Paolo Venturini*

Storico record

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Attraversare di corsa il luogo più caldo della Terrra, il deserto del Lut, in Iran, nel periodo più rovente dell’anno. Questa la sfida che ho lanciato a me stesso, e che ho vinto

running 8-9-17

L’inizio
Dopo tanti anni di gare, di corse, di sfide e alcuni importanti record, non è facile pensare a nuovi obiettivi e rimettersi in discussione. Quando ho pensato di sfidare il luogo più caldo del pianeta Terra, nel periodo più torrido dell’anno, il deserto del Lut in Iran, sembrava cosa impossibile. “Maximum Temperatus” (questo il nome della terribile sfida ndr) l’ho, prima di tutto, discusso con i medici del Dipartimento di medicina dello sport dell’Università di Padova, che seguendomi da anni mi conoscono a fondo e si sono subito dimostrati scettici e preoccupati. Correre in un ambiente dove si sfiorano i 70°C, secondo loro, significava imbattersi in rischi troppo alti per la mia incolumità: non poter abbassare naturalmente e velocemente la temperatura del corpo, può causare gravi e irreversibili danni ai reni ed al cervello. Oltretutto il luogo, così remoto e difficile da raggiungere, avrebbe richiesto in caso di intervento dell’elicottero di soccorso, tempi troppo lunghi per raggiungere un ospedale attrezzato. Tali estreme difficoltà ambientali spiegano come mai nessuno avesse provato un’impresa del genere. Ulteriori problemi nascevano da visti e autorizzazioni per entrare in una zona considerata dall’Unesco “Patrimonio mondiale dell’umanità” in un Paese politicamente particolare come l’Iran. Ultima difficoltà, ma di primaria importanza per me, l’aspetto economico, con preventivi quasi proibitivi. Insomma una sfida totale. Centinaia di mail e telefonate, ricerca di sponsor per coprire le spese, contatti con autorità ed esperti dell’Iran e un sopraluogo sul posto, da solo, per vedere e toccare da vicino questo misterioso luogo, l’altopiano del Gandon Berian, dove le temperature sono da record. Non volevo lasciare nulla al caso pianificando quanto era possibile e ottenendo l’attivazione di diversi contatti, tra i quali quello dell’esperto per la sicurezza della Polizia di Stato presso l’Ambasciata d’Italia a Teheran, dirigente superiore Fabio Bernardi.  

La preparazione
Anche se non avevo ancora la certezza definitiva di poter tentare il record, dovevo comunque avviare la preparazione per affrontare una sfida tanto difficile. Prima di tutto, avrei dovuto incrementare il carico corsa, portando al limite la mia capacità di resistenza aerobica, arrivando a percorrere oltre 200 km a settimana nelle ore più calde del giorno, per cercare di avvicinarmi al clima che avrei trovato nel deserto del Lut. Tuttavia, nonostante quest’estate fosse decisamente calda, le temperature non sono mai arrivate a quelle iraniane e quindi, grazie all’aiuto dei tecnici del centro fitness l’Elan Vital di Padova, abbiamo potuto allestire una stanza sigillata dove correre per alcune ore mentre 2 termoconvettori riscaldavano l’aria fino a 57°- 59°C . In queste condizioni di stress i medici sportivi dell’università di Padova monitoravano i miei parametri fisici, come temperatura corporea, pressione sanguigna, battito cardiaco e urine. Le sessioni terminavano con l’innovativo trattamento di crioterapia per abbassare la temperatura corporea profonda, consistente in 3 minuti di crio-sauna alimentata da azoto liquido, che fa scendere l’atmosfera interna a -140°C innescando processi anti infiammatori, di recupero muscolare e, per lo shock termico, di riattivazione metabolica. L’ultimo importante test terminato con difficoltà e sofferenza, l’ho svolto esattamente 10 giorni prima della partenza. Un “lungo” di 52 Km, corso dalle parti di casa mia, nel padovano, ma scegliendo le ore più calde della giornata, con una temperatura di 46°C al sole ed un tasso d’umidità del 68%. Ovviamente non cercavo solo fatica, ma importanti sensazioni atletiche e un confortante dato psicologico: terminare il percorso in condizioni meteo definibili “anticorsa”, ma mantenendo concentrazione e determinazione.

Ero pronto! Il viaggio e gli ultimi preparativi
Tra aspettative, ultime dichiarazioni alla stampa e il caloroso saluto da parte dei vertici della Polizia di Stato,  sono arrivato al 14 luglio, quando assieme al team, dopo un’ultima stretta di mano con i colleghi in servizio a Malpensa, abbiamo affrontato le 5 ore di volo verso Teheran. Con un ulteriore scalo siamo giunti nella città di Kerman, nel sud est dell’Iran.  Il 18 luglio, viaggiando con tutto il team a bordo di 4 fuoristrada, arrivo dopo circa 3 ore a Shahdad, ultimo avamposto prima dell’immenso e disabitato deserto del Lut. Effettuate le scorte di carburante e acqua incontriamo l’Imam del luogo, la più alta carica religiosa, che autorizza tutte le attività nell’area e che, in questo caso, ha anche “benedetto” la sfida, augurandoci buona fortuna. Altri 30 Km, un’ultima sosta di qualche ora in un piccolissimo villaggio per ripararci dal caldo e dal forte vento, poi “stacchiamo” definitivamente il cordone ombelicale con l’umanità e al calare del sole, arriviamo finalmente ai piedi dell’altipiano del Gandon Berian: un tavolato che si erge di circa 250 m dal deserto circostante, completamente ricoperto di rocce vulcaniche nere e che risulta essere il luogo più caldo del pianeta Terra. Ed è proprio qui che stabiliamo il nostro campo base. Nel programma originale avevo previsto, insieme a un cameraman ed una guida, di scalarlo e di trascorrervi la notte, per essere già pronto a partire. Invece l’arrivo di una violenta tempesta di sabbia e il forte vento, oltre all’oscurità, mi ha tenuto fermo al campo base, costringendomi, il giorno dopo, e ancor prima di partire per il tentativo di record, a scalare la ripida parete del Gandon Berian: un dispendio energetico davvero imprevisto… 

La sfida
È l’alba del 19 luglio 2017, trascorsa la notte difficile di forte vento e caldo opprimente, un cameraman, la responsabile della logistica ed una guida salgono sulla sommità dell’altipiano mentre io sono sottoposto al primo monitoraggio: oltre all’inserimento sulla mano e sul braccio di due aghi endovenosi destinati, in modo preventivo, alla somministrazione di flebo fisiologiche visto che la vasocostrizione per disidratazione rende problematico o impossibile, l’inserimento dell’ago in vena. Sono carico e abbastanza tranquillo, anche se la “novità” dell’ascensione al Gandon Berian così da freddo non mi conforta, e mi dà un po’ d’ansia l’idea che tutto l’Iran sia lì…virtualmente a guardare cosa riesce a combinare quest’italiano, che così spavaldamente ha deciso di andare a correre nei luoghi dove d’estate nessuno, nemmeno chi abita in quelle zone, osa andare. In effetti, non si considera che quando si “lancia” pubblicamente una sfida come questa, non c’è il “solo” Paolo Venturini, persona e atleta, ma un appartenente della Polizia di Stato e delle Fiamme oro, con il tricolore addosso e, quindi, la grande responsabilità collettiva. Una pressione mentale in più. 

Finalmente alle 7.06 prende il via il tentativo di record “Maximum Temperatus”. In poco più di 20 minuti sono sulla cima, riesco a dare uno sguardo attorno, lo scenario è a dir poco spettacolare, immenso, infinito, gigantesco! Percorro circa 7 km e dopo essere ridisceso incontro il resto del team: la grande corsa è davvero iniziata. La temperatura sale e anche il vento: sferzate di sabbia e piccoli granelli di quarzite graffiano la pelle. Dopo alcuni chilometri l’equipe medica mi chiede se ho intenzione di correre ancora molto: sorridendo rispondo che siamo solo al riscaldamento e che continuerò ad oltranza. Le ore passano, i gradi aumentano e anche la stanchezza. Non devo distrarmi, ma rimanere concentrato, forzarmi a bere e ingerire zuccheri in gel per mantenere il livello energetico costante. È una continua ricerca degli appoggi migliori, tra sassi, buche, croste di sale e sabbia. C’è anche tanta salita. Mentre corro, dentro la violenza degli elementi, guardando l’orizzonte, penso a una pulce che cammina sul dorso di un elefante il quale, con il suo semplice andare, crea dei violenti scossoni, tanto forti che per poter procedere, la pulce è costretta ad aggrapparsi per non essere spazzata via. Ecco, io sono quella pulce e il deserto del Lut è l’elefante, che si sta solamente “scuotendo” un po’. Inizialmente il mio obiettivo principale era superare i 42,195 km della maratona, per far comprendere fino in fondo la difficoltà di correre la classica distanza in condizioni estreme, ma al 50° km mi rendo contro di stare ancora bene, tanto che decido di raggiungere il villaggio più vicino che dista circa 25 Km. Sono un’enormità, date le condizioni meteo, i chilometri già percorsi, il calore percepito, ancora attorno ai 67°C, e il vento che non cala. Sto attraversando da chilometri una zona di sabbia finissima, dove correre è molto difficile, dispendioso e, perciò, ho dei continui stiramenti alle piante dei piedi. Debbo decidere in pochi istanti: non mi faccio influenzare dai segnali di dolore provenienti da tutto il corpo; mi confronto con il team e alla fine, decido di continuare! Sono tutti provatissimi, ai limiti della resistenza, ma contenti della decisione. Pochi minuti più tardi infatti, uno dei cameraman si sente male, collassa perdendo conoscenza e i medici sono costretti ad applicargli due flebo per rianimarlo. Anche uno dei due medici, che poi si scoprirà aver perso 5 kg di peso, inizia ad avere i primi sintomi di disidratazione. La situazione è difficile ma tutti tengono duro. Di colpo i miei piedi ritrovano l’asfalto: va molto meglio e soprattutto capisco che non può mancare molto alla fine. D’altra parte la sottile striscia di bitume è una “spada” dritta, senza curve, di cui non si scorge la fine e che non lascia speranze. Una “spada arroventata”, con l’asfalto che supera gli 80°C. Sono avvolto nel calore! Solo i continui “bagni” di acqua nebulizzata e un asciugamano intriso di acqua ghiacciata attorno alla testa, mi danno un minimo di conforto. La mia pelle è oramai dello stesso colore del deserto. Finalmente alle ore 19.03, con indosso solo un cappellino, una canotta, un pantaloncino, calzini e scarpe, e senza l’uso di alcuna crema protettiva, che avrebbe limitato la traspirazione cutanea, “Maximum Temperatus” si concludeva di fronte al portone dell’antico caravanserraglio del piccolo villaggio di Shafiabad. ϖ

*allenatore Federazione italiana atletica leggera, tecnico Fiamme oro

01/09/2017