Roberto Donini e Valentina Pistillo

Vite spezzate

CONDIVIDI

Con l’arresto di Cesare Battisti si chiude un capitolo di storia di crimini e di sangue. Il ricordo del poliziotto Andrea Campagna, ucciso a soli 24 anni

att 2-19

Immagini, volti, frammenti di una vita interrotta anzitempo: sono questi i vere protagonisti della Storia, che ci spingono a dar voce al ricordo delle vittime, troppo spesso dimenticate e offuscate dal clamore mediatico di una cattura, così come nel caso di Cesare Battisti. La sua latitanza è finita il 13 gennaio, quando una squadra Interpol, insieme ad agenti boliviani e italiani, lo ha arrestato a Santa Cruz, in Bolivia. Gli investigatori hanno registrato tutti i suoi movimenti e lo hanno individuato grazie al sistema di localizzazione e al monitoraggio delle utenze, soprattutto dei contatti Facebook con amici e parenti.

L’epilogo della vicenda di Cesare Battisti ha segnato, oltre la fine della latitanza di un criminale, il rimarginarsi di una ferita aperta da quaranta anni per la Polizia di Stato e soprattutto per i familiari delle vittime. La sua cattura ci invita a riflettere e a soffermarci in particolare sulla figura di Andrea Campagna, poliziotto di appena 24 anni, ucciso “per sbaglio”, come rivendicarono successivamente i Pac, i Proletari armati per il comunismo di cui faceva parte Battisti, perché “torturatore di proletari”, lui che, alla Digos della questura di Milano, svolgeva la mansioni di autista.

Il biennio 1978-1979 è un periodo davvero terribile dal punto di vista dell’attacco terroristico al “cuore” dello Stato democratico, con una scia di morti interminabili. In quegli anni Andrea Campagna, guardia di pubblica sicurezza, vive alla Barona, a Milano. Nel quartiere, sorto velocemente per accogliere la grande migrazione del dopoguerra, è arrivato, dalla Calabria, nel 1965 insieme al resto della famiglia, ricongiungendosi al padre, guardia giurata, che li aveva preceduti nel 1954. Si arruola in polizia nel 1974. È fidanzato con Cecilia, l’abbraccia felice in una foto del Natale 1978: stanno pensando di sposarsi. Nello stesso anno Andrea giunge alla Digos, la Divisione investigazioni generali e operazioni speciali, che aveva sostituito il vecchio Ufficio politico. Il 16 febbraio 1979 viene ucciso Pierluigi Torregiani durante una rapina nella sua gioielleria, a opera dei Pac, come sarà poi accertato. Scattano perquisizioni e fermi: in un fotogramma del telegiornale appare il volto di Andrea mentre sta accompagnando alcuni sospettati, successivamente rilasciati. Andrea, ancora giovanissimo è stato chiamato ad aiutare i colleghi. Basta questo semplice dettaglio a spingere Cesare Battisti a sceglierlo come obiettivo. Non tutti i terroristi del Pac erano d’accordo sulla decisione di ucciderlo. Lo conoscevano tutti per la sua attività in parrocchia, era uno del quartiere: Campagna in fondo era un proletario, un poliziotto come quelli di cui parlava Pasolini. Ma Battisti, proveniente dalla delinquenza comune, “screanzato e confusamente rivoluzionario” come lo descrive ai giudici lo stesso Arrigo Cavallina, padre dei Pac, ha deciso di “dargli la morte”. Alle 14,10 del 19 aprile 1979, quando Andrea cade colpito dai colpi esplosi da Battisti (la colpevolezza di quest’ultimo sarà accertata con la testimonianza di Pietro Mutti, pentito dei Pac) vicino a lui c’è Lorenzo Manfredi, futuro suocero, che poi dirà a un giornalista: «Probabilmente sapeva di essere diventato un bersaglio facile, mi sembrava preoccupato; negli ultimi giorni mi era parso addirittura stralunato. Quel pomeriggio, prima dell’attentato, mentre scendevamo le scale gli ho chiesto: «Andrea mi sembri strano, cos’hai?» e lui «Niente, cose della vita». Forse pensava a Cecilia: pensava alla vita.

_____________________________________________________________________

il Fratello Maurizio lo ricorda così...
Poliziamoderna ha incontrato il fratello, più piccolo di sei anni. Maurizio Campagna è un direttivo dell’Aviter, l’Associazione delle vittime del terrorismo, insieme alle due sorelle che sono socie. Gli appartenenti si riuniscono una volta al mese nella sede principale, a Torino, e discutono sulla legge 206/2004, «l’unica norma – spiega Campagna – che tutela le vittime». Ripercorre con noi la partenza dal paese natale, Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, l’arrivo a Milano in zona Barona, le scarpe sporche di fango di una campagna sterminata e disabitata, le uova e il latte che con il fratello e la madre compravano nelle fattorie della zona, gli unici insediamenti dell’epoca. 

Ogni anno Maurizio torna in Calabria per la messa commemorativa, una tradizione voluta dai genitori che si augura venga continuata anche dai figli e dai nipoti, per far rivivere il ricordo di Andrea. «Incontro anche lì i suoi ex colleghi – continua – Un giorno si è fatto avanti un poliziotto in pensione che si ricordava i tempi in cui, insieme ad Andrea, faceva parte dell’Antiterrorismo. Poi questa squadra era stata sciolta e mio fratello era stato trasferito all’Ufficio politico e non si erano più visti». Andrea aveva la passione per la divisa sin da piccolo. «Quando, da bambini, si giocava a guardie e ladri lui voleva fare sempre il poliziotto. Da ragazzo lavorava in una ditta di elettrodomestici, ma quando lo chiamarono per fare il militare si raffermò in polizia e non tornò più nell’azienda dove, dopo la leva, lo attendevano a braccia aperte».

Anche negli anni Settanta, il sogno di tutti i diciottenni era l’automobile: «Appena arrivato al nuovo ufficio della questura, poco più che ventenne, Andrea aveva comprato un’ Alfasud che, anche per me, era un vero mito: scendevo sotto casa e l’accendevo. Mi piaceva stare al volante, simulando la guida, visto che ancora non avevo la patente. Quel 19 aprile volevo metterla in moto io, ma dato che da poco mio padre aveva comprato la tv a colori, rimasi incollato al teleschermo a vedere il cartone di Jeeg Robot. Poi ricevetti la notizia da Cecilia, la sua fidanzata. Dopo quei cinque colpi che ci cambiarono la vita, ho ripensato a quella circostanza. Se fossi sceso ad accendere l’auto forse avrei sventato l’attentato oppure, credendo che fossi io il poliziotto che cercavano, i terroristi avrebbero ucciso me». In seguito seppi che gli assassini avevano aspettato il telegiornale delle 20.00 per avere la conferma di aver trucidato Andrea: non erano convinti di essersi vendicati della persona giusta». 

Nonostante tutto, Maurizio non ha mai lasciato il quartiere dove è cresciuto con il fratello e gli amici: «La mattina apro la finestra e mi affaccio sul parco della Barona “Andrea Campagna”, intitolato a lui nel 2012, e questo mi ripaga moltissimo». A lui sono stati dedicati anche il Parco di via Filippo Meda, a Roma, e la Scuola allievi agenti di Vibo Valentia.

Anche il figlio di Maurizio si chiama Andrea: «Tutti noi abbiamo un membro della famiglia che si chiama così, anche le mie sorelle. Ma Andrea non c’è più. E a pensare che quel 19 aprile, terminati i miei “tre giorni”, per stare con lui non ero andato neanche a scuola…», si commuove Maurizio.

31/01/2019