Cristiano Morabito

Ritorno allo stadio

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L’ occasione dell’anniversario della scomparsa di Filippo Raciti, offre lo spunto per tracciare un bilancio delle iniziative della polizia per un calcio più sicuro

Junventus stadium

“Clamoroso al Cibali!”, esclamò Sandro Ciotti, con la sua inconfondibile voce durante una diretta de “Il calcio minuto per minuto” del 1961, per commentare il clamoroso risultato del Catania, che in casa riusciva a mettere sotto per 2 a 0 l’imbattibile Inter di Helenio Herrera all’ultima giornata di campionato, regalando di fatto lo scudetto alla Juventus. 

Un urlo che è rimasto negli annali della storia del calcio, segnando una pagina memorabile e per sempre legata alla città etnea e al suo stadio, per l’appunto il “Cibali”. 

Ma, purtroppo, non è stata quella l’unica occasione in cui l’impianto della città siciliana si è resa protagonista di un fatto eclatante. Facciamo un salto in avanti nel tempo, al 2 febbraio del 2007. In quello stesso stadio, che nel frattempo ha cambiato denominazione per chiamarsi “Massimino”, si sta giocando un match particolarmente sentito sull’isola, il derby Catania-Palermo, da sempre una partita di quelle definite “ad alto rischio” a causa dell’accesa rivalità tra le due tifoserie. Alla fine del match, a cercare di placare gli animi tra le opposte fazioni ci sono i poliziotti del Reparto mobile e della questura. Ma gli scontri sono inevitabili: vola di tutto tra i tifosi, la polizia risponde con delle cariche e sparando numerosi lacrimogeni; è battaglia vera. Ad un certo punto, chi stava guardando il tutto in tv sui canali dedicati, vede apparire sulla parte bassa del teleschermo quella che in gergo telegiornalistico viene chiamata una “breaking news”, la classica “ultim’ora”, che recita: «Derby Catania-Palermo, scontri tra tifosi e forze dell’ordine, morto l’ispettore capo Filippo Raciti, 40 anni».

Una tragedia che sconvolse letteralmente il mondo del pallone e rappresentò una sorta di “anno zero” per il calcio italiano; a seguito di quel tragico evento, accadde qualcosa che, fino ad allora, era successo solo in occasione dei conflitti mondiali: si fermò il campionato e fu rinviata perfino una partita della Nazionale. Eventi che, con le dovute proporzioni ebbero davvero del clamoroso: il calcio si fermava e sembrava che si fosse quasi fermato l’intero Paese! Fu allora che, dall’allora vicecapo della Polizia Antonio Manganelli, venne fatta una profonda analisi. Da quel giorno sono passati ben undici anni e di interventi per regolamentare un mondo che sembrava non avere regole certe, ne sono stati fatti molti, oltre agli interventi strutturali negli impianti italiani: introduzione del biglietto nominativo, i tornelli agli ingressi, la nascita della figura dello steward che si sarebbe occupato della sicurezza sugli spalti, l’installazione di impianti di videosorveglianza interni ed esterni agli stadi, le tanto odiate barriere fisiche tra le tifoserie che comportarono veri e propri scioperi delle curve (che facevano quasi più audience degli scioperi generali indetti dai sindacati), la nascita di istituti come la tessera del tifoso (nata come strumento di marketing e di controllo da parte delle società calcistiche, ma bollata da alcuni come una vera e propria schedatura), l’inasprimento di misure come il Daspo (il divieto di assistere a manifestazioni sportive per un tot di tempo), e della graduale uscita delle forze dell’ordine dagli spalti, per assestarsi solo al di fuori degli stadi. Misure, dunque, eccezionali che portarono, e portano tuttora, i loro frutti positivi e che permettono, a più di un decennio di distanza, di tirare una sorta di bilancio, tenendo presente il “giro di boa” della fine del girone di andata dei principali campionati professionistici: Serie A, B e LegaPro (la Serie C). 

Prendendo in esame il periodo 1 luglio-31 dicembre degli ultimi 10 anni, grazie ai dati forniti dal Cnims (il Centro nazionale di informazione sulle manifestazioni sportive, costola dell’Ufficio ordine pubblico della Segreteria del Dipartimento della ps) e agli studi dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive del ministero dell’Interno, si è assistito ad una progressiva diminuzione nel numero di uomini delle forze dell’ordine impiegato per i servizi di ordine pubblico negli stadi. Il dato più eclatante è quello del drastico calo avvenuto tra i gironi di andata dei campionati 2007/8 e 2008/9, che risentirono più di tutti della tragedia di Raciti: si passò, infatti, da oltre 100mila uomini, a poco più di 80mila. Un dato in quasi costante calo fino al campionato 2013/14 (circa 70mila), che poi, a causa degli eventi terroristici del Bataclan e dello Stade de France, subirono di nuovo un’impennata nel campionato successivo, per poi attestarsi fisiologicamente poco oltre le 85mila unità impegnate nei campionati in corso. Stessa lettura dei dati può esser fatta, sempre nell’arco del decennio, per quanto riguarda gli incidenti con feriti, mentre risulta più variabile il dato dei feriti all’interno delle forze di polizia che, al giro di boa del campionato 2017/18, fa registrare 24 unità. Entrando più nello specifico nel girone di andata di quest’anno, considerando sempre le categorie professionistiche (A, B e LegaPro), tralasciando i dilettanti e tutte le altre competizioni, sicuramente si registra un peggioramento (ad esempio, rispetto al campionato passato, gli incidenti con feriti sono aumentati da 19 a 30), ma le maggiori criticità risultano verificarsi all’esterno degli stadi, in varie zone, come le vie di avvicinamento agli impianti, dove bisogna ancora fronteggiare continui tentativi di scontro, specie da parte delle tifoserie locali, intenzionate ad attaccare quelle che vengono in trasferta, mentre veramente residuali sono i fatti che avvengono all’interno. In questa altalena di dati, prendendo sempre in esame gli ultimi 10 anni (e sempre nel periodo 1 luglio-31 dicembre), si rimane pur sempre in una situazione di positività: c’è un “rimbalzo” abbastanza importante in Serie A e LegaPro, quest’ultima caratterizzata da una “minore qualità” delle società, soprattutto nel Sud Italia (Girone C), dove a farla da padrone è un campanilismo particolarmente accentuato, anche all’interno della stessa regione. Ma anche il 2017/18 può essere a tutti gli effetti considerato un campionato di svolta, un altro “anno zero” per lo sport più amato dagli italiani, ma che, a differenza del 2007 quando le norme furono dettate da un’emergenza da fronteggiare, può essere visto come un periodo di evoluzione, che coincide, in pratica, con una maggior apertura e fiducia nei confronti delle società di calcio e dei tifosi, ma soprattutto nei confronti di chi vuole andare tranquillamente allo stadio, magari anche con tutta la famiglia, senza la costante paura di doversi trovare all’interno di scenari da guerriglia urbana. Infatti, dall’inizio del campionato in corso, è stato varato un nuovo modello di gestione, all’interno del quale i provvedimenti chiave possono essere individuati principalmente nella rimozione delle barriere fisiche nelle curve frequentate dalle tifoserie più accese, e ad una nuova metodologia di gestione di istituti come la tessera del tifoso, che torna ad essere un vero e proprio strumento di marketing per le società calcistiche: infatti, salvo se consigliato dall’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, che ogni mercoledì si riunisce per prendere in esame tra i 120 e 130 incontri settimanali, il tifoso che voglia seguire la propria squadra in trasferta, per acquistare il biglietto non dovrà più essere obbligatoriamente affiliato al “programma tessera del tifoso”, così come non dovrà presentare la tessera quando si recherà a fare l’abbonamento per la sua squadra del cuore.

Il protocollo che ha avviato questo processo di “normalizzazione”, ha cercato di creare le condizioni per far riprendere la partecipazione del pubblico, che i dati dicono essere in crescita specie in Serie A: da una media di 21.500 spettatori dello scorso campionato, siamo passati a quasi 25.000 di quest’anno. Aumento dovuto sia al miglior andamento di alcune squadre, sia per la ripresa di alcune tifoserie a occupare i propri spazi nelle curve. L’Osservatorio orienta l’autorità provinciale sulle prescrizioni da adottare: fino al “rischio 3” (in una scala che va da 1 a 4) la gara può essere gestita normalmente, mentre il “rischio elevato” serve solo a calibrare le misure organizzative ordinarie (dispositivi di ordine pubblico esterni e interni di stewarding). Laddove invece, seppur con questo potenziamento, non si ritenga di dover garantire livelli di sicurezza adeguati, possono essere suggerite dall’Osservatorio determinate prescrizioni tese a organizzare meglio la partecipazione, principalmente della tifoseria ospite, ma anche di quella casalinga. Ad esempio, partite che in passato erano gestite addirittura con divieti, quest’anno, grazie al nuovo protocollo e ad un nuovo impegno che viene richiesto alle società calcistiche si sono giocate senza divieti, anche con ottimi risultati. Il tentativo è quello di far realizzare la maggior parte delle attività alle società calcistiche, però dai dati si evince che risulta ancora necessario che venga impiegato il massimo sforzo da parte delle forze dell’ordine, anche dal punto di vista del numero delle risorse messe in campo, soprattutto perché da parte dei club professionistici la collaborazione è ancora ridotta al minimo, se non nulla in alcuni casi. Tutte le società professionistiche hanno firmato il Protocollo: infatti, in collaborazione con l’Osservatorio è stato promosso, in ambito LegaPro un altro progetto parallelo (Progetto 3P – “Patto, passione e partecipazione”) con un focus su dodici squadre. I risultati finora sono stati “a macchia di leopardo”, perché in alcuni casi si è cantato vittoria e in molti altri no, a causa di un certo disinteresse soprattutto da parte dei club, spesso “ostaggio” delle frange più calde delle tifoserie. Nei casi in cui c’è stata collaborazione operativa tra Osservatorio, forze dell’ordine e società sportive, i risultati si sono visti e, per certi versi, sono stati anche positivamente sorprendenti. Buoni i risultati che sono stati riscontrati in quelle piazze calcistiche dove i club sono proprietari degli stadi in cui giocano (Juventus, Udinese, Sassuolo, Frosinone, alle quali a breve si aggiungerà anche Bergamo, dove l’Atalanta, società seguita da una tifoseria storicamente “calda”, si sta costruendo la propria “casa”): la società è la prima garante del proprio elemento di “produzione” e il club proprietario dello stadio diventa il primo “crociato” contro le illegalità all’interno degli impianti. Ma non è detto che lo stadio di proprietà sia la soluzione ai problemi, anche perché in alcune piazze dove gli impianti non sono gestiti dai club, si sono avuti riscontri incoraggianti. Risultati, quelli forniti dai numeri di questa prima parte del campionato che, sebbene parziali, possono essere in qualche modo letti come moderatamente incoraggianti, soprattutto se rapportati alla crescita media del numero degli spettatori che assistono alle partite, ma che, comunque, meritano la massima attenzione e potranno essere definitivi solo alla fine della stagione calcistica, fermo restando che sarebbe fondamentale la piena collaborazione delle società, che però, troppo spesso, continuano a non fare la propria parte. Certo, l’obiettivo, che potrebbe sembrare utopistico, è quello di “incidenti zero”, ma è comunque il focus che tutte le parti in causa si sono prefissate. 

E poi, non smettiamo mai di ricordarcelo: è pur sempre, e solo, calcio!

 


L’arbitro elettronico

Come non dimenticarsi l’appello più che ventennale che, quasi in ogni puntata de “Il processo del lunedì”, Aldo Biscardi lanciava con il suo unico modo colorito per l’apertura alla tecnologia anche nel calcio? Ebbene, paradossalmente, la tecnologia ha fatto l’ingresso nel mondo del pallone italiano, ma proprio nell’anno in cui il giornalista e conduttore ci ha salutati. Dal campionato in corso, è entrata in funzione la Var (acronimo di “Video assistant referee”). Di questo “occhio elettronico” sui campi da calcio italiani, di come funziona e di come abbia rivoluzionato il lavoro dei direttori di gara, ne abbiamo parlato con Nicola Rizzoli, ex arbitro da quest’anno presidente della “Can A”, la Commissione arbitri nazionale della Serie A.

Alla chiusura del girone di andata del campionato, può fare un primo bilancio dell’utilizzo della Var?

I risultati sono positivi sotto l’aspetto pratico del numero degli errori che sono calati sensibilmente: parliamo di circa un migliaio di situazioni prese in esame dove, senza l’utilizzo della Var, ci attesteremmo intorno al 5-6% di errore; da quando è stata introdotta, la percentuale è scesa all’1%. Ma l’aspetto più positivo è quello del calo di espulsioni e ammonizioni derivanti da proteste dei giocatori, il che vuol dire che c’è una maggior accettazione delle decisioni prese sul campo.

Come funziona il Var o, come si sente spesso dire, la Var?

Il termine è sia maschile che femminile: la Var è il nome della tecnologia, mentre il Var è l’arbitro deputato ad utilizzarla. Ci sono solo 4 categorie possibili di intervento (episodi in area di rigore, rosso diretto, verifica che il goal sia regolare o meno, scambio di persona) in funzione di un protocollo internazionale stilato per tutelare il gioco del calcio, la spettacolarità e soprattutto il dinamismo. All’interno di questo protocollo, l’arbitro prende la decisione, il Var la verifica immediatamente e poi, comunicando, verificano anche se c’è stato un errore o una cattiva interpretazione. Si può fare una verifica in campo su un monitor e può verificarsi anche il caso di un “overule” da parte del Var, ossia del cambio della decisione appena presa dall’arbitro in campo, ma solo in caso di situazioni oggettive, come punti di contatto o la verifica sul pallone che sia uscito o meno dal terreno di gioco o che un fallo fosse o no avvenuto in area di rigore. 

Il Var può chiamare l’arbitro per dirgli di aver commesso un errore o è solo il direttore di gara a chiederlo?

È sempre l’arbitro che comincia e conclude una review, quindi la decisione finale è sempre presa dal direttore di gara, come anche quella di iniziare una revisione. Il Var interviene di iniziativa solo nel caso in cui ci sia un “chiaro errore” da parte del direttore di gara, ma può anche “suggerire” all’arbitro l’apertura di una review. 

Finita la sperimentazione, sarà previsto un ampliamento dei casi in cui questa tecnologia può intervenire?

Sicuramente alla fine di questa stagione ci sarà una riunione nella quale metteremo tutte le considerazioni uscite da questa sperimentazione e che verranno presentate all’Ifab (International football association board) che dovrà decidere, in quanto unico organismo preposto a farlo. 

In quanti campionati è attiva la Var?

In Europa è attiva nel campionato italiano, in Bundesliga (Germania), in quello portoghese e nella Premier League inglese (e in Inghilterra si sta sperimentando anche nelle due Coppe). Nel mondo, viene utilizzata in Australia, in Brasile e in molti altri campionati e competizioni di coppe nazionali; verrà introdotta molto probabilmente anche ai prossimi mondiali di Russia 2018.

In altri sport, dove esiste già una sorta di “occhio elettronico” da tempo (tennis, pallavolo) l’intervento può essere richiesto dalla squadra. Quando anche nel calcio?

Proprio così magari no, ma avere la possibilità di ascoltare uno stimolo potrebbe anche essere ipotizzabile. Ma attualmente già tutto viene verificato, quindi probabilmente non serve che ci sia qualcun altro che suggerisca di farlo. 

Perché nel calcio siamo arrivati così tardi ad utilizzare la tecnologia?

La Var non è il classico ralenty, proprio perché dietro c’è una tecnologia sofisticata legata alla definizione delle immagini. Ma la tecnologia per essere affinata e arrivare a certi livelli di precisione, ha bisogno di tempo. Nel 2017, con questo tipo di supporto tecnologico a disposizione, anche il mondo del calcio ha capito di non poterne più farne a meno. 

Sapere che c’è un “occhio” in più, permette ai direttori di gara di scendere in campo con maggior tranquillità?

Senza dubbio. I direttori di gara possono solo trarre beneficio dalla Var quando commettono degli errori. L’obiettivo è far le cose giuste, perché così si vengono a creare meno tensioni anche sugli spalti. 

06/02/2018