reparto cinofili: fiutando tra le macerie
Hanno lavorato ininterrottamente, per tre giorni consecutivi, con la stessa dedizione e professionalità dei loro conduttori, respirando la polvere e muovendosi tra le macerie, da veri soccorritori. E hanno compiuto un lavoro straordinario, che ha permesso di salvare vite umane. I cani della Polizia di Stato specializzati nella ricerca e il soccorso alle persone scomparse hanno avuto un ruolo fondamentale nei giorni immediatamente successivi al sisma, cominciando a scavare dalla mattina e continuando fino a tarda sera, operando in una condizione di disagio ma rivelandosi eccezionali, merito del loro olfatto, 400 volte più sviluppato rispetto a quello umano, e dell’addestramento ricevuto. «Il nostro training si basa sul ritrovamento delle persone, nascondendo un figurante che il cane andrà a ricercare – spiega Davide Agrestini, conduttore del pastore tedesco Sarotti, in servizio alla Squadra cinofili di Ladispoli – inoltre si cerca di riprodurre un “campo macerie” per abituarlo a eventuali situazioni di emergenza». Sarotti, nel pieno della maturità lavorativa con i suoi cinque anni di età, ha lavorato ad Amatrice con un campanellino grazie al quale poteva essere identificato nel caos delle macerie. Il via per cominciare a operare gli viene dato con la parola “cerca” e nel momento in cui  vuole segnalare una presenza, grazie al riconoscimento di particelle odorose, comincia ad abbaiare: così facendo è stato possibile salvare Giulia, una bambina di dieci anni che abitava nel centro storico del paese. Anche nel caso dei cinofili, il lavoro è stato effettuato spesso su chiamata dei vigili del fuoco e grazie alle segnalazioni dei superstiti che hanno consentito il salvataggio di molte persone che conoscevano il territorio. Il lavoro dei conduttori è stato effettuato con grande cura verso i loro colleghi a quattro zampe: «Ogni mezz’ora si facevano soste di 15 minuti circa per bagnare il muso e applicare uno speciale grasso sotto le zampe per evitare che si lacerassero», ha spiegato Agrestini.  Anche a Pescara del Tronto, il paese completamente distrutto dal sisma che si ergeva sul versante di una collina, il lavoro di Leo, un labrador della Polizia di Stato, è stato prezioso e ha permesso di individuare sotto le macerie la piccola Giorgia di quattro anni, viva per miracolo. «Per tutte le persone che hanno contribuito al salvataggio di Giorgia è stato come veder nascere una figlia», racconta Liborio De Simone, lasciando trapelare l’emozione, coordinatore dei cinofili della questura di Pescara. Alla base, gli addestratori come Matteo Palladinetti, il conduttore di Leo, devono credere nel proprio lavoro e possedere grande entusiasmo e perseveranza, elementi decisivi nel caso del ritrovamento di Giorgia. Nel momento in cui è stato rinvenuto il corpo senza vita della sorellina le speranze di trovare viva la bambina, sommersa dalle macerie, erano quasi svanite. Ma l’eco della flebile voce di Giorgia quando tutto sembrava concluso ha moltiplicato gli sforzi dei soccorritori facendo tornare la vita sui cumuli di calcinacci.

Prevenzione crimine e il servizio antisciacallaggio
«Il nostro primo pensiero è stato quello di prestare soccorso ma subito dopo ci siamo impegnati a garantire la sorveglianza di quel poco che era rimasto nelle abitazioni diroccate». A parlare è Laura Pratesi, alla guida del Reparto prevenzione crimine Abruzzo con sede a Pescara, che quella mattina del 24 agosto si è precipitata, insieme al sovrintendente Lorenzo Benni e all’assistente capo Nicola Coccia, nell’Ascolano, mentre nei giorni successivi tutti e 30 gli uomini della Prevenzione Abruzzo sono intervenuti in queste aree. «Una volta che ci si rende conto di essere sopravvissuto è di primaria importanza conservare i propri ricordi, i propri affetti – spiega la dirigente – La nostra funzione, oltre che di tutela, è quella di rassicurare, con la nostra presenza, le persone che non hanno più nulla. Da quel giorno non le abbiamo più abbandonate. Siamo ancora in questa area». «Noi del controllo del territorio – continua Pratesi – ci siamo organizzati per il servizio di antisciacallaggio, con filtri statici, come i posti di blocco nelle piccole aree, tipo quella di Pescara del Tronto che aveva un’ unica via d’accesso e i pattugliamenti dinamici di controllo nelle zone più estese intorno alla Salaria. L’attività è interforze ma la presenza della polizia “h 24” è fondamentale, con il cambio di consegne sul posto, per garantire la sicurezza giorno e notte. Controlliamo chiunque acceda a piedi o in automobile nei siti interessati dai crolli e dai soccorsi, la cosiddetta zona rossa e sorvegliamo i luoghi preda degli sciacalli. Anche i volontari devono motivarci le ragioni della loro presenza sul posto, prima di autorizzare l’accesso in città». «Per noi uomini del controllo del territorio – affermano i poliziotti – il lavoro in questi posti consiste nell’aver fiuto a percepire l’intruso o chi non ha titolo a stare in quei posti». «Il giorno stesso della scossa mortale – continua Pratesi – c’erano due uomini di nazionalità straniera, non residenti in quei luoghi, che si aggiravano in macchina: controllati automobile e occupanti la segnalazione ha avuto, per fortuna, esiti negativi». Oltre alla formazione degli operatori, anche l’equipaggiamento di automezzi idonei e tecnologie sofisticate supportano l’attività capillare di controllo del territorio: «I mezzi 4x4 ci hanno permesso come unità speciali  – sostiene la dirigente – di raggiungere  la particolare posizione geografica, piuttosto impervia e montuosa. Inoltre il sistema Mercurio consente immediatamente di fornire immagini alle sale operative, permettendo una visione in tempo reale dello scenario in cui bisogna attuare le strategie di sicurezza». 

Ha gli occhi rossi a causa delle notti insonni l’ispettore capo Costantino Sabetta, in servizio alla Mobile di Rieti. I poliziotti della questura, insieme ai vigili del fuoco, sono stati tra i primi ad arrivare ad Amatrice, la notte del terremoto. «La cosa più importante da fare era quella di aiutare la popolazione – racconta l’ispettore – ovunque era pianto, disperazione e una polvere bianca che aveva trasformato lo scenario in un paesaggio spettrale. Subito dopo ci siamo organizzati per vigilare quel poco che era rimasto sotto le macerie, per fermare gli sciacalli che, approfittando della situazione, si aggiravano tra le case abbandonate, trafugando tutto quello che trovavano. Abbiamo spiegato ai residenti che eravamo qui per rassicurarli, per offrire solidarietà ma al tempo stesso per controllare persone e auto sospette. Un consiglio che abbiamo dato a tutti è quello di collaborare con le forze dell’ordine per segnalare eventuali sconosciuti che non appartengono alla macchina dei soccorsi e che si aggirano sospetti intorno alle abitazioni diroccate». Costantino ha preso qualche giorno di ferie ma presto tornerà tra la sua gente per stare loro vicino, per custodire i loro ricordi ma anche prevenire situazioni d’illegalità e reati. «Con i colleghi della questura abbiamo cercato di non lasciare abbandonato a se stesso alcun luogo, grazie all’attività di controllo e prevenzione – conclude Sabetta – Ancora oggi non riesco a dimenticare il terrore nei loro occhi, le loro vite spezzate. Più di 60 frazioni e comuni, rasi al suolo in pochi secondi, dove ogni notte cala un silenzio irreale».

Dvi: restituire un nome alle vittime 
«Ad Amatrice siamo arrivati mercoledì mattina e siamo rimasti fino al martedì successivo per identificare i quasi 300 corpi estratti dalle macerie», spiega Vincenza Liviero, medico legale del Dvi. è questo il nome del pool di esperti che si occupano dell’identificazione delle vittime di disastri. Il gruppo è stato istituito dal capo della Polizia nel 2006, dopo l’esperienza maturata con lo tsunami che sconvolse il Sud-Est asiatico, e comprende medici legali, biologi, fisici, ingegneri, psicologi, infermieri, operatori di polizia scientifica (videofotosegnalatori e dattiloscopisti), informatici ed esperti in lingue straniere. 

«Con il tempo stiamo perfezionando il gruppo d’intervento – spiega il medico legale – che è stato allargato con l’inserimento di chimici e di alcuni funzionari ordinari di polizia che si occupano dei problemi di logistica».  Il Dvi della Polizia di Stato è incardinato all’interno del Servizio polizia scientifica ed è unico nel suo genere in Italia. È intervenuto, solo per citarne alcuni, per il terremoto dell’Aquila del 2009, per il disastro della Costa Concordia nel gennaio 2012, per l’incidente ferroviario in Puglia dello scorso luglio e anche per questo terremoto. 

«Siamo pronti a operare, su diretta richiesta del capo della Polizia, a seguito di incidenti, calamità naturali o anche atti criminali e terroristici – continua il medico – in Italia o all’estero in caso tra le vittime siano presenti nostri connazionali. Gli interventi cambiano a seconda si tratti di disastri a lista aperta (quando non si ha nessuna conoscenza delle vittime) a lista chiusa (quando esiste un elenco di persone come in caso di precipitazione di un aereo) o a lista mista (come nel caso di Amatrice dove le persone si conoscevano pressoché tutte ma c’erano anche molti turisti)». La squadra è formata da diversi team: quello di comando si occupa dell’organizzazione logistica, dei rapporti con le autorità e delle comunicazioni mentre quello per il recupero pensa alla raccolta e alla classificazione degli oggetti e degli effetti personali che possono essere utili per l’identificazione. Ci sono poi un team ante-mortem, che  recupera dati e informazioni dalle persone sopravvissute e uno post-mortem che raccoglie tutti i dati medico-legali e forensi come il Dna, l’impronta dentaria e quelle dattiloscopiche e produce una documentazione fotografica relativa a ogni vittima. Infine il gruppo di confronto analizza le informazioni raccolte e formula le ipotesi d’identificazione che saranno poi certificate, dopo un ulteriore controllo, da un Ufficio costituito da diversi esperti dei settori forensi e dal responsabile del Dvi. «Mentre operiamo dobbiamo restare lucidi e concentrati, facendo appello alla nostra professionalità, ma quando, come in questo caso, tra i corpi ci sono molti bambini lo sforzo per non farsi travolgere dai sentimenti è ancora più grande», racconta la Liviero. Anche per l’assistente capo Emiliano Nicoletti, dattiloscopista e tecnico Afis (sistema automatizzato di identificazione delle impronte), trovarsi davanti tanti bambini è stato difficile: «Mentre lavori non puoi perdere tempo, le impronte vanno rilevate in fretta e prima possibile bisogna dare notizie dei propri cari alle persone che aspettano fuori dalle tende. Il peso psicologico della tragedia di cui sei stato testimone arriva tutto alla fine». Proprio per questo, al termine degli interventi, il protocollo prevede un debriefing, condotto dai medici e dagli psicologi della Direzione centrale di sanità. «Confrontarsi con gli altri sulle difficoltà incontrate e i sentimenti provati – spiega Emiliano – aiuta ad accettare quello che si è vissuto».

Centro di neurologia e psicologia medica: un aiuto per ricominciare
Aiutare il personale della Polizia di Stato e i loro familiari coinvolti in eventi critici è uno dei compiti assolti dalla Direzione centrale di sanità attraverso il Centro di neurologia e psicologia medica. Grazie alla disponibilità del personale il Centro dispone di una task force, composta da medici e psicologi della Polizia di Stato, attiva 24 ore al giorno che ha permesso a distanza di poche ore dal sisma, nella mattina del 24 agosto, la partenza  di  un medico psichiatra e due psicologi subito dopo la richiesta del Compartimento polizia stradale del Lazio. Nonostante le oggettive difficoltà legate allo spostarsi in un territorio completamente distrutto e alla pericolosità del persistere delle scosse, nei primi giorni il personale del Centro ha svolto un’iniziale attività outreaching, finalizzata a entrare in contatto con gli operatori di polizia anche senza una richiesta esplicita. Una delle procedure usate è il roaming che consiste nello spostarsi all’interno dello scenario della catastrofe per offrire aiuto al maggior numero di persone possibile. In tal modo i medici e gli psicologi hanno avuto modo di avvicinare i poliziotti del Reparto mobile, della Scientifica e della questura di Rieti che operavano tra le macerie. «Tutte le attività sono state svolte seguendo il protocollo di psicologia delle emergenze – ci ha spiegato Cinzia Grassi, primo dirigente medico della Polizia di Stato e direttore del Centro di neurologia e psicologia medica – articolato su due livelli: uno di esplorazione dei bisogni e l’altro di interventi mirati, per approfondire quanto rilevato durante il primo contatto». La prima fase del protocollo di psicologia delle emergenze è quella dell’analisi della domanda in cui si raccolgono il maggior numero di informazioni possibile sull’evento e sui soggetti coinvolti, per valutare i bisogni dei destinatari. La seconda fase è la progettazione dell’intervento: si individuano, tra i medici e gli psicologi, gli specialisti che interverranno, si formulano le ipotesi di attività da svolgere e la durata anche in base alle caratteristiche dei destinatari (operatori di polizia o familiari) e alle informazioni acquisite. Infine nella terza fase, la realizzazione dell’intervento, gli specialisti individuano lo strumento di supporto più idoneo alla situazione. «In questa occasione è stato utilizzato in prima battuta il gruppo di supporto psicologico, a cui è seguito in alcuni casi il colloquio individuale – continua la Grassi – È importante ricordare che la nostra attività è rivolta a chi ne faccia richiesta, prevede un’assoluta riservatezza e ha come obiettivo primario la tutela della salute dell’operatore di polizia». Va sottolineato che, una volta finita la prima emergenza determinata dalla calamità, è ancora più importante occuparsi, a distanza di tempo, degli operatori di polizia che sono stati coinvolti. In sintonia con questa best practice, ad esempio, il comandante del Reparto mobile di Roma ha richiesto, fin da subito, sostegno per aiutare i propri uomini a elaborare le emozioni provate durante l’attività di soccorso che purtroppo non portava sempre al salvataggio di una vita ma spesso al recupero di un cadavere. Allo stesso modo è stata richiesta e sta per attivarsi l’attività di sostegno per alcuni operatori del Compartimento della polizia stradale di Rieti. I debriefing, moderati dai medici e dagli psicologi del Centro, si sono rivelati utili anche per gli uomini del Dvi, il pool di esperti che ha identificato i cadaveri senza nome, per alleviare il sovraccarico emozionale legato al loro doloroso lavoro. Naturalmente il lavoro del Centro non finisce con lo spegnersi dei riflettori mediatici su Amatrice e gli altri paesi colpiti dal sisma: «Assicuriamo nel tempo tutte le attività di sostegno necessarie e richieste sia dai poliziotti che dai familiari», conclude Cinzia Grassi. 

27/09/2016