Fabrizio Ciprani*

Allenamento al rischio

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L’attuale stato di allerta per il pericolo di attentati rende necessaria una preparazione psico-fisica sempre più adeguata per i poliziotti

attualita

Il terrore di attentati efferati e indiscriminati sulla popolazione, difficili da prevedere e prevenire, non sottesi da alcuna apparente ragione o causa mediabile, rischia di apportare profondi turbamenti non solo sulle nostre abitudini ma sul nostro modo di pensare.

Da più generazioni abbiamo fondato la nostra crescita sull’idea positiva del perseguimento della pace, persino sulla correzione degli eventi naturali catastrofici, sui principi di cautela, sull’adozione di tutte le possibili misure preventive utili a scongiurare o quantomeno limitare eventi avversi di qualsiasi genere.

Questa impostazione, nelle culture democratiche, si è coniugata ai principi di comprensione, tolleranza, apertura, consentendo di sviluppare un approccio multidimensionale, critico, talvolta anche in difetto di pragmatismo, proprio per tale finalità primaria.

La nostra cultura, infatti, prima ancora delle nostre leggi, è fondata sui diritti delle diversità, sulla gestione dei conflitti quale momento di crescita e di evoluzione. Tra le nostre limitate certezze vi è quella che tutto cambia e che dobbiamo accettare questo corso, adeguarci e prenderlo come l’opportunità di migliorare le nostre esistenze. Nel rispetto delle differenze, anzi con la consapevolezza che queste arricchiscano le nostre culture.

Questo percorso non è stato così facile e così innocente: ha continuato a comportare dibattiti tra opposte fazioni, strumentalizzazioni estemporanee, azioni e contromisure. Non è stato, e non lo sarà mai, un percorso lineare: ma pur con questi rallentamenti e frizioni, pur con i limiti e le contraddizioni ben evidenti di questo nostro vivere, è chiaro come il bilancio sia positivo.

È su questa complessità della nostra società che stanno producendosi esplosioni, oltre che fisiche, interiori.

In genere un evento terroristico viene concepito per ridurre masse di popolazione ad un sentimento misto di incredulità, smarrimento, incertezza, paura, inerzia.

Come ogni atto lesivo le conseguenze dipendono anche dalla “resilienza” di chi lo subisce, cioè dalla capacità di resistenza e di assorbimento, che è molto diversa da persona a persona, che risente di aspetti innati ed acquisiti, che può essere rafforzata o può venir meno in rapporto a molteplici fattori.

Gli atti terroristici conducono abitualmente all’adozione di immediate misure, persino di leggi speciali, da quelle che limitano la libertà individuale a quelle che rimodulano le attività di investigazione e di prevenzione, fino alla elaborazione di norme che finanziano somme per le vittime dei disastri.

Molto spesso tali atti sembrano acquisire la loro finalità in quello che succede dopo, quando le richieste, le proteste e i proclami conducono a una deriva di pensiero comune e populista, invocata genericamente nelle più svariate occasioni, con i soliti ingredienti che vanno dal razzismo e  dal giustizialismo fino alla tolleranza zero, antidoti nella maggioranza dei casi più dannosi dei veleni che dovrebbero combattere.

Nel personale delle forze di polizia tali dinamiche assumono aspetti particolari. Da un lato ci si aspetterebbe che tali operatori, per la selezione, l’addestramento che hanno ricevuto, l’esperienza operativa svolta durante il servizio, lo stato di salute (inteso nel più ampio spettro) posseggano, almeno nella media, un livello di tollerabilità allo stress maggiore rispetto alla popolazione generale.

Dall’altro, proprio le dinamiche che sottendono tali esigenze, al di là del concreto verificarsi di eventi criminosi, possono costituire fattori di rischio per la salute e l’efficienza operativa del personale, con aspetti insidiosi e subdoli il cui primo momento preventivo è rappresentato dalla conoscenza e dalla consapevolezza di questi fenomeni.

Una storica ricerca avente per oggetto l’associazione tra 32 diverse caratteristiche del lavoro, ha rilevato come le quattro condizioni maggiormente associate alle patologie cardiovascolari siano rappresentate da: situazioni di pericolo; attività che richiedono alti livelli di vigilanza e di responsabilità verso gli altri; compiti con elevati livelli di scambio di informazioni; controllo di apparecchiature complesse.

Almeno tre di queste quattro condizioni sono pressoché presenti nel lavoro di un operatore di polizia e sono destinate ad esserlo ancor di più con l’attuale emergenza terroristica che stiamo vivendo.

In questo contesto ogni operatore di polizia, a ragione della consapevolezza del suo ruolo e della sua funzione, quasi automaticamente attiva maggiormente i suoi strumenti di lavoro che possono rappresentare un fattore importantissimo per sventare atti terroristici del tipo di quelli che stiamo osservando. La percezione del pericolo, la destrezza, l’abitudine a fronteggiare persone ostili, il saper mantenere i nervi saldi, la dotazione di un’arma rappresentano infatti un patrimonio preziosissimo e sul quale tutta la popolazione può contare.

È chiaro come questa attivazione non possa avere limiti temporali: lo stato di allerta e di vigilanza non abbandona l’operatore di polizia anche in vacanza, anche quando è con la famiglia, anche quando si concede, o vorrebbe, un momento di relax. In maniera talvolta poco percepibile possono a lui venire a mancare quelle fasi di stacco che sono molto importanti per il pieno recupero della performance psico-fisica. Non è tanto l’attivazione di comportamenti di allerta (essere attento a manovre strane, percepire discorsi particolari, guardarsi intorno, ecc.) che stanca, quanto l’impossibilità di staccare la spina, accentuata dal senso di responsabilità.

Questo è un primo rischio, che si coniuga ad un altro ancor più insidioso. Nei contesti di questa attività di prevenzione sono sconfinate le possibilità di accadimenti: praticamente ogni luogo, ogni esercizio commerciale, ogni strada, ogni mezzo pubblico può essere oggetto di attacco o attentato, ma fortunatamente i casi che si verificano in realtà sono infinitamente residuali rispetto ai siti che meritano attenzione, rispetto al tempo in cui non accade nulla di temibile.

Il pericolo non è individuabile, può venire da qualsiasi parte, con le fattezze più svariate e più comuni.

Dino Buzzati, nel suo famoso libro Il deserto dei Tartari, racconta di una caserma fortificata nel deserto, nella quale i soldati sperimentano una quotidianità ripetitiva dove il temuto attacco può verificarsi in ogni momento, ma nulla succede mai.

I nemici non appaiono mai all’orizzonte e, se all’inizio rappresentavano uno stimolo forte al sacrificio, pian piano svaniscono e con loro anche la motivazione dei soldati.

Quando finalmente, dopo anni, si prospetta il fatidico attacco dei nemici, il protagonista del libro è ormai invecchiato e logorato.

Non può e non deve essere questo il destino dell’operatore di polizia, pur in questo momento ricco di suggestioni ed analogie. È però importante comprendere queste dinamiche insidiose e, soprattutto, tradurle in ulteriori misure preventive e riconoscimenti concreti.

In tal senso risulta fondamentale continuare e implementare nonchè diffondere le iniziative già intraprese: investire sulla formazione, sia tattica che operativa, ma anche mentale, curando maggiormente l’approccio giusto con dinamiche così insidiose (queste esperienze hanno costituito argomenti di lezione negli ultimi corsi di formazione per vice sovrintendenti e agenti); assicurare con continuità l’addestramento e l’allenamento, compresa la forma psico-fisica, e rendere disponibili strutture sportive all’interno dell’Amministrazione, già presenti in varie sedi; intensificare le campagne di prevenzione, con particolare riguardo al rischio cardiovascolare, al regime dietetico ed all’abitudine al fumo (in più città, da anni, il servizio sanitario della Polizia di Stato ha promosso tali iniziative); attivare protocolli di training (sperimentati con successo presso i Reparti Mobili) e sportelli d’ascolto per il disagio psicologico (già attivi nelle sedi di diverse questure).

Si tratta di misure molto diverse ma che hanno in comune  lo scopo di aiutare l’operatore di polizia a mantenere livelli di concentrazione e di vigilanza adeguati ai rischi che corre; a perseguire una migliore tollerabilità agli sforzi e ai sacrifici che oggi più che mai gli vengono chiesti. Ricordando poi, a chi è chiamato a farlo, di individuare e valutare con attenzione le eventuali conseguenze lesive, non sempre percepite nella loro complessità. ϖ

*direttore del Servizio affari generali della Direzione centrale di sanità del Dipartimento della  ps 

02/08/2016