Cristiano Morabito e Chiara Distratis

Fiamme olimpiche

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Parte a Rio la XXXI edizione dei Giochi, con una nutrita spedizione cremisi

aperturaRio

Rio de Janeiro, Brasile, stadio Maracanà, 5 agosto 2016. Location e data sono stati già fissati da tempo e a breve la cerimonia inaugurale dei XXXI Giochi olimpici estivi taglierà il nastro per dar vita a poco più di due settimane di sport (più altri 12 giorni dal 7/9 per le Paralimpiadi), che terranno incollato mezzo mondo alla televisione, mentre moltissima altra gente avrà la fortuna di assistervi dal vivo e vedere da vicino le gesta di tanti campioni che, una volta ogni quattro anni, si danno appuntamento per una manifestazione che affonda le proprie origini nella notte dei tempi dell’antica Grecia. Un periodo che significava “pace” (la pax olimpica), capace di fermare tutti i conflitti per permettere agli atleti di partecipare ai Giochi. Certo, oggi le cose sono un po’ cambiate e gli ultimi avvenimenti fanno di Rio 2016 un obiettivo particolarmente sensibile e appetibile per chi sta spargendo odio e morte in giro per il mondo. Ma, comunque, la macchina olimpica (vedi Monaco ’70) non si ferma e, nonostante tutto, anche noi vogliamo parlare di sport, anche un po’ per esorcizzare un periodo abbastanza “caldo”.

Il colpo di scena finale alla cerimonia di apertura a Londra 2012 fu rappresentato da Daniel Craig che, nei panni dell’agente 007, prelevava in elicottero la regina Elisabetta da Buckingham Palace per paracadutarsi al centro dello stadio Olimpico e dare il via alla XXX edizione dei Giochi. E ora è sicuramente tanta la curiosità di sapere quel che accadrà al Maracanà di Rio il prossimo 5 agosto: dovremo stare tutti con il naso all’insù per aspettarci qualcuno che si calerà dall’alto o dovremo rivolgere il nostro sguardo all’interno di quello stadio che, da sempre, ospita le gesta della nazionale verdeoro di calcio? E ancora, chi sarà l’ultimo tedoforo che accenderà quel braciere che arderà ininterrottamente per tutto il periodo dei Giochi? Nelle nostre menti restano indelebili le immagini del compianto Muhammad Alì che si mostrò al mondo tremolante per il Parkinson, cosa che non gli impedì di compiere l’ultima frazione per accendere il braciere di Atlanta ’96, oppure i sette giovanissimi atleti che accesero la fiamma di Londra quattro anni fa.

Dunque, la più grande manifestazione di sport al mondo, quella a cui ogni atleta sogna di partecipare almeno una volta nella vita, e che replica se stessa ogni quattro anni, allargando il numero dei Paesi partecipanti, degli atleti impegnati, delle medaglie assegnate e del numero degli sport praticati. Ed è proprio dai numeri che bisogna partire per descrivere un evento che non ha eguali nel mondo, sempre più grande e sempre, ahimè, più dispendioso. Ecco, proprio su quest’ultimo punto, il Cio ha deciso di dare una svolta: sono ancora tanti i critici che imputano ai Giochi di Atene 2004 l’inizio della crisi greca e, proprio per questo, il Comitato olimpico internazionale ha varato l’Agenda 2020, una serie di nuovi protocolli che permetteranno alle città organizzatrici dei Giochi, in pratica, di spendere molto meno di quanto fatto finora. Le Olimpiadi di Rio il loro primato forse lo hanno raggiunto già come edizione “più verde” della storia, poiché è stata data grande attenzione all’ecosostenibilità della manifestazione; un esempio su tutti, quello delle oltre 5mila medaglie che verranno assegnate durante i Giochi, realizzate riciclando materiale da apparecchiature elettroniche in disuso. Dunque, più che azzeccato il motto dei giochi carioca: “Un mundo novo”, che non ha bisogno di essere tradotto…

Parliamo, però, di numeri: saranno 206 le Nazioni partecipanti, con più di 10.500 atleti che se la vedranno in 28 sport e 42 discipline. Una piccola curiosità: a Rio parteciperà anche una rappresentanza di rifugiati politici che gareggerà sotto i colori della bandiera a cinque cerchi. I pasti che verranno serviti al villaggio olimpico giornalmente saranno più di 60mila e il recupero di oltre 12 tonnellate di cibo permetterà di sfamare più di 19.000 poveri (che in Brasile, purtroppo, non sono pochi). Ultima nota di colore, agli atleti nel kit che li accompagnerà per tutto il periodo di permanenza nel villaggio, saranno distribuiti anche 41 condom; alle Olimpiadi precedenti erano “solo” 15… un po’ come dire: “Niente sesso, siamo inglesi!”. Rispetto a Londra 2012, dove gli sport presenti erano 26, in questa edizione torneranno il golf e il rugby (nella sua versione a 7). La pattuglia italiana che volerà in Brasile, invece, sarà composta da 297 atleti (155 uomini e 142 donne) che gareggeranno in 28 discipline, con un’età media di poco più di 27 anni: il “nonno” della spedizione sarà il tiratore Giovanni Pellielo, giunto alla sua settima partecipazione, mentre la più giovane sarà la nuotatrice diciassettenne Sara Franceschi.

Tra gli azzurri, a Rio sbarcheranno anche 38 atleti (più 4 dal 7 settembre in gara alle Paralimpiadi) del Gruppo sportivo Fiamme oro, che gareggeranno per ottenere un posto sul podio in 15 discipline e, magari, per tingere di cremisi la duecentesima medaglia d’oro italiana ai Giochi olimpici estivi.

La compagine sportiva della Polizia di Stato, quest’anno dovrà fare a meno di due atleti che, nelle ultime edizioni dei Giochi, sono sempre saliti sul podio: «L’addio all’attività agonistica di Roberto Cammarelle e Valentina Vezzali sicuramente si farà sentire, sia dal punto di vista del carisma che due campioni del genere possono infondere a una squadra, sia sul lato dei risultati veri e propri – ha detto il presidente del GS Fiamme oro, Francesco Montini – Forse dovremo aspettare per vedere sul podio altri campioni come Roberto e Valentina, ma sappiamo che dietro di loro non c’è il vuoto: negli anni abbiamo iniziato a percorrere la strada dell’arruolamento di giovani e giovanissimi, non lasciandoci tentare dalle sirene del risultato facile prendendo campioni già affermati, bensì aprendo sezioni giovanili nelle quali “coltivare” i nostri atleti e andando a scovare chi, secondo noi, ha le possibilità per emergere. Un paio di esempi su tutti, Gregorio Paltrinieri nel nuoto e Elisa Di Francisca nella scherma, ma anche il pesista Mirco Scarantino, la boxeuse Irma Testa o Jessica Rossi nel tiro a volo. Tutti nomi, come tanti altri che faranno parte della spedizione brasiliana, fino a qualche anno fa sconosciuti ai più e che oggi ci regalano successi in tutte le manifestazioni cui partecipano». Dunque, un lavoro che paga, quello messo in atto dal Gruppo sportivo della polizia e sono ancora una volta i numeri ad avvalorarlo: prendendo in esame il periodo che va dalle Olimpiadi di Pechino 2008 fino al 2015, tra Giochi estivi, competizioni mondiali, campionati europei e italiani, gli atleti cremisi sono saliti 1.812 volte sul gradino più alto del podio, 1.087 volte si sono aggiudicati la piazza d’onore e 875 sono stati i terzi posti. Un bilancio di tutto rispetto e che fa del nostro Gruppo una delle colonne portanti dello sport italiano, ma anche un’importante risorsa per la Polizia di Stato: «Stiamo proseguendo nella politica che avevamo intrapreso – continua Francesco Montini – Qualche anno fa abbiamo scelto una vision nella gestione del gruppo sportivo, ossia di dare un contributo allo sport nazionale attraverso atleti di altissimo livello e di restituire ai servizi ordinari quelli che hanno smesso con l’attività agonistica (ben 236 negli ultimi cinque anni), dando alla Polizia di Stato agenti con capacità intellettive e fisiche superiori alla media (un atleta che ha praticato sport di combattimento, oltre a essere fisicamente in forma, ha anche una capacità e velocità di adattarsi alle situazioni che persone “normali” non hanno), ma anche di attuare il concetto di “polizia di prossimità” avvicinando la gente all’Istituzione attraverso lo sport. 

Dopo aver realizzato questa doppia vision abbiamo fissato degli obiettivi, tra i quali quello di aprire più sezioni giovanili possibile sul territorio e di assumere atleti sempre più giovani facendoli crescere con un senso di appartenenza alla polizia sempre più forte, stipulando numerosi protocolli d’intesa con le Regioni, gli enti territoriali e altre società sportive. Altri nostri “ex” invece restano all’interno delle Fiamme come tecnici, così come ha fatto Roberto Cammarelle che da poco ha appeso i guantoni al chiodo ed è subito diventato il direttore tecnico del settore pugilato. Chi meglio di lui? Andava “sfruttato” anche per la forza della sua immagine. Così come anche Valentina Vezzali che, sono convinto, troverà a breve una ricollocazione all’interno dell’Amministrazione, degna del suo passato sportivo e delle sue capacità. E ancora, abbiamo anche aperto allo sport paralimpico. Anche questo rientra nella nostra vision, per dare possibilità a questi atleti di praticare uno sport che altrimenti non avrebbero potuto fare, senza perdere di vista il concetto di “immagine positiva” per la Polizia di Stato. Quel che mi rende orgoglioso di questi ragazzi con una volontà e un entusiasmo non comuni, è che pur non essendo poliziotti, hanno sviluppato un fortissimo spirito di appartenenza ai nostri colori. A Rio saranno in quattro e di livello assoluto». 

Dunque, una “pattuglia cremisi” agguerrita quella che sbarcherà in Brasile, con tante speranze nel cassetto e la sicurezza di ben figurare: «Mettendo da parte la scaramanzia – conclude Montini – quella di Gregorio Paltrinieri nel nuoto sarebbe la medaglia più bella; come possibile sorpresa mi piacerebbe vedere Irma Testa sul podio, non fosse altro perché è la più giovane della spedizione cremisi in Brasile; la mia speranza, invece, è la rinascita di Jessica Rossi: ha avuto un grande momento di popolarità dopo Londra 2012, poi ha subito troppe pressioni che ne hanno condizionato il rendimento. Tornerà ai suoi livelli». 

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PAROLA AI PRESIDENTI
Speranze, sogni e conferme olimpiche. Ne abbiamo parlato con i massimi esponenti dello sport italiano in vista dei Giochi di Rio

Giovanni Malagò presidente del Comitato olimpico nazionale italiano

Rio 2016 sarà la sua prima Olimpiade estiva da presidente. Quali emozioni suscita in lei essere a capo dello sport italiano nella manifestazione più importante, che cade a poco più di tre anni dalla sua elezione? 
È certamente un’emozione speciale perché i Giochi olimpici rappresentano il traguardo più importante, che chiude un quadriennio di lavoro. Vivo il mio ruolo con grande senso del dovere, credo sia stato profuso il massimo impegno da parte del Coni per mettere le Federazioni, i tecnici e gli atleti nelle condizioni ideali per affrontare questo grande evento. L’Italia rappresenta la quinta forza nel medagliere olimpico all time, che contempla le edizioni estive e invernali, quindi andiamo in Brasile per difendere la tradizione nonostante una concorrenza sempre più agguerrita. Sono particolarmente soddisfatto di come si è arrivati all’appuntamento: il fatto di poter contare su un numero di qualificati più numeroso di quello di Londra rappresenta un segnale importante, sintomo di competitività. 

Cosa è stato fatto dal 2013 a oggi?
In questi tre anni abbiamo raggiunto molti obiettivi. Un risultato storico è l’aver aumentato il numero degli italiani che praticano sport. Negli ultimi due anni, come certificato dall’Istat, è stato registrato un incoraggiante +2,7% ma non mi accontento: possiamo e dobbiamo fare di più. Bisogna educare i giovani, favorire l’attività motoria. Anche per questo, con il Miur e grazie al Governo è partito il progetto “Sport di classe” che offre due ore settimanali di educazione fisica in tutte le primarie. Altri traguardi sono stati raggiunti riformando la giustizia sportiva, con l’adozione di un nuovo codice e l’istituzione del Collegio di garanzia dello sport e della Procura generale. Abbiamo reso indipendente la struttura antidoping, che oggi fa riferimento alla Nado Italia, e ridefinito, inoltre, i parametri di distribuzione dei contributi pubblici alle federazioni e, con la nostra moral suasion, sono state introdotte nuove leggi sull’impiantistica. In virtù del progetto “Sport e periferie”, grazie alle risorse stanziate dal Governo (100 milioni in 3 anni), c’è in atto un processo che mira al potenziamento dell’attività in aree svantaggiate e periferiche, con 7 interventi urgenti già individuati. Sono stati inoltre censiti, mediante un progetto pilota, gli impianti di 4 regioni, per ottenere finalmente una mappatura globale omogenea a livello nazionale, che manca dal 1996. Siamo arrivati in contesti territoriali e sociali difficili, grazie a “Vincere da Grandi”, sviluppato con il Gioco del Lotto e abbiamo promosso i centri Coni di orientamento e avviamento allo sport, per avvicinare i ragazzi tra i 5 e i 14 anni al nostro mondo. Senza dimenticare “Sport e Integrazione”, chiamato a favorire l’inclusione attraverso l’esempio dei nostri campioni nelle scuole. Tutti percorsi strategici portati avanti in piena sintonia e con il fondamentale supporto del Governo e dei ministeri competenti. Senza dimenticare gli atleti: l’unico motivo per cui esistiamo noi dirigenti sportivi. Alle nostre stelle è stata dedicata la “Walk of Fame” del Foro italico. 

Nelle ultime due Olimpiadi l’Italia ha conquistato lo stesso numero di medaglie (28), quali sono le sue aspettative per Rio, contando che ci sono stati addii eccellenti di atleti che sono quasi sempre saliti sul podio (Cammarelle, Vezzali, ecc…)?
Ci sono da considerare alcuni fattori determinanti: abbiamo vissuto un importante ricambio generazionale, la concorrenza è aumentata e il programma olimpico è cambiato, penalizzandoci. Per fare un ragionamento teorico penso che si debba partire dai 28 podi di Londra, ai quali dobbiamo sottrarre le tre medaglie che arrivarono nel 2012 dalle specialità stavolta assenti, e parlo di fioretto femminile e di sciabola maschile. Al di là dell’esercizio numerico voglio però sottolineare che la valutazione deve essere più lungimirante: non sarà un dramma conquistare meno podi, così come un risultato migliore non dovrà essere accolto con toni trionfalistici. Credo sia giusto seguire il criterio del Cio per valutare lo stato di salute di un movimento, considerando i punteggi legati ai primi 8 di ogni gara. Questa chiave di lettura consente di verificare il livello agonistico di un Paese nella molteplicità di discipline che caratterizza il programma olimpico, evitando giudizi superficiali.

Lasciando da parte la scaramanzia che tipicamente regna nel mondo dello sport, se la sente di dirci quale medaglia le piacerebbe vincere?
Ogni podio ha il suo straordinario valore ma l’oro che più mi piacerebbe vincere è quello della pallavolo maschile. È una disciplina in cui l’Italia ha ottenuto tanti successi tra Mondiali, Europei e World League ma ci è sempre sfuggito questo risultato. Mi piacerebbe molto se stavolta riuscissero nell’impresa per chiudere idealmente il cerchio. In assoluto credo che esistano le potenzialità per affermarci in discipline che negli ultimi anni ci hanno visto guadagnare posizioni importanti, sostituendo un serbatoio di medaglie “tradizionali” con uno nuovo di zecca. 

La maggior parte degli atleti proviene dai gruppi sportivi militari e delle forze di polizia. Quanto è importante e necessario il contributo di questi ultimi allo sport italiano?
Lo sport italiano deve essere grato ai Gruppi militari e ai Corpi dello Stato per i risultati raggiunti e per la valenza della programmazione portata avanti negli anni, frutto di scelte prospettiche. Si è creata una sinergia proficua, che ha portato in dote al movimento certezze e vittorie, frutto di una costante azione propositiva e dell’attenzione rivolta nei confronti della pratica agonistica. Gli atleti vengono messi nelle condizioni ideali per poter esprimere il loro talento, grazie a un’assistenza tecnica e infrastrutturale di livello. C’è la volontà di fare ancora di più squadra per individuare percorsi condivisi che sappiano garantire orizzonti importanti al mondo che rappresentiamo. Sono sicuro che questo legame vivrà sempre più all’insegna del successo. 

Cosa risponde alle critiche di chi spesso accusa di spendere denaro pubblico per fini che, nel caso della Polizia di Stato, non sono legati prettamente alla sicurezza dei cittadini?
Lo sport è uno straordinario strumento formativo, incide in modo determinante nello sviluppo del Paese. È una risorsa unica, inestimabile, che contribuisce al benessere della collettività: è sufficiente ricordare che abbassare di un punto percentuale la sedentarietà comporta, ad esempio, un beneficio per lo Stato di 80 milioni di euro in termini di risparmi nella spesa sanitaria e non. Investire quindi nel nostro mondo non vuol dire solo inseguire medaglie e successi ma significa soprattutto recitare un ruolo da protagonisti nella quotidianità, nella promozione di una cultura che sia di riferimento per lo sviluppo del Paese. Un importante riferimento per i giovani, la possibilità di innescare un meccanismo virtuoso, che sappia contribuire ad avvicinarli al nostro mondo, creando i presupposti per trainare il sistema Italia verso traguardi ambiziosi. 

Un argomento scottante: il doping. Gli ultimi casi di cronaca sportiva ci dimostrano come la ricerca di una scorciatoia illecita, purtroppo, sia sempre più difficile da individuare e, quindi, da debellare.
Il doping si specchia con finalità che rappresentano l’antitesi dei valori che promuove quotidianamente lo sport. Si vince con lealtà e trasparenza, lontano dalle mistificazioni. Il nostro mondo – a livello planetario – è impegnato, sempre con maggiore determinazione, in una prova di assoluta compattezza, con il Cio in testa, per emarginare chi attenta la genuinità della competizione. Per questo diventa fondamentale lavorare soprattutto sulla cultura: è un problema che va oltre la sfera agonistica. La vittoria è il coronamento di un percorso fatto di capacità coniugate allo spirito di sacrificio, perché il talento va allenato con professionalità. I campioni sul campo sono prima fuoriclasse nella vita. Non ci sono scorciatoie che possano alterare questo ineludibile principio. 

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Luca Pancalli presidente del Comitato italiano paralimpico

La prima edizione dei Giochi paralimpici risale a Roma 1960. Cosa è successo in questi 56 anni?
Possiamo prendere Roma ’60 come momento da cui tutto ha avuto inizio. Anche per quanto riguarda la dimensione italiana è stata la consacrazione del movimento che si era sviluppato negli anni precedenti grazie alla lungimiranza di un gruppo di uomini tra cui il professor Antonio Maglio, l’allora direttore dell’Inail. Maglio si ispirò all’intuizione di Sir Ludwig Guttmann che in Inghilterra utilizzava lo sport come strumento riabilitativo per i disabili, in special modo per i reduci della seconda guerra mondiale ricoverati nei centri di riabilitazione. L’8 settembre 1960, in rappresentanza di 23 Paesi, 400 atleti in carrozzina sfilarono davanti a 5.000 spettatori per la cerimonia d’apertura dei Giochi. Quello fu il D-day del movimento paralimpico, da allora si sviluppò in tutto il mondo e in Italia ha portato alla nascita della prima associazione, l’Anspi - Associazione nazionale sport paraplegici italiani (infatti all’inizio i giochi erano solo per ragazzi con questa disabilità) seguita dalla Federazione italiana per lo sport degli handicappati (Fisha), dalla Fisd (Federazione italiana sport disabili), fino al Comitato italiano paralimpico (Cip) dei giorni nostri.

Oggi i Giochi olimpici e quelli paralimpici hanno pari dignità e si svolgono nelle stesse location. Come si è arrivati a questo?
La dignità che hanno oggi i “nostri” Giochi è stata conquistata con fatica negli anni, ma ora sostanzialmente il contenitore olimpico e paralimpico si presenta unito. Per Seul ’88 venne firmato un accordo tra il mondo olimpico e il mondo paralimpico. Noi la consideriamo la prima Paralimpiade dell’era moderna. A partire da Seul infatti tutte le città che hanno ospitato le Olimpiadi hanno organizzato anche le Paralimpiadi. Nelle varie edizioni sono stati adottati diversi modelli organizzativi: all’inizio c’erano due comitati distinti, poi a partire da Londra 2012 siamo passati a uno unico che ha pensato a tutta l’organizzazione. 

Il mondo paralimpico in questi ultimi tempi ha acquistato una grande visibilità. È anche merito di atleti-simbolo che hanno abbattuto la barriera della diffidenza?    
Tutti i processi di rivoluzione culturale che si accompagnano necessariamente a processi di rivoluzione organizzativa hanno i propri testimonial. Hanno avuto molta risonanza la battaglia di Oscar Pistorius per partecipare ai Giochi olimpici di Londra o quella che ha combattuto il tedesco Markus Rehm, specialista del lungo per saltare a Rio (ma che non è andata a buon fine a causa del diniego della Iaaf, ndr) o le tante vittorie del nostro Alex Zanardi. Loro sono i testimonial che si trovano a incarnare un processo di grande trasformazione realizzato da uomini e organizzazioni meno noti che hanno reso possibile tutto questo. 

Questo processo è stato aiutato anche dai mezzi di comunicazione…
In questo come in tutti i processi di trasformazione la comunicazione ha avuto il suo ruolo. Se parliamo dell’Italia, nel 2000 abbiamo preso in mano la Fisd, che era una delle tante federazioni del Coni, un “ghetto” all’interno del quale si confondevano tutte le discipline sportive e ci siamo messi subito a lavoro. Abbiamo creato i Dipartimenti come luogo di allenamento per le future Federazioni paralimpiche, siamo riusciti a far trasformare la federazione, con legge dello Stato, in Comitato italiano paralimpico. Tutto questo è stato facilitato da un nuovo modello educativo a cui ha preso parte, senza volerlo, anche il mondo della comunicazione. I media hanno smesso di parlare di atleti disabili e hanno iniziato a parlare di atleti paralimpici, aggettivo che identifica una famiglia, un modello e non più una condizione. Siamo passati da una fase in cui la comunicazione recepiva passivamente i nostri concetti e messaggi, a una fase di comunicazione attiva. Questo si è visto a Londra 2012 dove la Rai ha garantito 14 ore di diretta per i Giochi paralimpici. Per noi l’immagine emblematica dei 16 anni di lavoro fin qui svolto è la foto che è stata scattata quando ci ha ricevuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da cui emerge la splendida “confusione” dello sport italiano: atleti olimpici e paralimpici insieme, ma due marchi che stanno a identificare due movimenti distinti. Non perché io abbia voluto marcare una differenza con il Coni. Sono il primo a sognare un unico grande ente che si occupi di tutto lo sport italiano, ma questo non può nascere dall’assorbimento del piccolo da parte del grande, ma dallo scioglimento dei due per creare una nuova entità. Oggi il fatto che abbiamo realizzato di fatto un’unica grande famiglia dello sport, mantenendo però la dignità del movimento paralimpico ci aiuta a crescere. Infatti i tempi non sono maturi per quella fusione a cui aspiro che garantirebbe il rispetto della dignità dei miei atleti. Oggi se un atleta paralimpico dovesse vincere una medaglia nello stesso giorno di un atleta olimpico di chi parlerebbero i giornali?

In questa continua evoluzione che posto occupano i gruppi sportivi militari e delle forze di polizia?
Anche loro sono stati “vittime” inconsapevoli della nostra strategia. Quando sono diventato presidente mi sono posto tanti obiettivi tra cui includere nel processo i gruppi sportivi militari e delle forze di polizia. Per noi era importante aprire una breccia dal punto di vista d’immagine, comunicazione e cultura: ha più forza propulsiva per la nostra strategia di politica sportiva Bebe (la campionessa della scherma, ndr) che va nelle scuole a parlare indossando la tuta delle Fiamme oro che non tanti anni di battaglie. Ma quello che vorrei è che un giorno una parte dell’aliquota di personale disabile che i ministeri hanno l’obbligo di assumere, in base alla legge 68 del 1999, venisse utilizzata per chi indossa la maglia azzurra. Assunti in ruoli amministrativi verrebbero distaccati ai gruppi sportivi per tornare negli uffici al termine della carriera agonistica. In questo modo lo sport sarebbe strumento di politica attiva per dare un’opportunità ai ragazzi e per far crescere la cultura del Paese.     

Il vostro obiettivo per Rio 2016?
Battere gli Olimpici! A parte gli scherzi… puntiamo a dimostrare come alla strategia di politica sportiva e di cambiamento culturale si sia affiancata una crescita agonistica. Ma anche la validità di alcune scelte come quella di aprire delle sezioni paralimpiche all’interno delle federazioni olimpiche o dell’apertura ai gruppi sportivi militari e delle forze di polizia nell’ottica della crescita dei top level. Secondo i risultati e le proiezioni dovremmo andare meglio di Londra; ma già il fatto che, nonostante le risorse economiche irrisorie in confronto agli altri Paesi, siamo sempre tra i primi 12/13 Paesi è una grande vittoria. Quindi mi aspetto sia un riscontro tecnico in termini di medagliere, prestazioni e record sia un ritorno di visibilità grazie alla Rai che ha garantito la copertura anche dei Giochi paralimpici. Ma le vittorie che più mi interessano sono quelle che non si vedono. Vedere Martina Caironi correre i 100 metri e vincere l’oro, davanti a 80mila persone che l’osannavano, è stato da stimolo per Monica Contrafatto che nel suo letto d’ospedale dopo l’amputazione subita per un attacco talebano in Afghanistan ha detto «Lo voglio fare pure io». Spero che tanti ragazzi, attraverso le immagini sorridenti e le interviste dei nostri atleti, capiscano che è possibile, che è bello, che si può continuare a sognare una vita, e magari riescano a dire «Voglio uscire da questo letto e voglio provare pure io!». 

L’aumento delle prestazioni, l’aumento della visibilità ha portato il doping anche nel mondo paralimpico, caso più eclatante quello della Russia. Che ne pensa?
Stiamo facendo già da tempo una grande opera di prevenzione, di informazione e formazione dei quadri tecnici e degli atleti; nel nostro ambiente la cosa è ancora più delicata perché molti atleti devono assumere farmaci dopanti per la loro patologia.  Nell’ottica del nostro processo però va combattuta l’idea standardizzata che le persone disabili siano tutte belle, brave e buone. Dobbiamo far capire che anche noi siamo esseri umani con le nostre forze e debolezze. Anche tra di noi ci sono gli stolti, i non corretti che pensano che per raggiungere un obiettivo, sia lecito aggirare l’ostacolo ricorrendo al doping. 

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La polizia italiana a Rio 

Terminati i campionati di calcio Uefa Euro 2016 in Francia, altri grandi eventi sportivi, i giochi della XXXI Olimpiade e la 15^ edizione delle Paraolimpiadi, sono pronti ad aprire le porte a milioni di visitatori di tutto il mondo in una cornice di sicurezza dalle caratteristiche eccezionali, cui l’Italia è stata chiamata a collaborare operativamente. Su iniziativa della Polizia federale brasiliana infatti, è stato realizzato un Centro di cooperazione internazionale, con sede nella capitale Brasilia, che riunirà i rappresentanti delle polizie di quasi 200 Paesi invitati alla competizione. In un contesto di alto livello di allerta terroristica, l’obiettivo del dispositivo di prevenzione è quello di agevolare e accelerare lo scambio di informazioni sensibili sul conto di qualsiasi individuo potenzialmente minaccioso per la sicurezza dell’evento. L’Italia ha naturalmente aderito alla richiesta brasiliana e ha inviato i propri esperti a rafforzare gli uffici di collegamento già stabilmente presenti nel Paese carioca, in modo da garantire lo scambio delle migliori prassi nel settore dell’ordine pubblico e del contrasto al terrorismo internazionale, che vede il nostro Paese in prima linea con i partner europei. Il dispositivo di sicurezza italiano è stato implementato con qualificati operatori, esperti nel settore dell’antiterrorismo e dell’ordine pubblico, dipendenti dalla Direzione centrale di polizia criminale - Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia, struttura interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, al cui interno sono collocati i desk nazionali di Europol, Interpol e SIReNE. Nei compiti connessi alla sicurezza delle Olimpiadi, lo Scip si avvale della propria sala operativa internazionale in collegamento h24 con oltre 190 Paesi e sempre attiva nella gestione delle emergenze in stretto raccordo con tutti gli uffici di polizia italiani e internazionali, nonché con il dicastero della Giustizia e degli Affari esteri, mediante attività di front desk e di gestione delle operazioni più delicate, e dell’ufficio di Coordinamento regionale dell’esperto per la sicurezza impiegato nel sub-continente americano, con sede proprio a Brasilia e infine di un ulteriore ufficio istituito presso il Consolato generale di Rio de Janeiro. Di fatto, come sottolinea il direttore dello Scip, Gennaro Capoluongo: «L’esperienza internazionale maturata dal nostro ufficio nel campo della prevenzione e del contrasto al crimine, anche sulla scorta dei positivi risultati conseguiti in occasione dei recenti campionati di calcio europei e, come sostengo da sempre, tutto il sistema sicurezza Paese, inclusa la Sala operativa internazionale (Soi) e la rete degli esperti, coadiuveranno fattivamente le autorità brasiliane e le altre polizie, per garantire il regolare svolgimento dei Giochi olimpici».

01/08/2016