Annalisa Bucchieri
L'immagine dell'anima
Vi sono scatti che vanno oltre il dovere di cronaca e la testimonianza giornalistica, acquisendo una valenza simbolica e un valore autoriale. L’immagine scelta in copertina fa parte di questa categoria. Anche se chi l’ha realizzata, Valerio Giannetti, uno dei nostri fotografi, l’ha scattata alla fine di un servizio giornalistico sui luoghi del terremoto per documentare il lavoro dei soccorritori.
è la mattina del 25 agosto quando arriva ad Amatrice. Il centro storico è interdetto per cedimento strutturale. Valerio aspetta fuori molte ore ma ciò non lo scherma dal dolore che si percepisce nell’aria. Poi, nel pomeriggio entra guidato da un collega del Reparto Mobile che lo porta sui luoghi dove gli uomini della Polizia di Stato stanno ancora cercando e scavando assieme agli operatori di altre forze dell’ordine, delle forze armate e dei vigili del fuoco.
Valerio silenzia l’otturatore perchè è importante si percepisca qualsiasi flebile segnale d’aiuto e inizia a scattare. Nell’obiettivo puntato verso il basso solo polvere, intonaco, detriti. Anche i visi dei soccorritori sono rivolti a terra a scrutare, le spalle schiacciate sotto il peso della demoralizzazione più che della stanchezza. Per loro il secondo giorno è il più difficile. Il primo è quello adrenalinico della speranza: a poche ora dal sisma, infatti, se si scava senza perdere neanche un minuto si hanno più possibilità di estrarre qualcuno vivo da sotto le macerie. Il secondo giorno invece è quello della perdita. Il tempo trascorso è impietoso e chi lavora tra i calcinacci sa quasi con certezza che restituirà un corpo esamine ai suoi cari. Ma anche questo fa parte dei compiti di chi è chiamato a proteggere la popolazione e a soccorrerla, qualunque giubba indossi, come raccontiamo nel primo piano della rivista.
Si è fatto tardi, stampa e media devono andare via. Mentre s’incammina, Valerio solleva lo sguardo e insieme l’obiettivo, fino a quel momento puntati in basso. Dentro l’inquadratura vede il brandello di una casa sgretolata, la vita che non c’è più, ma oltre si apre lo spazio e l’occhio cattura il campanile, l’unico edificio rimasto in piedi in tutto il paese. Nel contrasto tra la quotidianità distrutta, coperta di polvere e assorbita dall’oscurità, posta in primo piano, e il campanile che resiste ritto e inondato di luce, in fuga prospettica, c’è la speranza di una rinascita, la vita che vuole continuare. E nella croce in alto c’è la nostra preghiera, di qualsiasi credo essa sia, la nostra preghiera per coloro che non ci sono più, per coloro che li hanno persi, per coloro che adesso devono ricominciare a lottare e che non dobbiamo lasciare più soli.