Cristiano Morabito

Intimità violata

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Combattere il “revenge porn”, ma anche la diffusione di foto e video privati in Rete: un mondo spesso sommerso dove la vergogna è il freno alla denuncia

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Alzi la mano chi, nella memoria del proprio telefono, su quella del computer, in una chiavetta usb, in un hard disk portatile e su uno dei tanti servizi di cloud, non ha memorizzato una foto, un filmato o un qualsiasi file che, anche se non necessariamente di contenuto erotico, possa metterlo in un certo imbarazzo. Scagli la prima pietra anche chi non abbia mai pensato che, mettendo una fotografia su un qualsiasi social network, questa non possa essere utilizzata da qualcun altro per gli scopi più disparati, dal furto di identità alla semplice presa in giro, fino ad arrivare al controllo da parte del datore di lavoro. E ancora, sono probabilmente pochissime le persone iscritte alle varie piattaforme sia social o di messaggistica istantanea che, almeno una volta nella vita, non abbiano “approcciato” con un qualche utente non conosciuto nella vita reale, parlandogli anche di particolari della propria vita personale.

È un dato di fatto: ormai telefoni, computer, social network sono le “scatole” all’interno delle quali racchiudiamo parti delle nostre vite e che, spesso, possono rappresentare lo sfogo di quel che non siamo nella realtà, fino ad arrivare, nei casi più gravi, anche ad essere una vera e propria seconda vita, un nostro alter ego digitale che può farci sognare, ma che, allo stesso tempo, ha anche la possibilità di distruggerci e di proiettarci definitivamente in una dimensione dalla quale uscire non è facile e che può creare una vera e propria dipendenza.

Un altro dato di fatto, però, è anche che la digitalizzazione del nostro mondo abbia semplificato e accelerato molte pratiche che, una volta, nel mondo analogico, avevano un altro svolgimento: le fotografie e i filmati intimi c’erano già, solo che si portavano a sviluppare in laboratorio oppure restavano su una pellicola da 35mm… il problema sorgeva quando queste fotografie, soprattutto le più spinte, venivano stampate in “doppia copia” e restavano negli album da una qualche parte, spesso solo per farne sfoggio nel gruppo di amici e commentare le “prestazioni” di chi veniva ritratto, ma a volte anche per essere usate al fine di ricattare la persona fotografata in atteggiamenti non proprio ortodossi, meglio se con chi non era il partner ufficiale o, ancora, per vendicarsi dell’ex di turno dopo una storia finita con uno dei due componenti che non si rassegna alla chiusura di un rapporto.

Oggi, tra chat, social network, servizi di messaggistica istantanea e quant’altro, succede la stessa cosa, anzi, proprio grazie alla velocità di condivisione che queste piattaforme consentono, il fenomeno dello scambio di file on line è diventato molto più immediato: dai semplici “meme” che ci possono strappare una risata, fino ad arrivare a foto e filmati che ritraggono l’intimità di qualcuno.

Ma cosa succede quando questo materiale esce dalla sfera del privato e viene offerto alla mercè di tutti sulla Rete e diventa, per usare un termine in voga nel 21° secolo, “virale”? Quali sono le conseguenze di un filmato girato da un (o una) fidanzato che una volta lasciato non si rassegna e inizia a tampinare l’ex, a stalkerarlo, fino a diffondere quel filmino per vendicarsi di chi non lo vuole più?

Purtroppo lo sanno bene in molti, ad iniziare da Tiziana Cantone, la ragazza della provincia di Napoli per la quale la gogna mediatica fu talmente insopportabile da portarla a togliersi la vita a soli 31 anni. Nel 2015 la povera Tiziana veniva ritratta in un video, probabilmente dal suo fidanzato di allora, mentre faceva sesso con altre persone e la sua frase «Stai facendo un video? Bravo!» divenne virale, così come il suo video che venne scambiato da milioni di utenti via Whatsapp, tanto da farla diventare una sorta di “celebrità” prima nella sua regione e poi a macchia d’olio in tutta Italia e anche oltre. Tiziana, ormai riconosciuta da tutti ovunque, non può più neanche girare liberamente per strada o andare a lavorare nel bar o nel negozio degli zii, senza che quotidianamente non ci sia qualcuno che pronunci quella maledetta frase: «Stai facendo un video? Bravo!». Il video di Tiziana, ormai, è reperibile ovunque, anche sui siti porno specializzati in streaming e inserito in una categoria precisa, quella delle “ex-girlfriend”, in modo tale che tutti possano vederlo. Nel frattempo l’ex fidanzato, al quale la “situazione” era ormai scappata di mano, ovunque viene riconosciuto come “il cornuto”, sebbene fosse stato lui a pubblicare quel video. Ma la vergogna per Tiziana è tanta, troppa e, dopo due tentativi di togliersi la vita prima ingerendo barbiturici e poi gettandosi da un balcone, il 13 settembre del 2016 lega un foulard sul soffitto della cantina di casa e si impicca, chiudendo così le sue sofferenze dopo essere stata gettata nel “tritacarne” della Rete. 

Quello di Tiziana Cantone è stato di certo il caso più eclatante, proprio perché, grazie anche alla perseveranza della madre, è riuscito ad avere una maggiore eco mediatica, scuotendo la coscienza delle masse, nonché anche quella del legislatore che ha deciso di colmare quel vuoto normativo, o meglio, di integrare il codice penale con un articolo che prevedesse una fattispecie di reato precisa riguardo quel fenomeno universalmente riconosciuto come “revenge porn” e seguire altri Stati che già avevano promulgato leggi in merito, come Germania, Israele, Regno Unito e 43 Stati su 50 negli USA.

Lo stato attuale della legge che prevede l’introduzione dell’articolo 612ter nel codice penale, parla di un ok da parte della Camera, in attesa che l’altro ramo del Parlamento dia il suo benestare: «Ancora non c’è la norma – commentano gli esperti della Postale – per cui al momento tutti i casi segnalati e le denunce vengono integrate nelle fattispecie della diffamazione e della violazione della privacy». Anche per questo motivo, purtroppo, non esistono dati precisi che possano dare un’effettiva entità numerica del fenomeno “revenge porn”, anche se, come ci confermano dalla Postale, le denunce per questo tipo di “attività” sono aumentate di molto negli ultimi anni: «È un fenomeno in forte crescita e in parte sommerso, come quello delle truffe sentimentali perché la vittima, essendo coinvolta emotivamente, è molto restia a denunciare per vergogna o per paura, magari, di subire ritorsioni ancora peggiori. La maggior parte delle vittime è costituita da donne che, quando vengono a denunciare l’accaduto riferiscono che l’impatto causato dalla pubblicazione di foto o video scattate e girati privatamente e che avrebbero dovuto rimanere esclusivamente in un ambito privato, le faccia sentire come vittime di una vera e propria violenza sessuale». 

Dunque, come nel caso di Tiziana Cantone, è proprio la vergogna ad essere sia il motore che innesca certi processi, purtroppo spinti anche all’estremo, come anche l’impedimento principale che non consente alle vittime di denunciare i fatti: «Proprio per questo motivo – commenta Eva Cosentino, dirigente del Cncpo – da parte nostra abbiamo intrapreso una capillare sensibilizzazione nei confronti del personale suggerendo di ricevere questo tipo di denunce in un ambiente “protetto”, in una stanza riservata e, in caso di particolare necessità, può essere richiesta la presenza di un nostro psicologo. Raccogliamo denunce e segnalazioni dal territorio, attivando mirate campagne di informazione e sollecitando a denunciare». 

Dunque, un vero e proprio “mare magnum” all’interno del quale è difficile muoversi e investigare, non solo perché la maggior parte di immagini e video vengono scambiati privatamente, ma anche perché, una volta pubblicati on line, la procedura per la loro rimozione o per l’oscuramento non è assolutamente automatica: «Il problema della maggior parte di queste piattaforme – commentano dalla Postale – è che non sono attestate in Italia, ma in Paesi esteri, come ad esempio gli Stati Uniti, la cui normativa non prevede il reato di diffamazione, perciò la richiesta di dati informatici o dell’eventuale oscuramento di un profilo e la rimozione dei contenuti, non va a buon fine».

Del resto la diffusione dei social oggi ha raggiunto l’apice e, con loro, purtroppo, anche le condotte più o meno lecite. Infatti, l’allarme revenge porn non è l’unico, ma esistono tanti altri modi, purtroppo, per ledere. 

C’è infatti chi usa l’immagine di qualcuno, a volte, anche per ricavarne un utile in denaro, come nel caso della cosiddetta sexstortion, un altro fenomeno venuto a galla negli ultimi tempi e che consiste nel ricatto vero e proprio di diffondere filmati intimi ad amici o parenti della vittima: «In questo caso – conclude Eva Cosentino – le vittime sono quasi prevalentemente uomini, agganciati su piattaforme social e convinti a fare sesso virtuale davanti a una webcam, durante il quale, spesso a loro insaputa, vengono ripresi e poi ricattati, con una richiesta di riscatto spesso in bitcoin, pena la pubblicazione del video». L’anno scorso sono stati arrestati, in un’operazione in collaborazione con la Gendarmeria reale del Marocco, 23 cittadini marocchini destinatari di bonifici da parte delle vittime di sexstortion.

Ma c’è un altro fenomeno che sta prendendo piede e che, ancora meno di altri, può essere intercettato o scoperto, poiché avviene prevalentemente in gruppi chiusi su Whatsapp, ed è quello dei cosiddetti stupri virtuali, dove gli appartenenti condividono foto trovate sui social o spesso autoprodotte o copiate a loro volta da altri contatti, di donne ignare ritratte nella loro vita quotidiana, magari in atteggiamenti “non consoni”. Sulla chat si dà libero sfogo a frasi offensive nei confronti di queste donne, esternando spesso fantasie violente: una vera e propria violenza di gruppo.

Dunque, un mondo “nuovo” e per certi versi anche spaventoso e che ci deve far riflettere bene sull’uso di tutti quei servizi che la Rete ormai mette a disposizione di tutti. L’unico consiglio è quello di tenere gelosamente per sé tutto ciò che, magari non immediatamente ma anche un domani, potrebbe metterci in imbarazzo e di usare tutti i canali social per ciò che sono stati creati; lo dice la parola stessa: “Social” = “Socializzare”. ϖ

03/07/2019